Dati alla mano, l’Italia cresce molto meno di quanto i proclami trionfalistici del governo Meloni vogliano far credere. L’Istat ieri ha tagliato le stime di crescita del nostro paese portandole, per il 2024, a un misero 0,5 per cento, la metà di quell’1 per cento sbandierato dall’esecutivo nel Piano strutturale di bilancio appena tre mesi fa.

Le previsioni al ribasso riguardano anche il 2025, quando, sostiene l’istituto nazionale di statistica, il Pil crescerà dello 0,8 per cento, cioè nettamente sotto l’obiettivo governativo dell’1,2 per cento.

Un duro colpo per l’ostinazione ottimistica del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che a inizio novembre, in audizione sulla manovra, aveva assicurato che «le prospettive di crescita a breve termine risultano, nel complesso, ancora incoraggianti», prevedendo che «nel trimestre finale dell’anno, il Pil dovrebbe tornare in espansione».

A sostenere l’aumento del Pil nel 2024, spiega l’Istat nella nota sulle prospettive per l’economia italiana nel 2024-2025 diffusa giovedì, sarebbe esclusivamente la domanda estera netta, con 0,7 punti percentuali, mentre nel 2025 la crescita sarebbe trainata dalla domanda interna, con 0,8 punti percentuali.

Produzione industriale

Sulle stime di crescita per il 2024 pesa la debolezza della domanda interna che «pur beneficiando della tenuta dei consumi delle famiglie (+0,6 percento) sarebbe penalizzata dal decumulo delle scorte di magazzino», un indicatore quest’ultimo che misura lo smobilizzo delle giacenze nel corso dell’anno che, in questo caso, contribuirebbero negativamente alla crescita del prodotto per 0,7 punti percentuali.

A mettere un freno alla crescita del Pil è anche il calo della produzione industriale che ha inciso negativamente sugli investimenti fissi lordi e sulle importazioni e che è alimentata da un lato dalla debolezza attuale dell’economia della Germania – principale partner commerciale dell’Italia – e dall’altro dalla crisi di alcuni comparti produttivi, soprattutto dell’automotive.

«Se l’Italia cresce meno del previsto non è colpa del maltempo, ma di politiche economiche inefficaci», sostiene in una nota Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera. «Oggi a dirlo è l’Istat che riduce il Pil del 2024 allo 0,5 per cento. È il prezzo che paghiamo alla mancanza di interventi seri in favore di settori in crisi, primo fra tutti quello dell’automotive».

La dinamica della produzione industriale in Italia si è cristallizzata ormai su una parabola discendente che, a settembre, ha registrato un calo dello 0,4 per cento rispetto ad agosto e una riduzione di quattro punti su base annua. Un trend in flessione che dura da venti mesi e un segnale d’allarme non indifferente. Con i comparti dei trasporti, dell’abbigliamento e della produzione di prodotti petroliferi raffinati che hanno visto le perdite maggiori, mentre la fabbricazione di apparecchiature elettriche, di computer ed elettronica e le attività estrattive hanno registrato una crescita rispettivamente del 5,9, 1,9 e 1,8 percento.

Il taglio dell’Ocse

A tagliare le stime di crescita per l’Italia per il 2024 e 2025 è stata, mercoledì, anche l’Ocse. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico prevede che il Pil italiano, quest’anno, si fermi a +0,5 per cento da +0,8 per cento stimato a settembre, e nel 2025 a +0,9 per cento dal precedente +1,1 per cento, sotto la media della zona euro che registra +0,8 per cento nel 2024 e +1,3 per cento nel 2025. Una crescita dell’1,2 per cento è prevista nel 2026.

Per Ocse, a pesare, nel breve termine, sono una domanda di esportazioni più debole, influenzata dalla stagnazione nell’area euro e la riduzione del Superbonus per i quali soffriranno i consumi e gli investimenti.

Così, nel suo Economic outlook, l’Organizzazione evidenzia l’urgenza per l’Italia di attuare riforme strutturali per far fronte a problemi ormai cronici quali, ad esempio, l’invecchiamento della popolazione e la bassa produttività. Senza interventi ambiziosi la crescita economica rimarrà al di sotto del suo potenziale. Mentre con politiche mirate l’Italia può garantire una crescita inclusiva e sostenibile. I fondi europei per sostenere la transizione verde e digitale rappresentano un’opportunità, ma il paese deve affrontare con urgenza le sue fragilità strutturali.

Che la crescita economica dell’Italia quest’anno e il prossimo sarà inferiore agli obiettivi del governo rispettivamente dell’1 per cento e dell’1,2 per cento, l’avevano già previsto il Fondo monetario internazionale (Fmi) e Confindustria.

A fine ottobre l’Fmi stimava una crescita dello 0,7 per cento nel 2024 e dello 0,8 per cento per il prossimo anno. Stime simili anche da parte di Confindustria: 0,8 per cento quest’anno e 0,9 per cento nel 2025.

Senza scordare che previsioni di crescita inferiori a quelle del governo sono arrivate nei mesi precedenti anche da Banca d’Italia e dall’Ufficio parlamentare di bilancio. Previsioni e numeri che però, a oggi, non hanno scalfito né l’ottimismo infondato del governo né i suoi proclami impudenti.

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