Ogni quando un capo del clan dei Casalesi annuncia la collaborazione con la giustizia si scatena la solita ridda di dichiarazioni. Preti, politici, comitati, semplici cittadini chiedono verità e giustizia sul traffico illecito di rifiuti, quel sistema che a metà degli anni ottanta ha trasformato alcune zone della Campania in una discarica. L’ultima volta è successo con l’annunciata collaborazione, era un falso come anticipato da questo giornale, di Francesco Schiavone, detto Sandokan, capo assoluto della mafia casertana. La realtà da dirsi senza più riempire agenzie e giornali di frasi fatte è che la storia dei rifiuti ha una genia nota, uno svolgimento certo e un esito nefasto, anche questo a tutti conosciuto.

Gelli e criminali

L’inventore della criminalità ambientale, in Campania, ha un nome e cognome: Cipriano Chianese. Chi è? Il suo profilo racconta molto dei responsabili di quel disastro: imprenditore specializzato nel riciclo del ferro, avvocato, politico (si candidò alla camera non eletto con tanto di collegamento con Silvio Berlusconi) e massone. In particolare era aderente a una loggia segreta frequentata anche da Gaetano Cerci, il ragioniere, imparentato con Francesco Bidognetti, detto cicciotto ‘e mezzanotte. Chianese, Cerci, Bidognetti sono stati condannati per la famigerata Resit, la discarica trasformata in una cloaca a disposizione di municipalizzate e imprese pubbliche e private del paese. La mattanza ambientale in Campania ha una origine chiara: i soldi. Soldi utili per corrompere i controllori, fondamentali per ammansire i politici, importanti per le casse dei clan e per quelle degli imprenditori che abbattevano i costi di smaltimento. Bisognava dare una risposta all’aumento di produzione industriale, agli effetti del boom economico dopo aver utilizzato canali stranieri per l’interramento. E qui, vista la portata nazionale dell’affare, entrano in gioco altri poteri: quello massonico e dei servizi segreti. Anche in questo caso non c’è nulla di misterioso, Licio Gelli, capo della P2, ha sicuramente avuto un ruolo nell’intermediazione tra gli imprenditori del nord e i trafficanti di veleni al sud. Ci sono incontri, i racconti dei collaboratori, i riscontri degli inquirenti, da un punto di vista giudiziario la sua posizione è stata archiviata, ma resta il suo nome come facilitatore di quegli incroci. Le indagini e le sentenze non possono essere usate come fine, ma solo come strumento per capire, l’assenza di reati negli anni novanta e di collaboratori di giustizia ha garantito ampia impunità. Impunità e giro di soldi riassunti nella famosa frase di Nunzio Perrella, boss tra i primi a entrare nel business, che disse: «La monnezza è oro e la politica è una monnezza».

Anche gli imprenditori che hanno dato via al business sono tornati, così come quelli che hanno contribuito al disastro smaltendo a basso costo, c’è un elenco dettagliato consegnato agli inquirenti da Gaetano Vassallo, il ministro dei rifiuti del clan dei Casalesi. Molte sigle sono oggi impegnate nello stesso settore con guadagni milionari, alcune erano finite anche nell’informativa del poliziotto Roberto Mancini, datata 1996. C’era anche il nome di un magistrato, Donato Ceglie, per anni riferimento e guida di Legambiente e Libera, vicino agli ambienti criminali (i fratelli Michele e Sergio Orsi) che doveva combattere da pubblico ministero in servizio nel casertano. Da poco è tornato in servizio come giudice civile dopo un procedimento del Csm che lo aveva inizialmente radiato, sempre assolto dai procedimenti aperti a suo destituito. 

Il segreto di Pulcinella

Eppure in libri, incontri, dirette tv si continua a chiedere la verità su quegli anni evocando l’audizione di Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997 e quel segreto apposto, come accade ogni volta in presenza di indagini in corso, come un intrigo di stato. Era un banale segreto investigativo e copia di quei verbali, desecretata nel 2013, erano già da molti anni nella disponibilità dell’antimafia di Napoli, che ne aveva fatto oggetto di investigazioni, approfondimenti, sequestri. Intrigo, dunque, non era e il racconto di Schiavone nulla aveva di inedito e indicibile. Così come nulla di segreto c’è in quella parte di rivelazioni che riguardavano il ruolo svolto dalla sua famiglia (la figlia Rosaria, il genero, successivamente Michele Coppola, cognato di Valter Schiavone, il fratello di Sandokan) nella gestione della discarica di Borgo Montello, a Latina. Che era stata terreno di caccia già dei nipoti di Bardellino, quindi alla metà degli anni ottanta.

La seconda emergenza

Stranamente, però, la richiesta di verità e giustizia si ferma a fatti vecchi, noti, pubblici e oggetto di processi e sentenze irrevocabili. Sembra non interessare a nessuno, invece, ciò che è accaduto dal 2003 al 2010: oltre alla malagestione delle cave di Cipriano Chianese e Gaetano Vassallo, tra Giugliano e Villaricca, c’è il grande affare che ha preceduto la seconda emergenza, quella del 2008 e che ne è stato la genesi e la ragione. Un affare di camorra ma, questa volta, gestito direttamente da Michele e Pasquale Zagaria e dalla loro interfaccia istituzionale: commissariato di governo e Fibe.

È la storia della discarica di Chiaiano, oggetto di un separato processo, acquistata da Zagaria ben prima che fosse ipotizzabile la grande crisi dei rifiuti che portò Napoli e la Campania tutta sulle prime pagine dei giornali italiani e dsstranieri. È la storia di Ferrandella, azienda confiscata Schiavone e requisita nella notte del 20 gennaio 2008 dal commissario straordinario. In quel sito hanno lavorato, per il trasporto e il movimento terra, ditte riferibili in via quasi esclusiva al capoclan di Casapesenna. A detta di Nicola Schiavone, figlio di Francesco “Sandokan” e collaboratore di giustizia, Zagaria riconobbe alla sua famiglia una percentuale sugli incassi: cinquantamila euro di acconto, appena arrivate le prime ruspe, e poi il resto.

È la storia del consorzio di trasporti riferibile ai fratelli Giuseppe (condannato a sette anni di reclusione per la gestione della discarica di Chiaiano) e Franco Carandente Tartaglia, di Quarto, legati a Nuvoletta e Zagaria, che si erano mossi in provincia di Caserta ben prima di entrare ufficialmente in scena.

Le informative fantasma

Nel 2006 l’allora colonnello Sergio Di Caprio, comandante del Noe di Roma, firmò tre informative, datate 7 marzo, 25 settembre e 11 ottobre 2006, dopo un’attività di osservazione in provincia di Caserta, e una richiesta di intercettazioni delle utenze telefoniche di una trentina di persone, tra le quali Fortunato Zagaria, all’epoca sindaco di Casapesenna, e i fratelli Giuseppe e Franco Carandente Tartaglia dei quali viene indicata la vicinanza ad ambienti camorristici. Il Noe, anzi, specifica la mafiosità ad ampio spettro del comparto dei rifiuti: «La società Edilcar srl, di Carandente Tartaglia Giuseppe […], il cui profilo informativo lo colloca in posizione relazionale con il gruppo camorristico facente capo alla famiglia Nuvoletta».

Un anno prima della seconda e più drammatica crisi dei rifiuti in Campania i carabinieri del Noe avevano individuato alcuni degli uomini chiave di quello scempio. Le informative, però, finirono in archivio. Erano state trasmesse non a Napoli, alla Dda, come sarebbe stato doveroso, ma alla Procura di Santa Maria Capua Vetere, anzi al pm Donato Ceglie, che non era neppure formalmente delegato alle indagini sui reati ambientali. Tempo dopo, quando alcune inchieste giornalistiche, riprese da due interrogazioni parlamentari, raccontarono di una trattativa tra il clan Zagaria e apparati istituzionali, la Dda delegò al Noe le attività di riscontro. Neppure in quella occasione fu fatto riferimento alle informative.

A quell’accordo fa un accenno Nicola Schiavone, in un verbale depositato nel processo di appello a Nicola Cosentino, ma dai collaboratori di giustizia riferibili a Michele Zagaria non è giunta nessuna informazione utile dalle indagini. Muti e reticenti, negando di conoscere anche il nome dell’ingegnere Fibe che aveva avallato l’operazione Chiaiano, sponsorizzata dall’allora governo Berlusconi con l’allora sottosegretario Alfredo Mantovano che ai comitati diceva: «scegliete tra lo stato e la camorra». Ecco perché è falso dire che c’è ancora tanto da sapere sullo scandalo rifiuti in Campania. Invocare nuove rivelazioni forse è l’unico modo per non pronunciare l’unica verità certa su questa storia: conosciamo nomi e cognomi dei responsabili, di complici e sodali, ma molti non hanno pagato e non pagheranno mai.

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