- Il governo vuole una nuova identità digitale per gli italiani nel 2023, che preveda un pieno controllo da parte dello Stato e non di aziende private. Ma al momento non è chiaro come intenda arrivarci.
- Ad oggi l’identità digitale pubblica in Italia – caso unico al mondo – coincide con due strumenti. Il primo – per popolarità e data di nascita (2016) – è lo Spid (Sistema pubblico di identità digitale).
- Mentre il cittadino per usare Spid deve inserire i relativi codici, per la Cie deve inquadrarla con il proprio smartphone (oltre a inserire altri codici).
Il governo vuole una nuova identità digitale per gli italiani nel 2023, che preveda un pieno controllo da parte dello Stato e non di aziende private. Ma al momento non è chiaro come intenda arrivarci.
Ad oggi l’identità digitale pubblica in Italia – caso unico al mondo – coincide con due strumenti. Il primo – per popolarità e data di nascita (2016) – è lo Spid (Sistema pubblico di identità digitale).
È stato concepito nel 2012-2013, governo Monti: lo Stato si limita a fare le regole e a vigilare, è il privato l’attore protagonista. Spid infatti è erogato ai cittadini da aziende fornitrici accreditate, prima su tutte (per numero di attivazioni) Poste Italiane.
Pian piano poi si è fatto strada il secondo metodo, legato alla nuova Carta d’identità elettronica (Cie) e tutto sotto il controllo statale.
Mentre il cittadino per usare Spid deve inserire i relativi codici, per la Cie deve inquadrarla con il proprio smartphone (oltre a inserire altri codici).
L’effetto è lo stesso: accesso online a servizi della pubblica amministrazione, ad esempio per pagare una multa, iscrivere il figlio a scuola, controllare la pensione Inps o il cassetto fiscale sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
Il precedente di Conte
L’idea di semplificare questi sistemi, di rafforzare il ruolo dello Stato e arrivare a un’unica identità digitale pubblica era emersa già sotto il governo Conte II (2019-2021), con l’allora ministra all’innovazione Paola Pisano.
Non se ne fece nulla, nonostante le dichiarazioni di intenti, per la difficoltà di mettere mani al complesso sistema in cui molte aziende, fornitrici di Spid, avevano già investito milioni di euro per fornire l’identità e la relativa assistenza clienti.
Non si è però mai sviluppato il modello di business Spid che doveva reggersi su servizi forniti ad aziende (invece che ai cittadini). Pochissime le aziende interessate a pagare.
Il sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti ha prima annunciato di volere spegnere Spid, per i suoi suddetti limiti, e di arrivare a un’identità unica basate su Cie. Ha poi precisato di non volere «disperdere il patrimonio di innovazione di Spid» ma ha ribadito la necessità di avere una soluzione gestita dallo Stato.
Gli ostacoli al piano del governo Meloni
I principali scogli a questo disegno sono due. Il primo è economico, il secondo è pratico. E sono gli stessi che hanno frenato il governo Conte.
Il primo: come compensare i fornitori di Spid per tutti i milioni di euro investiti finora? Il governo dovrà inventarsi una qualche contro partita, che magari non gravi sulle casse dello Stato.
Poi c’è il problema pratico. Ad oggi Spid è molto più facile e immediato da usare, rispetto alla Cie. Un recente studio del Politecnico di Milano evidenzia che i tempi di utilizzo sono la metà. Infatti, i 32 milioni di utenti Spid l’hanno usato 950 milioni di volte da gennaio a novembre; contro i 19,2 milioni da parte dei 32,5 milioni di utenti con Cie.
Colpa in particolare della difficoltà di inquadrare la Cie con lo smartphone. Solo alcuni modelli sono compatibili, a volte la Cie non viene letta affatto, magari perché si è usurata.
A quanto risulta, il governo sta però per lanciare un nuovo modello di accesso ai servizi pubblici tramite Cie, tutto basato su codici (come Spid), senza quindi bisogno di inquadrarla con smartphone.
Ma come dare la Cie ai milioni di italiani che ne sono privi? Bisogna anche tenere conto della data di scadenza delle attuali carte non Cie e anche dei tempi di lavorazione da parte dei Comuni, che già ora impiegano mesi per dare una Cie.
Oltre Spid
L’idea alla base di Spid era appunto quella di sfruttare le aziende private per svolgere questo lavoro, con la speranza anche di avviare un circolo virtuoso di nuovi servizi digitali pubblici e privati.
Obiettivo riuscito solo in parte: l’Italia è sì riuscita a erogare milioni di Spid senza spendere soldi pubblici né gravare sulla pubblica amministrazione; ma non ha ancora creato un sistema sostenibile nel lungo termine.
I governi precedenti hanno cercato di risolvere il dilemma migliorando Spid, spingendo – anche se con ritardo – sull’ecosistema di aziende private che potevano pagarlo, come nota Marco Bani, del comitato scientifico di Fondazione Italia Digitale e già dirigente in questi ambiti sotto il governo Renzi, Conte I e Draghi.
Bani, come altri esperti, consiglia di insistere su questa strada, raddoppiando gli sforzi su Spid. Il nuovo governo sembra invece interessato a cambiare tutto, nonostante le difficoltà fin qui evidenziate.
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