Come ogni anno, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, i club professionistici partecipano a iniziative e campagne sociali. Con un gigantesco paradosso: tra i testimonial ci sono anche uomini accusati di violenza sessuale o addirittura condannati in primo grado. Gli statuti dei club non prevedono linee di condotta specifiche. Il confronto con l’estero
In campo contro la violenza sulle donne, di nuovo, come ogni anno, ma restando allo stesso tempo ambigui sul tema come pochi altri ambienti nel nostro paese. In tutti i campionati professionistici, i giocatori porteranno un segno rosso sul volto e messaggi per sensibilizzare sulla violenza di genere, lo faranno in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne di lunedì 25 novembre. Con un gigantesco paradosso: tra i testimonial di questa iniziativa avremo probabilmente anche quattro giocatori già condannati per stupro in primo grado.
Il caso più noto è quello di Manolo Portanova della Reggiana (Serie B), condannato a 6 anni nel dicembre 2022, quello più recente coinvolge Michael Liguori, stella del Padova capolista nel girone A della Serie C, 3 anni e 4 mesi nello scorso ottobre. Altri due giocano in Serie C: sono Gianni Manfrin della Virtus Verona e Santiago Visentin del Cerignola, condannati a 6 anni nel gennaio 2023 assieme ad altri tre compagni, all’epoca tutti della formazione veneta.
Ma l’elenco è purtroppo lungo: Carmine Cretella, con Liguori al Padova, è rinviato a giudizio con l’accusa di aver stuprato una 14enne a Messina nel 2020, quando il calciatore aveva 18 anni. E di nuovo in B, al Catanzaro ma in prestito dal Torino, gioca Demba Seck, due volte accusato di revenge porn. In uno dei due casi è in corso un’indagine nei confronti del pm, sospettato di aver agito per favorire il calciatore per ragioni di tifo.
Un quadro abbastanza allarmante, che non può non sollevare la questione su come il calcio italiano si accosta al tema della violenza sulle donne. Oltre alle iniziative di facciata, urge una profonda riflessione sulle responsabilità dell’intero sistema. Portanova gioca regolarmente perché, come diceva nell’ottobre del 2023 il presidente della Reggiana Carmelo Salerno, i calciatori non devono essere modelli di vita e ai club deve interessare solo ciò che fanno in campo, almeno fino a una sentenza definitiva. Per lo stesso motivo, il Padova ha di recente ribadito che non prenderà alcun provvedimento nei confronti di Liguori e di Cretella.
Le cose sono un po’ più complicate di così. Prendiamo il caso di Seck. Il pm Enzo Bucarelli è stato accusato, nell’agosto 2023, di aver spinto la vittima a ritirare le accuse, di aver cancellato delle prove e di aver avvertito in anticipo il Torino di una perquisizione, telefonando al team manager Marco Pellegri. Il club granata ha quindi avuto un ruolo, seppur penalmente non rilevante, nell’indagine sul suo giocatore: «Il pm è un mito, sta cercando di aiutarci», aveva detto Pellegri all’allora allenatore del Torino Ivan Jurić.
Per quanto riguarda Manolo Portanova, a fine marzo del 2022 venne convocato dal ct dell’U21 Paolo Nicolato e schierato in due partite della Nazionale giovanile, sebbene le accuse nei suoi confronti fossero note dal giugno precedente. Il 28 marzo, il giorno prima di scendere in campo contro la Bosnia e tre dopo aver affrontato il Montenegro, Portanova veniva rinviato a giudizio. Se l’attività che prosegue con i club viene spiegata anche con ragioni di diritto del lavoro, nessun avvocato avrebbe mai impugnato una mancata convocazione in Nazionale.
Cosa succede all’estero
In Francia sembrano più sensibili. Un mese fa l’allenatore della Nazionale di rugby Fabien Galthié ha fatto sapere che Oscar Jégou e Hugo Auradou, accusati di stupro durante la tournée estiva in Argentina, non verranno selezionati finché la loro posizione non sarà stata chiarita. In una intervista con L’Equipe ha detto di non aver dormito per settimane: «Hanno un dovere di testimonianza nei confronti dei giovani».
Fuori dall’Italia si agisce in modo diverso. Nel gennaio 2023 il difensore brasiliano Dani Alves è stato arrestato a Barcellona con l’accusa di stupro, il suo club – i messicani del Pumas – lo ha immediatamente licenziato. In Spagna, Alves è stato sottoposto agli arresti domiciliari, per il rischio di fuga all’estero e per le difficoltà nell’ottenere le estradizioni dal Brasile.
Una cosa che invece non accadde in Italia con Robinho, ritenuto responsabile di uno stupro avvenuto a Milano nel 2013, ai tempi in cui giocava nel Milan: un anno dopo lasciò la Serie A e non rientrò più in Italia. Nel 2022 è stato condannato a 9 anni in Cassazione, ma solo lo scorso marzo le autorità brasiliane lo hanno arrestato per scontare la pena in Sudamerica.
Il mestiere del calciatore necessita di ampia libertà di movimento a causa dei trasferimenti anche internazionali: autorità e società sportive sono davanti a un evidente problema quando si parla di accuse così gravi. Alla fine di dicembre del 2021 il centrocampista Nahitan Nández ricevette un mandato d’arresto in Uruguay per violenze sulla moglie, ma nel frattempo prese un aereo per tornare a Cagliari, dove giocava: nell’agosto 2023 ha pagato un risarcimento alla vittima, non è più rientrato nel suo paese, rifiutando anche le convocazioni della Nazionale. Grazie al suo mestiere di calciatore ha potuto scampare all’arresto.
Una questione di sistema
È difficile non riconoscere delle responsabilità da parte dell’intero sistema in questi episodi. Gli statuti dei club non prevedono linee di condotta specifiche per casi del genere, la prassi che si è affermata nel nostro paese è sostanzialmente quella di ignorare le accuse e anche le condanne, fino alla sentenza definitiva. Una soluzione molto comoda per le società: i processi di questo tipo in Italia possono durare molti anni, decisamente più della durata media del contratto di un giocatore. Far finta di nulla conviene.
Per capirci, il caso Liguori riguarda fatti del 2018 e solo un mese fa si è arrivati alla sentenza di primo grado; nel frattempo, in Islanda, il caso di Albert Gudmundsson – attaccante oggi alla Fiorentina, accusato di molestie nel giugno 2023 - è arrivato alla sentenza di primo grado a inizio ottobre 2024, in poco più di un anno (il giocatore è stato assolto, ma l’accusa ha fatto ricorso). E durante questo periodo la Federcalcio islandese ha deciso di sospendere il giocatore dalla Nazionale.
Le incongruenze
I club italiani preferiscono non prendere provvedimenti per timore di cause legali, si trincerano dietro l’impossibilità di impedire di lavorare a una persona che non ha ricevuto condanne definitive. Ma anche questo punto presenta grosse contraddizioni. Nel momento in cui Portanova ha ricevuto la condanna in primo grado, il Genoa – suo club dell’epoca – ha smesso di convocarlo e alla prima occasione utile lo ha ceduto.
La giustificazione sopra riportata diventa ancora più ambigua se consideriamo che è perfettamente normale che un giocatore possa essere escluso dai convocati della sua squadra per contrasti con l’allenatore o semplicemente perché quest’ultimo non lo ritiene adeguato al progetto tecnico. In questi casi, nessuno teme che il giocatore in questione porti il club in tribunale, la conseguenza che se ne trae è che nel calcio italiano sia legittimo essere messi fuori rosa per ragioni tecniche, ma non se si è accusati di violenza sessuale.
Alla luce di tutto questo, le iniziative nei campi di calcio per il 25 novembre non possono non apparire fini a sé stesse. Le società sono in prima linea quando si tratta di lanciare messaggi di senso generale, ma fanno ben più di un passo indietro davanti ai casi specifici: quale può essere la loro credibilità?
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