In Sicilia c’è da oltre due secoli, così come in Calabria. E qualche anno in più ce l’ha in Campania, almeno stando ai documenti ufficiali. A Roma invece è durata molto poco e poi si è felicemente e serenamente spenta. Per la gioia di tutti, a destra e a sinistra, di sotto e di sopra. La mafia ha avuto sempre vita molto breve nella capitale d’Italia. E, forse, perché la capitale d’Italia non se l’è mai ufficialmente potuta permettere.

Roma ha sempre negato ostinatamente, per decenni ha tentato in tutti modi di nascondere il suo male e adesso – adesso che le dotte e raffinate sentenze della Cassazione ne hanno fatto evaporare i fumi – può cancellarla, eliminarla anche dal suo vocabolario.

I pendagli da forca restano pendagli da forca, gli zingari di Ostia o della Romanina restano zingari sconci, la mafia è un’altra cosa ed esiste soltanto laggiù. E quando qui appare ancora sotto qualche forma, quando si fa imprudentemente riconoscere, possiamo comunque dire tutto ciò che ci passa per la testa oppure non dire assolutamente niente che tanto nessuno se ne accorge e nessuno si scompone.

La vicenda della chat diffusa da Repubblica fra Paolo Signorelli, portavoce del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, e l’ex capo ultras della Lazio e narcotrafficante Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, è molto significativa perché spiega, e anche molto bene, la sottovalutazione che ancora si fa oggi a Roma del fenomeno criminale inteso come mafia o come qualcosa che le può somigliare. Lo raccontiamo qui accanto, nell’articolo firmato da Nello Trocchia.

Relazioni torbide

Relazioni torbide, che vengono giustificate con un presente di viaggi a Medjugorje e di messe domenicali mai saltate. All’evidente tentativo di sminuire a ogni costo la gravità dei contenuti antisemiti di quella chat fra Piscitelli e Signorelli, si aggiunge una grossolanità degli argomenti – i riferimenti alla fede e ai pellegrinaggi – che ci fa capire quanta poca strada Roma abbia fatto lungo il sentiero di una cultura antimafia. Probabilmente è la città italiana che è rimasta più indietro (non sarà per caso colpa anche di una certa politica che ha il cuore qui?), di sicuro ne ha fatta meno di Palermo e di Napoli dove grandi tragedie hanno generato piccole grandi ribellioni.

A Roma, anche dopo quella famosa indagine su Mafia capitale, è rimasto tutto come prima. Roma è sempre palude. Da ogni parte racconta e si racconta che la mafia è una favola, «un’invenzione dei giornali», come dicevano una volta i boss della Democrazia cristiana e perfino i cardinali giù in Sicilia. Nonostante le straordinarie prove che ha dato di sé un tipo come Massimo Carminati per almeno tre decenni, nonostante «la sua vocazione mafiosa» (parole del presidente della commissione parlamentare Antimafia Gerardo Chiaromonte alla fine degli anni Ottanta), nonostante una classe dirigente di grassatori scoperta dalle investigazioni emerse nel dicembre del 2014.

Oggi nemmeno si prova più a minimizzare come usavano fare questori e prefetti di un tempo, oggi non ci si accapiglia neanche più, oggi la mafia a Roma è stata rimossa, data per estinta dopo l’abolizione per legge. E se la banda della Magliana è un ricordo molto lontano – e in ogni caso la banda è rimasta banda sebbene avesse rapporti con Cosa nostra e servizi segreti, Vaticano ed eversione nera – dalla gigantesca retata di Carminati e compagni sono passati appena dieci anni ma sembra un secolo.

Il dossier dei 101

C’è da chiedersi per esempio che fine abbiano fatto quei 101 personaggi inseriti in quella famigerata relazione dell’allora prefetto Franco Gabrielli, nomi a vario titolo invischiati nelle trame politico-mafiose e segnalati alla procura della repubblica.

Alcuni di quegli “attenzionati” sono ancora in circolazione, si sono riciclati, occupano posizioni importanti nella burocrazia e nell’amministrazione oppure sono stati isolati? Sono fuori dai giochi o gestiscono ancora gare d’appalto, li hanno mandati in esilio o sono stati rilanciati in prima linea dai loro partiti?

C’è da chiedersi anche come le parole scritte nel suo libro da Salvatore Buzzi, l’altro protagonista di quella che fu Mafia capitale, siano rimaste carta straccia malgrado le accuse con nomi e cognomi rivelati sulle spartizioni di bottino fra Campidoglio e regione Lazio. Che altro doveva dire Buzzi più di quello che ha detto? Naturalmente non gli hanno creduto. Roma è capace di ingoiare tutto, a volte pure sé stessa.

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