Secondo l’analisi del Forum disuguaglianze diversità, le proposte contenute nel rapporto dell’ex presidente della Bce favoriscono la concentrazione del potere economico e politico, senza migliorare l’accesso a un welfare sempre più debole. Così si finisce per alimentare il risentimento sociale che fa crescere i movimenti neonazionalisti
Se il rapporto di Mario Draghi sul futuro della competitività europea dovesse segnare le politiche dell’Ue negli anni a venire, gli effetti farebbero male all’Europa perché quel piano propone una visione del futuro che trascura l’interesse collettivo e i punti di forza che storicamente contraddistinguono l’azione dell’Europa, promuovendo invece una strategia di crescita disattenta alla giustizia sociale.
Lo sostiene il Forum Disuguaglianze e Diversità (Forum DD), secondo cui «il piano è portato fuori strada sia dalla scelta degli Usa come standard ricorrente di riferimento, senza coglierne debolezze, instabilità economica e recenti evoluzioni, sia dalla parallela disattenzione alle specificità e ai punti di forza dell’Europa».
Sul piano Draghi, spiega il Forum DD, di cui è coordinatore Fabrizio Barca insieme ad Andrea Morniroli, pesa il fatto di non assumere il punto di vista delle persone, delle preferenze, delle insicurezze, delle aspirazioni e bisogni di chi consuma, lavora, vive in Europa. E «pesa, infine, una visione ancillare della dimensione sociale. Nei fatti si accentua la frattura fra economia e società come se questi anni nulla avessero insegnato».
Il disegno che emerge dal rapporto Draghi si concentrerebbe solo su commercio internazionale, energia e difesa, trascurando altre sfide come la dinamica demografica e la connessa sfida/opportunità delle migrazioni; lo straordinario impegno di adattamento climatico; la forte crescita nelle disuguaglianze e nelle barriere di accesso al sistema di welfare «fonte primaria, quest’ultima, del risentimento sociale su cui soffiano i neo-nazionalisti», sostiene il Forum.
Limiti che, si legge nell’analisi del Forum DD, condizionano i rimedi, perché, «ferma restando la validità di specifiche idee in singoli settori», configurano una strategia che farebbe male all’Europa, favorendo una concentrazione del potere economico e politico, coerente con la de-democratizzazione in atto, accrescendo le disuguaglianze, aggravando la distanza dell’Unione dalle aspirazioni e idee della società e relegando l’Ue nei rapporti internazionali ad una posizione rigidamente predeterminata, nonostante un quadro globale che richiederebbe attenzione al Sud del mondo.
Modello americano
Il rapporto Draghi, scrive il Forum DD, «riconosce che le disuguaglianze Usa sono più gravi delle nostre, ma di fatto le accetta nell’aspirare proprio a quel modello di crescita», caratterizzato negli ultimi decenni non solo dalla generazione di disuguaglianze assai più elevate che in Europa, ma anche da una generale, grave fragilità politica e instabilità economica e finanziaria. Con la forte concentrazione del sistema di imprese in pochi conglomerati, che non solo è corresponsabile delle maggiori disuguaglianze, ma ha ridotto la concorrenza e ha fortemente accresciuto il condizionamento della politica da parte delle lobby, a cominciare da quelle della finanza, delle armi, della sanità privata.
E quindi, propone il Forum, è necessario un confronto pubblico e trasparente, informato e aperto sul futuro dell’Europa, evidenziandone l’urgenza perché di fatto «le scelte discrezionali e politiche del piano Draghi sono scritte per diventare da domani la strategia dell’Unione» e sono pertanto già entrate nell’agenda istituzionale, politica e amministrativa europea, come si evince dalle lettere di missione ai membri designati della Commissione dalla presidente Ursula von der Leyen.
L’Unione che vorremmo, scrive il Forum, citando dal libro “Quale Europa” (Donzelli, 2024) pubblicato in occasione delle ultime elezioni europee, è un’Unione che sia «Un luogo di promozione del welfare universale non penalizzato dall’austerità; dove la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità; dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell’interesse prima di tutto dei più vulnerabili per realizzare un modo giusto di vita e lavoro e dove politiche pubbliche e governo siano democratizzati».
Una simile Europa si sviluppa ed è competitiva sui mercati internazionali, spiega il Forum Disuguaglianze e Diversità, giocando le carte che la contraddistinguono, e cioè specificità sociali e tecnologiche, elevata tutela della concorrenza, un forte tessuto di medio-grandi imprese innovative, università produttrici di “open science”, grandi centri di ricerca europei pubblici.
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