- Il 16 settembre 1992, passato alla storia come Black Wednesday, George Soros ha fatto il colpo grosso della sua vita ed è diventato ultra ricco.
- Con una doppia geniale manovra al ribasso contro la lira e la sterlina ha causato l’espulsione delle due monete dal Sistema monetario europeo.
- Analizzare cosa è accaduto allore è più che utile, è necessario. Soprattutto perché in certe condizioni una potente ondata ribassista sugli strumenti finanziari di Roma potrebbe accadere oggi.
George Soros, gran speculatore e gran filantropo, odiato dalla destra sovranista, inventore negli anni Settanta degli hedge fund, ha fatto il colpo grosso della sua vita ed è diventato ultra ricco nel settembre 1992. L’uomo dal nome palindromo – il padre a Budapest si chiamava Schwarz, lo ha cambiato per non rivelare l’ascendenza ebraica e sfuggire così ai nazisti – con una doppia geniale manovra al ribasso contro la lira e la sterlina ha causato, trenta anni fa, l’espulsione del pound e della moneta italiana dal Sistema monetario europeo. Era il 16 settembre 1992, passato alla storia come Black Wednesday. Si è parlato di congiura e di complotto pluto-giudaico-massonico, ma è stato davvero così? Vale la pena indagare e soprattutto capire se può ripetersi.
Italia e Regno Unito
Il governo del conservatore John Major e la Banca d’Inghilterra, messi a tappeto dalla potente ondata ribassista di Soros gestita a New York con Quantum Fund, hanno gettato per primi la spugna, proclamando l’uscita della sterlina dallo Sme.
All’Italia è andata perfino peggio. Con smacco infinito per Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, premier e governatore della Banca d’Italia, e degli altri “capataz” dell’epoca – il numero due a Palazzo Koch, Lamberto Dini, il ministro del Tesoro, Piero Barucci (Dc), e soprattutto il potente direttore generale del Tesoro, Mario Draghi – anche la lira crollò sotto i colpi della speculazione sorosiana, fu svalutata del 30 per cento e dovette abbandonare ignominiosamente lo Sme.
Bruciati 48mila miliardi e azzerate le riserve della Banca d’Italia con un’inutile e autolesionistica difesa della moneta, Ciampi presentò le dimissioni. Amato, Barucci, Dini e Draghi avrebbero dovuto seguirlo a ruota, chiudendo lì la loro carriera.
Ma era l’Italia del 1992. C’era ben altro che la finanza e i cambi di cui tener conto. Fu un anno terribile già prima dell’attacco di Soros. In febbraio Mario Chiesa era finito ammanettato dal pool di Mani pulite, primo atto di Tangentopoli. La mafia aveva massacrato, in stragi catastrofiche e spettacolari, i giudici di Palermo Giovanni Falcone (23 maggio) e Paolo Borsellino (19 luglio).
Dopo il Big Short di Soros non partì solo una strategia del perdono guidata dal presidente della Repubblica, il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, dai principali partiti, dall’establishment economico e dai giornali di riferimento. Fu messo in moto un meccanismo addirittura premiale.
Premi per tutti
Amato fu ripulito dal marchio di braccio destro del leader del Psi, il superlatitante Bettino Craxi, divenne ancora premier, ministro, capo dell’Antitrust, ha appena terminato il suo mandato da giudice e presidente della Corte costituzionale. Ciampi si insediò a palazzo Chigi, fu ministro del Tesoro e poi presidente della Repubblica. Dini passò da ministro del Tesoro di centrodestra, a premier tecnico, a ministro degli Esteri di centrosinistra. La superstar divenne Draghi. Dopo un periodo in Goldman Sachs a New York, fu nominato governatore della Banca d’Italia, presidente della Banca centrale europea e tuttora governa (dimissionario) l’Italia.
Soros aveva dato la linea, una strategia di attacco frontale contro le due monete deboli d’Europa, mossa efficace perché scimmiottata da centinaia di avidi broker nelle sale Forex in tutto il mondo. Il capo degli speculatori e i suoi seguaci.
Ma a fare da volano alla svalutazione della lira fu la fuga di denaro dall’Italia dei grandi ricchi che portavano soldi in Svizzera. Dal giugno del 1992 il flusso di capitali in uscita si intensificò fino a diventare uno tsunami proprio quel mese di settembre. Per i timori di un dissesto economico imminente, le banche videro fuggire dai conti 30.000 miliardi di lire. Una valanga di soldi in conti cifrati di paradisi fiscali come le isole Cayman, le isole Vergini britanniche, l’isola di Man, il Liechtenstein e lo Ior, la banca del Vaticano.
Nessun complotto
Non fu però un complotto, spiegò Soros. «L’attacco speculativo contro la lira fu una legittima operazione finanziaria». Nessuna informazione riservata o soffiata da fonti insider del governo Amato. Disse il miliardario: «Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste semmai competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie».
Ci furono danni collaterali pesanti. L’uscita della lira dallo Sme e la perdita di quasi 1/3 di valore su marco tedesco e dollaro Usa consentirono di trasformare molte «privatizzazioni» di aziende di stato, tra cui i colossi dell’energia Eni e Enel, in svendite super scontate.
Operazione epocale – di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze come vediamo dalla crisi energetica – avviata il 2 giugno 1992 nella famosa riunione sul panfilo reale Britannia a cui partecipò anche Draghi. Il sospetto che i “soliti noti” possano aver acquisito quote di beni dello stato italiano con gli stessi miliardi incassati con l’attacco alla lira è sempre rimasto, avallato da testimonianze di politici diversi come Craxi e Paolo Cirino Pomicino.
Per la loro rilevanza, quegli avvenimenti avrebbero diritto a entrare nei libri di storia, invece sia il significato complessivo che i dettagli del Big Short di Soros rimangono ignoti al grande pubblico. Si direbbe anzi un tabù intoccabile. Analizzare cosa è accaduto è però più che utile, è necessario. Soprattutto perché in certe condizioni una potente ondata ribassista sugli strumenti finanziari di Roma potrebbe accadere oggi.
In queste settimane si è discusso di un qualche “paracadute” da approntare con la regia della Bce, cioè un piano di emergenza preventivo che garantisca il «non allargamento» degli spread dei titoli di stato se – come sembra sicuro – il governo di Roma che si formerà dopo le elezioni del 25 settembre sarà espressione di una maggioranza parlamentare di destra con Giorgia Meloni premier.
Governo Meloni
Lo scenario è ad alta probabilità di realizzazione e spaventa sia i mercati che Bruxelles. Soprattutto nell’ipotesi che il nuovo esecutivo voglia contrastare le direttive Ue e non riesca a convincere sulle proprie capacità di risollevare l’economia italiana, grazie al corretto utilizzo dei 200 miliardi previsti dal Pnrr e soprattutto evitando il ricorso a ulteriore debito.
Ma come dovrebbe avvenire, in pratica, un nuovo assalto all’Italia? Esattamente come trent’anni fa si è verificato l'attacco di Soros alla lira. Stavolta però, con la moneta unica, nel mirino ci saranno i Btp e gli altri titoli del Tesoro del gigantesco debito pubblico italiano, pari a 2,8 trilioni di euro (il 150 per cento del Pil).
La finanza internazionale scommette quindi su una perdita di valore dei bond di Roma, su un rialzo dei tassi e dello spread. Un crollo del 10 per cento dei Btp corrisponde più o meno a un guadagno di 250 miliardi per chi si è posizionato dalla parte giusta, una cifra enorme. Pronti alla speculazione ribassista anti Italia sono marchi noti di Wall Street e del mondo degli hedge fund: BlueBay, Cqs, Millennium, Citadel e la solita Bridgewater di Ray Dalio.
Il precedente del 2011
Tra gli investitori globali non mancheranno le statunitensi Goldman Sachs, BlackRock, J.P. Morgan e in Europa Deutsche Bank, sempre presente quando si tratta di speculare. Per capire, ricordiamo cosa è accaduto nel novembre 2011 in uno scenario analogo: dopo un’ondata di vendite sui titoli di stato italiani, il governo di centrodestra di Silvio Berlusconi è stato costretto a dimettersi per lasciare il campo al governo tecnico “lacrime e sangue” di Mario Monti, gradito al blocco di potere di Bruxelles e dei mercati.
Spoiler alert: i ministri del prossimo esecutivo di destra è probabile saranno gli stessi del vecchio governo Forza Italia-Lega. E se per ipotesi al Mef andasse Giulio Tremonti (era ministro del Tesoro con Berlusconi) la nomina darebbe forza agli speculatori. L’attacco all’Italia del novembre 2011 ha portato lo spread Btp/Bund alla quota record di 574 punti, considerata anticamera di un default.
Scenari stile Grecia: la Troika, la crisi economica, i sacrifici. Un copione che oggi sarebbe aggravato da un panorama geopolitico di guerra tra Russia e Nato/occidente, prezzi dell’energia alle stelle, bollette di gas ed elettricità insostenibili per famiglie e imprese del “made in Italy” già devastate dalle sanzioni anti Putin e da un’inflazione (del 9 per cento) ai massimi di 40 anni.
Il problema critico, proprio per le condizioni economico-finanziarie in cui si trova l’Italia, è che la sostenibilità dell’euro (quotato ai minimi di 20 anni e sotto la parità con il dollaro) è di nuovo messa in dubbio. Dieci anni fa, è stata la Bce a porre fine alla crisi del debito Ue, quando Draghi ha promesso di fare «tutto il necessario» per salvare la moneta europea.
Questa volta il problema è più mirato, ma si concentra solo sull’Italia, tuttora terza economia dell’Eurozona. La domanda cruciale è: potrà la Bce fare davvero “whatever it takes” per mantenere Roma in carreggiata? C’è una differenza fondamentale rispetto alla prima crisi del debito Ue e l’oggi. Quella era veramente esistenziale e ruotava attorno a un gruppo di paesi della periferia «mediterranea» noti come PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), con sprezzo soprannominati «club-Med».
Questa volta si tratta solo dell’Italia. Non più Soros, ma decine di simil Soros, grandi speculatori come il miliardario americano-ungherese, sono sempre in agguato per colpire Roma, con catalizzatore atteso la svolta politica a destra del paese. Non per ideologia, non per trame di un complotto, ma per sete di guadagni facili. Sulle spalle di 59 milioni di cittadini.
Luca Ciarrocca, giornalista e scrittore, è autore del pamphlet Soros, Draghi e l'attacco all'Italia.
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