La Banca centrale europea non tradisce le aspettative e riduce il costo del denaro di un quarto di punto per la seconda volta da giugno, senza però fornire indicazioni certe sulle prossime mosse. Con l’inflazione a un passo dall’obiettivo del due per cento che fa ben sperare ma con le economie dell’eurozona in rallentamento, Francoforte naviga a vista e guarda al futuro con incertezza, senza fissare un percorso chiaro sul ritmo del taglio dei tassi.

E quindi sul futuro sarà quel che sarà, ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde in conferenza stampa: «mi affido allo spagnolo e dico ‘Que serà serà’», ribadendo ancora una volta che «non c'è un percorso predefinito, saremo guidati dai dati anche se non ci siamo fissati su un singolo dato». «Ci aspettiamo», aggiunge, «che il dato di settembre sull'inflazione sarà basso, ma non guardiamo a un solo indicatore». A conferma che con questo secondo taglio, dopo quello di giugno, non inizia nessuno ciclo espansivo: vale a dire le decisioni saranno prese riunione per riunione e dipenderanno dalla valutazione di diversi indicatori.

Così, se da un lato Lagarde sostiene che nell’Eurozona «la ripresa continua ad affrontare venti contrari ma ci aspettiamo che si rafforzi, anche per l'aumento della domanda globale», dall’altro sottolinea che la Bce «resta determinata ad assicurare il ritorno dell’inflazione all'obiettivo del due per cento in modo tempestivo» e per questo «manterrà i tassi a livelli sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario».

Le prospettive restano incerte e nel Consiglio direttivo permangono opinioni divergenti, nonostante ci sia un ampio consenso sul fatto che la restrizione monetaria dovrebbe essere allentata. Ne è prova il fatto che la decisione del taglio di 25 punti base del tasso sui depositi è stata presa all'unanimità.

La Bce ha tagliato il tasso sui depositi, che è il tasso di riferimento per la politica monetaria, portandolo dal 3,75 al 3,50 per cento, mentre per l'aggiustamento tecnico, il tasso sui rifinanziamenti principali è stato tagliato di ben 60 punti base al 3,65 per cento e quello sui prestiti marginali dal 4,50 per cento al 3,90. Poiché, sottolinea la banca centrale dopo la riunione del Consiglio direttivo, «i dati recenti sull’inflazione rispecchiano sostanzialmente le attese, e le ultime proiezioni degli esperti della Bce confermano le prospettive di inflazione precedenti».

La banca ha invece rivisto al ribasso rispetto a giugno le stime di crescita, con il Pil che aumenterà di 0,8% nel 2024, dell’1,3% nel 2025 e dell’1,5% nel 2026.

Per l’Italia che ha un debito pubblico di circa 137% del Pil (dati Eurostat aprile), la riduzione dei tassi di interesse comporta un impatto positivo a lungo termine. Così come per i conti delle imprese e le tasche degli italiani che hanno bisogno di un mutuo o per quelli che già ce l’hanno e devono pagarlo a un tasso variabile. Come sottolinea la Fabi (Federazione Autonoma Bancari Italiani), secondo cui «Le famiglie indebitate in Italia sono 6,8 milioni: di queste, 3 milioni e mezzo hanno un mutuo per l’acquisto di una casa.

Da alcuni mesi le banche, in previsione di un ritorno a una politica monetaria meno restrittiva da parte dell'Eurotower, hanno anticipato la prevista riduzione dei tassi e la discesa potrebbe proseguire nei prossimi mesi». Secondo il Codacons, il taglio dei tassi deciso oggi dalla Bce determinerà un risparmio sulle tipologie di mutuo più diffuse in Italia compreso tra i 13 e i 30 euro al mese, stimando l’impatto sulle spese di una famiglia che ha accesso un finanziamento a tasso variabile per l’acquisto della prima casa.

Gli investitori ora guardano alla Federal Reserve, che la prossima settimana dovrebbe cominciare il taglio dei tassi di interesse, atteso da tempo, con una riduzione di un quarto di punto percentuale, taglio messo a rischio però dopo la pubblicazione dei dati del dipartimento del lavoro Usa secondo cui le assunzioni hanno rallentato nei mesi recenti e l’indice dei prezzi al consumo core si è assetato al 3,2 per cento annuo ad agosto.

Dati tuttavia che hanno dato un motivo in più per ridurre sì i tassi per non rallentare il mercato del lavoro, ma con cautela. Finora, la Fed ha mantenuto il tasso di riferimento della banca centrale statunitense nel range 5,25-5,50 per cento da luglio dell'anno scorso per mantenere una pressione al ribasso sull’inflazione e riportarla verso l’obiettivo del due per cento.

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