Lunedì sera dagli schermi di Rete 4 Giorgia Meloni si è esibita in un monologo ricco di dati scelti con cura per dimostrare l’inesorabile rimonta dell’economia italiana, che «non è più fanalino di coda nelle classifiche europee». Ebbene, mentre i tamburi della propaganda diffondevano il verbo meloniano, già ieri mattina è arrivata una notizia che apre una crepa nel muro delle certezze eretto giusto la sera prima dalla presidente del Consiglio.

I dati aggiornati di Eurostat, l’ufficio statistico della Ue, rivelano che nel 2023 il reddito disponibile delle famiglie italiane è diminuito, mentre la media europea si è mossa in direzione contraria. In Italia, l’anno scorso l’indice è sceso da 94,15 a 93,74 (con il 2008 pari a 100) ampliando così il divario nei confronti dell’Unione, che nello stesso periodo ha visto crescere in media il reddito famigliare da 110,12 a 110,82.

Lavoro: più inattivi

Eurostat ha confermato il miglioramento dei dati sul lavoro. «Non ci sono mai stati tanti occupati in Italia dai tempi di Garibaldi», ha esultato lunedì sera Meloni in tv. Secondo Eurostat, il tasso di occupazione in Italia a fine dell’anno scorso aveva raggiunto il 66,3 per cento della popolazione tra i 20 e i 64 anni.

Il nostro paese, però, nonostante i progressi, resta ultimo in questa particolare classifica, con un distacco abissale, certifica Eurostat, rispetto al tasso medio di occupazione della Ue, che nel 2023 ha toccato il 75,3 per cento, con un incremento dello 0,7 per cento.

La premier lunedì sera ha preferito parlar d’altro e ha citato l’aumento dei contratti a tempo indeterminato, la diminuzione della precarietà e la crescita del lavoro femminile.

Tutto vero, ma c’è anche un’altra faccia della medaglia. Gli ultimi dati dell’Istat segnalano anche un incremento record anche degli inattivi, circa 73 mila in più nel solo mese di luglio, di cui 63 mila sono donne e oltre 50 mila giovani sotto i 35 anni d’età. Quindi, mentre aumenta l’occupazione, si ingrossano anche le fila degli scoraggiati, di chi, per i più svariati motivi, ha smesso di cercare un posto di lavoro.

È tutto da valutare, poi, anche un altro dato che emerge dalle statistiche. E cioè la forte crescita del numero dei lavoratori autonomi. Più partite Iva, quindi, grazie anche ai forti vantaggi fiscali garantiti dalle riforme varate dal governo Meloni. Non è detto, però, che chi si mette in proprio sia anche in grado di guadagnare quanto basta per tener botta sul mercato.

Pil in frenata

Come dire che c’è più lavoro, ma in parte potrebbe essere lavoro povero e non qualificato. Poco male, la premier esulta e si aggrappa anche ai dati sul Pil. «L’Italia cresce più dell’Eurozona», recita lo slogan ripetuto dalla presidente del Consiglio anche dagli schermi di Rete 4.

Proprio lunedì l’Istat aveva però corretto la stima diffusa a fine luglio sull’andamento del Pil del secondo trimestre dell’anno.

È confermato l’aumento dello 0,2 per cento rispetto ai tre mesi precedenti, mentre è stato rivisto il dato sulla cosiddetta “crescita acquisita” per il 2024, cioè la crescita annuale nel caso di un aumento nullo del Pil nell’ultimo semestre. Ebbene, quest’ultimo dato è stato portato allo 0,6 per cento dallo 0,7 per cento stimato inizialmente.

Aggrappati all’export

Significa che la crescita tende a rallentare e che l’obiettivo dell’1 per cento fissato dal governo per fine anno sembra ora meno a portata di mano. Anche perché mese dopo mese, i dati segnalano che consumi delle famiglie e investimenti, componenti fondamentali della domanda, sono praticamente fermi, mentre la domanda estera ha “sottratto 0,3 punti percentuali alla crescita del Pil”, si legge nel comunicato dell’Istat. Un dato, quest’ultimo, non proprio positivo, anche se Meloni in tv ha preferito sbandierare la presunta rimonta italiana nella graduatoria dei paesi con il valore più alto dell’export, alle spalle di Cina, Stati Uniti, Germania e alla pari con il Giappone. Questa notizia va presa con le pinze, visto che nel primo trimestre del 2024, la cosiddetta rimonta italiana è stata favorita dalla forte svalutazione dello yen rispetto al dollaro.

Se poi si guarda l’evoluzione dell’export nei mesi scorsi, lo scenario appare decisamente meno positivo. A giugno, infatti, le esportazioni sono aumentate dello 0,5 per cento rispetto a maggio e nel complesso del secondo trimestre è rimasto stazionario, con l’import che è invece cresciuto dell’1,1 per cento.

Alla fine del secondo trimestre dell’anno, ultimo dato disponibile, la bilancia commerciale resta positiva per 5 miliardi, ma con la domanda estera in stallo pare quantomeno prematuro esultare per la forza del Made in Italy nel mondo.

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