Per il 76 per cento degli italiani lo scontro tra popolo ed élite negli anni a venire sarà molto più forte. Un dato che dato schizza all’83 per cento nella GenZ, mentre nei ceti popolari sale fine al 78 per cento
Il distacco verso le élite è sempre ampio nel nostro paese. La rabbia che cova nelle profondità del sentire italico colpisce in primo luogo i giovani della generazione Z e le persone che fanno parte dei ceti popolare ed attraversa anche il ceto medio. Il tema non è solo orientato all’oggi, ma a destare preoccupazione è che la maggioranza delle persone ritiene che il divario sia destinato ad aumentare in futuro. Per il 76 per cento degli italiani lo scontro tra popolo ed élite negli anni a venire sarà molto più forte.
I numeri
A pensarla così sono innanzitutto i protagonisti del domani, i giovani della generazione Z. Tra le loro fila il dato schizza all’83 per cento, mentre nei ceti popolari sale fine al 78 per cento. Il fattore di scontro ruota principalmente intorno a due aspetti. Il primo è marcatamente di matrice economica, mentre il secondo è segnatamente di natura fiduciaria. Per l’84 per cento degli italiani l’economia contemporanea è «attrezzata e strutturata per avvantaggiare ricchi e potenti».
Una opinione particolarmente presente nel ceto medio basso (86 per cento), in quella ampia quota di persone che nel corso degli ultimi dieci anni ha vissuto un declassamento sociale e una perdita di potere economico e di ruolo. Come sottolineava Christopher Lasch, sociologo americano deceduto ormai trenta anni fa: «Le nuove élite sono preoccupate solo di preservare i loro privilegi e di difendere la loro posizione contro una sempre più ostile sotto-classe».
Una tendenza che, con l’introduzione dell’intelligenza artificiale e della robotica, rischia di subire un ulteriore processo di accelerazione. La percezione della crescita dello scontro tra popolo ed élite non è solo italiana, ma è un tema globale e ha diverse motivazioni. Il filosofo americano Cornel West, ad esempio, punta il dito sul conservatorismo sociale e il basso senso della collettività mostrato delle classi dirigenti: «Le élite sono più interessate a mantenere il loro status quo che a risolvere i problemi della società».
L’analista politico statunitense Thomas Frank, invece, sottolinea il senso di impunità che attraversa le élite: «Hanno creato un sistema in cui possono fallire senza conseguenze, mentre il resto di noi paga il prezzo». La scrittrice indiana Arundhati Roy, denuncia la fame estrattiva del neoliberismo: «Le élite globali si muovono come una nuvola di locuste, devastando il pianeta». Il tema della distanza tra popolo ed élite è marcato anche da un secondo aspetto: la percezione che i professionisti, gli esperti, non capiscano le esigenze e i bisogni delle persone comuni.
Di questo ne è convinto il 76 per cento degli italiani, una quota che tocca l’80 per cento nei ceti popolari e nel ceto medio basso. Anche in questo caso il tema ha molteplici sfaccettature. Ci sono quanti sottolineano, come lo scrittore statunitense Daniel Sarewitz, che «la scienza è sempre più vista come uno strumento delle élite piuttosto che come una fonte di conoscenza per il bene comune».
Altri come il sociologo e antropologo francese Bruno Latour, ritengono che la «distanza tra esperti e pubblico non sia solo una questione di conoscenza, ma anche di fiducia e di valori condivisi». Vi è una poderosa linea critica che addebita l’attuale crisi di fiducia negli esperti ai social network e all’orizzontalizzazione delle opinioni. Ne è un esempio Cass Sunstein, professore della Harvard Law School, per il quale «in un’èra di camere d’eco e bolle di filtraggio, le persone tendono a cercare informazioni che confermano le loro convinzioni preesistenti, piuttosto che affidarsi agli esperti».
Una dinamica di lunga data
Le pulsioni anti-élite nell’Italia contemporanea non nascono oggi e sono un portato di lunga data. Queste dinamiche, nonostante l’apparente calma attuale e il clima narcotizzato cui stiamo assistendo, continuano a plasmare il sottostante panorama sociale e politico, sfidando, in modo silente e non aperto, le strutture di potere esistenti e richiedendo nuove forme di dialogo e comprensione tra diversi strati della società.
La percezione di mancanza di alternative, di nuove vie di cambiamento, che pervade alcuni strati della società, per ora tende a prendere due vie, quella del silenzio ripiegato, del malessere esistenziale vissuto individualmente, o quello della rabbia rancorosa pronta ad esplodere verso gli altri, verso chi viene, verso forme di violenza gratuita. La frattura élite-popolo e il suo ampliamento in futuro non è un buon messaggio per la nostra società né per la nostra democrazia. È anzi una fonte inquinata che può figliare nuove tensioni sociali, nuove forme di rancore sociale e ulteriori spinte populiste.
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