Le nozze tra Ita Airways e Lufthansa sono cosa fatta. Il 3 luglio la Commissione europea ha approvato la proposta di acquisizione di una quota di Ita da parte della società tedesca. Il via libera è subordinato al rispetto di alcune condizioni offerte da Lufthansa e dal ministero dell’Economia, fino a oggi azionista unico dell’ex compagnia di bandiera. La decisione è stata presa dopo oltre sette mesi di negoziati tra le parti.

Dopo l’ok definitivo la compagnia tedesca, terzo gruppo aereo al mondo, acquisirà il 41 per cento di Ita con un aumento di capitale di 325 milioni; dal 2025 potrà poi salire al 90 per cento e diventare unico azionista entro il 2033. La scelta della Commissione potrebbe rappresentare la fine di una storia lunga sedici anni, durante i quali non si contano gli interventi pubblici per ripianare le perdite della società (12 miliardi dal ’72 a oggi, di cui quasi due miliardi dal 2008).

Il closing dell’operazione avverrà entro novembre, quando sarà convocata un’assemblea straordinaria per deliberare l’aumento di capitale e la nomina del nuovo consiglio di amministrazione, composto da cinque membri: tre nominati da via XX Settembre, tra cui il presidente, e due da Lufthansa, tra cui l’amministratore delegato (dovrebbe essere Jörg Eberhart, già alla guida di Air Dolomiti).

L’approvazione dell’Ue è condizionata «al pieno rispetto dei remedies offerti da Lufthansa e dal Mef». Le due società, infatti, gestiscono un’ampia rete di rotte e la Commissione ha espresso preoccupazioni sul fatto che la fusione avrebbe ridotto la concorrenza su alcune di esse. Da qui la necessità di negoziare i correttivi del caso.

Voli brevi e a lungo raggio

L’intesa, approvata ai sensi del regolamento Ue sulle fusioni, prevede sacrifici da parte delle due compagnie su tre fronti considerati critici: una quota di mercato troppo ampia a Milano Linate, una situazione di monopolio su alcune rotte di corto raggio tra Italia e Germania, Austria e Svizzera, e la riduzione della concorrenza nei voli tra Roma Fiumicino e il Nord America.

Nell’hub lombardo le parti cederanno 17 coppie di slot (pari a 34 voli giornalieri tra andata e ritorno) – un numero più alto delle 11 coppie possedute da Lufthansa – garantendo che almeno un altro vettore possa subentrare alla compagnia tedesca. E stabilirsi in maniera più strutturata nello scalo, operando anche nuovi voli. Tra le società interessate, al momento, risulta Easyjet.

Sulle rotte “problematiche” a corto raggio, dall’Italia verso l’Europa centrale, si prevede che una o due rivali possano subentrare operando voli non-stop per tre anni. Inoltre, andrà garantito che uno di questi vettori abbia accesso alla rete di Ita «per offrire collegamenti indiretti tra alcuni aeroporti dell’Europa centrale e città italiane diverse da Roma e Milano».

Infine, per i collegamenti a lungo raggio da Fiumicino a Chicago, Washington, San Francisco e Toronto – i voli intercontinentali sono i più redditizi – il patto prevede l’ingresso di una concorrente in grado di offrire voli diretti o, in alternativa, di due vettori già presenti (come Air France, Iberia o British Airlines) che assicurino collegamenti con uno scalo nei loro hub europei.

Biglietti più cari?

La fusione apre le porte alla possibilità di rincari sull’acquisto dei biglietti Ita. Il ricarico sulle tariffe ci sarà se Lufthansa estenderà alla compagnia italiana la strategia annunciata a fine giugno, con il costo dei propri biglietti che crescerà fino a un massimo di 72 euro. Aumenti pensati per fronteggiare i costi della normativa Ue a tutela dell’ambiente, a partire dal regolamento Eu Ets. D’altra parte, va considerato che l’efficienza sui costi potrebbe aiutare a ridurre i rincari.

Preoccupazioni in tal senso sono state espresse dai concorrenti, come la low cost ungherese Wizz Air. Secondo l’ad József Váradi, i “rimedi” accettati dalla Commissione sono insufficienti e daranno a Ita e Lufthansa «un predominio che somiglia a un monopolio: turisti e manager pagheranno di più per viaggiare da e verso l’Italia». Motivo per cui la compagnia si opporrà al via libera di Bruxelles appellandosi alla Corte di giustizia dell’Ue.

Il governo cambia rotta

L’acquisizione da parte di Lufthansa segna un cambio di passo per il governo guidato da Giorgia Meloni, i cui membri in passato vedevano negativamente la vendita di asset italiani. Quando Romano Prodi, nel 2008, prese in mano il dossier e andò vicino alla cessione di Alitalia ai francesi di Air France, Forza Italia, Lega e Alleanza nazionale accusarono il premier di svendere i «gioielli di famiglia».

In tempi recenti si ricordano le parole del leader della Lega: «Alitalia non va svenduta a società straniere, ma valorizzata come compagnia di bandiera», diceva Matteo Salvini nel 2018. Un copione ripetuto anche dalla premier contro il governo Conte II, che «invece di pensare al bene pubblico lavora per la rendita di gruppi stranieri», e poi contro il governo Draghi. «Si fa presente ai signori della Lufthansa che non siamo sotto il dominio del Reich», diceva due anni fa Fabio Rampelli (FdI).

La marcia indietro è arrivata una volta al governo, con la necessità di affrontare il debito pubblico e stimolare nuovi investimenti. «Oggi chiudiamo definitivamente un’annosa vicenda storica, è un successo per noi e per tutto il paese», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Per il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, invece, l’accordo coniuga «la tutela industriale della compagnia italiana con la difesa dell’interesse nazionale».

Ma i giudizi entusiastici, oggi, vengono soprattutto da Giorgetti. È lui il grande artefice dell’operazione, già da quando era ministro dello Sviluppo economico con Draghi a palazzo Chigi. Fu Giorgetti, poi nominato al Tesoro, a stabilire che solo un partner come Lufthansa (e non il fondo americano Certares) poteva garantire un futuro a Ita. E sempre al leghista si deve il negoziato con l’Antitrust Ue che ha portato all’intesa finale.

Un pozzo senza fondo

A influire positivamente sul parere della Commissione c’è il fatto che il Mef continuerà ad avere una partecipazione di controllo in Ita. La gestione dell’azienda dipenderà da Lufthansa e la politica avrà un ruolo marginale, ma sul rispetto degli obiettivi il ministero – che per ora conserva il 59 per cento del capitale – non smetterà di vigilare. Lo stato italiano non sembra quindi avere fretta di uscire dall’azionariato di Ita.

«La vicenda degli aiuti di stato si riferisce ad Alitalia. Ita e Lufthansa non avranno più problemi di questo tipo: possiamo dire agli italiani che non ci metteremo più un euro delle loro tasse per coprire le perdite della compagnia», ha assicurato Giorgetti. Inoltre, il colosso tedesco potrà garantire investimenti nella flotta «senza oneri per il contribuente».

Ma quanto è affidabile questa promessa? Davvero gli italiani non dovranno più versare soldi per salvare l’erede di Alitalia? Sulla carta, il passaggio alla società di Colonia chiude la triste vicenda della nostra compagnia di bandiera, ma qualche sorpresa non è da escludere da qui al 2033. «Vorrei che tutto andasse liscio ma credo sia un’illusione, in caso Lufthansa decidesse di chiudere in futuro», ha notato l’economista Mario Seminerio.

La mente torna allo stop dell’economia in seguito alla pandemia di Covid, che mise sotto pressione il settore del trasporto aereo. Molte compagnie, in tutta Europa, rischiarono di chiudere per cessata attività. La crisi coinvolse pure Lufthansa, che nel 2020 arrivò a perdere un milione l’ora e a un passo dal fallimento. La bancarotta fu evitata grazie all’intervento statale, con il governo di Angela Merkel che offrì nove miliardi di euro sotto forma di prestiti e aumento di capitale.

Da allora la compagnia si è ripresa e l’anno scorso ha raddoppiato i ricavi, facendo anche 12mila assunzioni. Il successo della fusione approvata il 3 luglio dipenderà in buona parte dalla solidità di Lufthansa, che oggi gode di ottima salute, e dalla sua capacità di rilanciare Ita (che nel 2023 ha ridotto il rosso a 5 milioni, dai 486 del 2022). Una crisi come quella del Covid non si ripete spesso, ma ha mostrato la fragilità di questo mercato. Da qui al 2033, prima dell’uscita di scena dello stato italiano, la strada è lunga e piena di incognite.

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