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Faang è l’acronimo che identifica un gruppo di società tecnologiche che hanno raggiunto dimensioni mai viste in passato, con un peso dominante nei mercati azionari, e il controllo di una fetta ragguardevole della spesa degli individui nel mondo.
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Queste società valgono oggi complessivamente 9.600 miliardi, dopo aver toccato un picco di 11.300 miliardi a fine 2021: ovvero il 49 per cento del prodotto interno lordo americano, 2,7 volte quello tedesco, e più di un quarto dell’intera capitalizzazione della Borsa americana.
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La dimensione raggiunta da queste società impone alcune riflessioni sulla ragionevolezza di simili valutazioni, per capire se siamo di fronte a una nuova mega bolla, e sul possibile abuso della loro posizione dominante.
Faang è l’acronimo coniato dieci anni fa per identificare un gruppo di società tecnologiche, Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google, che hanno raggiunto dimensioni mai viste in passato, con un peso dominante nei mercati azionari, e il controllo con i loro prodotti e servizi di una fetta ragguardevole della spesa degli individui nel mondo.
Oggi l’acronimo andrebbe modificato con l’aggiunta di Microsoft e Nvidia, il maggior produttore di processori per le applicazioni di intelligenza artificiale (Ia).
Queste due ultime società più le Faang (Faang+2) valgono oggi complessivamente 9.600 miliardi, dopo aver toccato un picco di 11.300 miliardi a fine 2021: ovvero il 49 per cento del prodotto interno lordo americano, 2,7 volte quello tedesco, e più di un quarto dell’intera capitalizzazione della Borsa americana.
La riflessione
La dimensione raggiunta da queste società impone alcune riflessioni sulla ragionevolezza di simili valutazioni, per capire se siamo di fronte a una nuova mega bolla, e sul possibile abuso della loro posizione dominante.
Un terzo aspetto, molto rilevante, riguarda l’impatto che queste società possono avere sull’opinione pubblica e sui comportamenti degli individui: ma che esula l’analisi economica.
La forte concentrazione
La dimensione delle Faang+2 è in gran parte spiegata dalle economie di rete in un settore che richiede poco capitale fisico ed è intrinsecamente sovranazionale.
Il valore di un bene o di un servizio tecnologico è infatti direttamente correlato al numero di individui che lo posseggono o lo usano; né l’industria tecnologica necessita di grandi investimenti in reti di distribuzione fisiche e di impianti di produzione nei vari mercati in cui opera.
Le forti economie di rete e la possibilità di operare globalmente senza grandi investimenti di capitale fa sì che la struttura di mercato in questo settore sia caratterizzata da una forte concentrazione in cui il primo operatore ha la maggioranza della quota di mercato, seguito a distanza dal secondo, mentre il resto è distribuito tra tanti con quote risibili.
Così, fra i browser, Chrome (Google) ha più del 50 per cento del mercato, seguito a distanza da Safari (Apple), con il rimanente del mercato estremamente frazionato; Spotify è leader nella musica via streaming, con Apple lontano secondo; Universal lo è nella musica, seguito da Sony; nei sistemi operativi domina Android, seguito da iOs; nei telefoni, è Samsung con la quota maggiore con Apple al seguito; nelle prenotazioni il leader è Booking, che distacca Expedia; nel cloud è Aws (Amazon) seguito da Azure (Microsoft); nei social media, è Facebook (se si guarda ai ricavi pubblicitari); nel video streaming è un duopolio Netflix-Amazon Prime.
La forte concentrazione e la dimensione del mercato, che nella tecnologia non ha confini nazionali, sono quindi una caratteristica intrinseca del settore tecnologico.
Leader instabili
La struttura di questo mercato è però anche instabile, nel senso che le basse barriere all’ingresso e l’innovazione permettono più facilmente a un nuovo entrante di scalzare il leader. O a chi domina in un segmento di minacciare il leader di un altro segmento.
Netscape aveva una posizione dominante nei browser, per poi essere scalzato da Explorer (Microsoft): entrambi spariti a favore di Chrome. Così è successo a Nokia e Motorola nei telefoni; a WordPerfect e Lotus 1-2-3 nel word processing e negli spreadsheet; a MySpace nei social media, scalzato da Facebook, che oggi si trova a competere con il nuovo arrivato TikTok; ma anche con YouTube di Google e Twitch di Amazon, che a sua volta con Prime ha aggredito il segmento di Netflix; e Microsoft con ChatGpt vuole sottrarre quote di mercato di Google, come Google lo vuole fare con Microsoft nel cloud.
Cambiamenti
La potenziale instabilità della struttura del mercato spiega anche le enormi oscillazioni di valore dei titoli tecnologici. Da inizio 2019 a fine 2021, a cavallo della pandemia, le Faang+2 hanno moltiplicato complessivamente il loro valore per tre volte, per poi crollare del 50 per cento a ottobre 2022, e risalire del 160 a oggi.
Oscillazioni spiegate dalle opportunità che si sono aperte, prima per via del cambiamento nelle abitudini e nell’organizzazione del lavoro causate dal Covid, e poi dall’avvento dell’Ia: è il mercato che scommette su chi sarà in grado di avvantaggiarsene, perché ogni grande cambiamento rende contendibili le posizioni dominanti.
Antitrust
Dimensioni e concentrazione, come si è visto, non sono quindi di per sé indicazione di abuso di una posizione dominante, ma il rischio esiste. Sostanzialmente due sono gli schemi su cui si sono concentrate le autorità antitrust.
Il primo è la promozione dei propri servizi tramite offerte congiunte inscindibili, o che rendono incompatibili i sistemi con quelli della concorrenza.
Sono molti i procedimenti di questo tipo sollevati contro le Faang, con un generale benefico per la concorrenza, ma che non scalfiscono la struttura del mercato. E qualche volta le dinamiche del settore sono più efficaci dell’antitrust come, per esempio, nel caso del lungo procedimento contro Microsoft accusata di promuovere Explorer a scapito della concorrenza, avendolo pre-installato assieme al suo sistema operativo Windows, quando poi è stato Chrome di Google a prevalere.
Più efficaci gli interventi antitrust nei casi di integrazione orizzontale come con Google che controlla sia l’offerta degli spazi pubblicitari online, sia il mercato che ne stabilisce il prezzo. L’avvento dell’Ia cambierà però le modalità con cui l’utente si interfaccia in rete, e il motore di ricerca di Google potrebbe perdere il vantaggio in termini di raccolta pubblicitaria di cui ha goduto fin qui.
Le acquisizioni
Il secondo è la politica delle acquisizioni di chi ha una posizione dominante e cerca di comperare le società più promettenti che si affacciano sul mercato per eliminare un potenziale concorrente.
L’antitrust in questo caso potrebbe bloccare l’acquisizione perché lesiva della concorrenza in ottica prospettica. Ma richiede la capacità di prevedere se l’oggetto dell’acquisizione possa diventare un futuro leader di settore, compito arduo anche per il mercato: basti pensare alla costosa acquisizione da parte di NewsCorp di MySpace, allora leader nei social media, soppiantato qualche anno dopo da Facebook; o quella di Instagram da parte della stessa Facebook, il cui dominio è oggi conteso con successo da TikTok.
Inoltre, si sottostima l’impatto concorrenziale che le società leader in segmenti diversi possono farsi tra di loro e che, come si è visto, è stata un’importante fonte di competizione.
Il governo di internet
Due ultimi aspetti. Le società telefoniche criticano l’indebito vantaggio dei colossi tecnologici che non contribuiscono al costo del potenziamento della rete, pur essendone i principali utilizzatori e beneficiari.
Ma costi di accesso differenziati sovvertirebbe il principio della net neutrality (tutti pagano in egual misura, e a nessuno ha un accesso prioritario) che ha costituito il principio fondante della rete. Cambiarlo, richiederebbe un complesso, quanto difficile accordo, per una radicale ridefinizione del governo di internet.
Il patrimonio dei dati
L’altro aspetto riguarda l’utilizzo da parte delle società tecnologiche dei dati dei propri clienti, un patrimonio di enorme valore che è acquisito proprio in virtù della loro posizione dominante. Se questi vengono utilizzati dalla società al proprio interno non c’è alcun vantaggio illegittimo perché i dati dei clienti sono una componente del valore del servizio, o del prodotto, che viene offerto.
Diverso il caso in cui i dati vengono venduti a terzi perché il profitto così generato assomiglia a una rendita derivante della posizione dominante. Non si può retrocedere questa rendita agli utenti. Ma la possibilità di non farsi tracciare su internet, che la normativa europea concede loro, attenua il problema perché riduce il valore dei dati, privando le società tecnologiche di un indebito vantaggio.
Ma è l’avvento dell’Ia che potrebbe scompigliare ancora una volta la struttura del mercato e le posizioni dominanti. Gli investitori scommettono su chi saranno i vincitori. E l’Europa sta guardare.
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