Lavorare per sette euro lordi è una realtà che investe soprattutto il mondo del lavoro femminile. Molte lavoratrici, soprattutto nei settori dei servizi, delle pulizie, della ristorazione, dell’assistenza familiare e della cura, guadagnano infatti meno di nove euro all’ora; la soglia rivendicata da chi sostiene il salario minimo. Migliaia di donne e soggettività femminilizzate occupate in questi settori, proprio a causa di salari da fame, vivono in condizioni di grande vulnerabilità e denunciano un clima di povertà e sfruttamento.

Le storie

Miriam (nome di fantasia per tutelarne la privacy) lavora per due cooperative padovane che si occupano di pulizie per uffici: percepisce, in entrambi gli impieghi, una paga netta che ammonta a poco più di quattro euro l’ora. A Domani racconta: «Mi sono appena dimessa dalla prima ditta: dovevo percorrere 26 km per andare e tornare dal lavoro, pagando di tasca mia l’abbonamento dell’autobus, lavorando dal lunedì al sabato».

Per lei la rinuncia al primo impiego è stata necessaria: quasi tutto quello che percepiva come salario, finiva poi nell’abbonamento ai mezzi pubblici. La sua storia è emblematica e unisce altre vertenze delle lavoratrici delle pulizie in Italia, in termini di retribuzione. La sindacalista dell’Associazione diritti lavoratori (Adl) Maryuri Gonzàlez, racconta a Domani: «Tutte le lavoratrici delle pulizie hanno un contratto collettivo nazionale in cui percepiscono una paga media di sette euro e 47 centesimi lordi all’ora».

Anche le lavoratrici Ikea addette alle pulizie hanno le stesse condizioni retributive, con l’aggravante di essere state minacciate quando chiedevano condizioni lavorative più sicure, come spiega a Domani la delegata sindacale Adl di Padova, Habi Ndongo: «Una collega, pulendo, si è ferita. Per questo abbiamo chiesto dei guanti migliori per le pulizie ma l’azienda ha detto no e, subito dopo, sono stata minacciata dal mio responsabile per aver avanzato queste richieste».

Le lavoratrici addette alle pulizie, al montaggio mobili e che si occupano di sistemare i carrelli e pulire la mensa, non hanno diritti sindacali, spiega Gonzàlez: «Da quando è arrivata l’azienda Euro&Promos, che gestisce l’appalto delle pulizie, ha negato alle lavoratrici il diritto di riunirsi in assemblea sindacale retribuita per discutere dei loro problemi». Sussiste, inoltre, un problema legato alla mole di lavoro. Non solo a Padova ma anche in altre Ikea del paese: le lavoratrici, tramite il sindacato, denunciano un sovraccarico lavorativo ingestibile.

Divari salariali

L’economista femminista Azzurra Rinaldi racconta a Domani che il lavoro sottopagato ha caratteristiche tipicamente femminili: «Si trova in settori precari, è caratterizzato da contratti fragili e il settore che riguarda la cura, uno dei più sfruttati, riguarda per più dell’80 per cento il femminile». Sono lavori relazionali non solo meno pagati ma «meno riconosciuti dal punto di vista sociale».

Dagli ultimi resoconti dell’Inps, racconta Rinaldi, c’è «un divario salariale medio del 20 per cento tra uomini e donne. Dal punto di vista di disparità salariale siamo messe malissimo: siamo nella posizione 111 su 146 paesi nell’ultimo report sul Global gender gap del World Economic Forum». L’introduzione di un salario minimo «aiuterebbe ad evitare l’iper sfruttamento delle donne nel mercato del lavoro». Maurizia Russo Spena, ricercatrice sociale per il sindacato Clap, spiega a Domani che: «Una prospettiva sul lavoro femminile e femminilizzato ci aiuta a capire la povertà di genere».

Le donne sono molto più a rischio di povertà, per più ragioni: «L’ineguale partecipazione al mercato del lavoro, minore presenza nei comparti ad alta specializzazione scientifica e tecnologica, la discontinuità dei rapporti lavorativi con alta presenza di lavoro parziale, discontinuo e precario».

Infine c’è un elemento che riguarda il tema della maternità e della distribuzione delle responsabilità di cura: «Gran parte del carico di cura non retribuito è sulle spalle delle donne e solo il 20 per cento dei congedi sono utilizzati dai padri». Le donne, dopo la maternità, sono le più penalizzate nel rientro nel mercato del lavoro: «Una su cinque ne rimane fuori, dopo la nascita del primo figlio. Il 60 per cento subisce una riduzione oraria, perché il reddito delle donne è considerato ancora come accessorio».

L’8 marzo di sciopero

Per la sindacalista Gonzàlez, le lavoratrici sono costrette ad accettare salari «che non permettono di vivere dignitosamente». Molte retribuzioni stabilite dai contratti collettivi «non riflettono l’aumento del costo della vita e non garantiscono il miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle lavoratrici».

L’introduzione di un salario minimo: «Sarebbe uno strumento fondamentale per correggere queste disuguaglianze e dare alle donne la possibilità di avere un reddito dignitoso, che riconosca il valore del lavoro».

Proprio per questi motivi, per il sindacato Adl, bisogna ampliare l’orizzonte delle mobilitazioni: «Riteniamo che sia necessario parlare non solo al salario minimo, ma anche a politiche più ampie che riconoscano il valore del lavoro di cura. Il Reddito Universale potrebbe essere una risposta adeguata per garantire una protezione economica a tutte coloro che oggi sono escluse da qualsiasi forma di tutela». Proprio per questo, il sindacato l’8 marzo sciopera e scende in piazza con le sue iscritte, aderendo allo sciopero transfemminista di Non una di meno.

Per Russo Spena, oltre a questi temi, ci sono altre rivendicazioni di piazza, figlie delle elaborazioni e delle lotte femministe. Si porta in piazza «la vertenza sul reddito di autodeterminazione», universale e individuale, rivolto alle singole persone e non al nucleo familiare, slegato dalla cittadinanza e dalle condizioni di soggiorno, «per uscire dal ricatto del lavoro povero e precario e dalla violenza».

Si chiede, inoltre, di potenziare i servizi che servono a redistribuire il lavoro di cura, che grava pesantemente su donne e caregiver. C’è poi la questione del divario salariale, «anch’essa centrale insieme alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la questione di un welfare universale e la lotta contro le discriminazioni delle persone trans e non binarie».

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