Il partito di Meloni chiede una mediazione civile dopo gli articoli sulla compravendita della sede. FdI non contesta il regalo ai fascisti, ma l’espressione “cassaforte di partito” per la Fondazione An
Dalle parti di Palazzo Chigi hanno una sola ossessione. E non è governare al meglio. Piuttosto è chiedere soldi a Domani. Ripetutamente: con richieste giudiziarie di risarcimento o inviti alla mediazione civile, che è un’altra pratica per provare a ottenere una somma per presunti danni procurati. Un monito a tutta la stampa non allineata: guai a scrivere del partito della presidente del Consiglio.
L’ennesima lettera è giunta alcuni giorni fa. Questa volta non è un singolo ministro o sottosegretario o capo di gabinetto a firmarla, è il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia. Gli avvocati chiedono di risarcirlo per un articolo «lesivo della sua immagine e reputazione». Attenzione: non perché le notizie pubblicate dal giornale sono false, ma perché ledono l’immagine. Cosa avremo mai raccontato di così irritante? L’inchiesta giornalistica in questione è quella sul finanziamento concesso dalla Fondazione Alleanza nazionale all’associazione “Acca Larenzia” il cui presidente è un militante di peso del movimento neofascista Casapound. Il denaro regalato in forma di “liberalità” è servito all’associazione dei neofascisti per acquistare la sezione di Acca Larentia, il sacrario della destra sociale dove ogni 7 gennaio tutta la galassia nera e post missina va in pellegrinaggio a commemorare i tre militanti del Movimento sociale italiano uccisi «dall’odio comunista», come recita la targa all’esterno della sede romana.
Nessuno dei protagonisti ha ancora spiegato per quale motivo la fondazione ha deciso di stanziare 30mila euro a fondo perduto per offrirli all’associazione legata a CasaPound, invece di spenderne altri 38 per acquisirla direttamente e “cacciare” gli estremisti da quel luogo sacro anche per Fratelli d’Italia. Un mistero che resterà tale.
Prima della pubblicazione, come è prassi qui a Domani, abbiamo dato modo di replicare o commentare ai diretti interessati, senza tuttavia ricevere alcuna risposta. Solo dopo la pubblicazione, e il clamore, hanno risposto tramite una nota mandata alle agenzie: firmata dal presidente della fondazione, Giuseppe Valentino, confermava tutto ciò che avevamo raccontato.
Solo su un punto Valentino ha tentato di negare l’evidenza. E cioè che la fondazione che presiede è un’entità separata dal partito Fratelli d’Italia. E che Arianna Meloni, pur sedendo nel board della fondazione, non ha alcun ruolo operativo. Un’excusatio non petita che nulla aveva a che fare con il focus dell’articolo, in cui definivamo la medesima fondazione la cassaforte immobiliare di Fratelli d’Italia. Arriviamo, dunque, al punto. Nella missiva e nella richiesta di mediazione il partito chiede agli autori dell’articolo e al direttore di Domani 30mila euro per i danni subiti. Quali danni, tuttavia, non è dato saperlo.
Ma visto che le notizie pubblicate erano vere all’epoca (fine agosto) e lo sono ancora adesso, ripercorriamo la vicenda e spieghiamo ancora una volta perché la fondazione e Fratelli d’Italia non possono essere considerate due entità distinte al di là della forma e della narrazione costruita da Palazzo Chigi e diffusa dagli uffici di via della Scrofa 39, la sede del partito e, appunto, della Fondazione An. Definire la Fondazione An cassaforte che detiene gli immobili è, secondo la tesi degli avvocati del partito, una «maliziosa e asserita supposizione». Da qui la richiesta di 30mila euro a Domani.
Partiamo proprio da via della Scrofa 39. La sede di Fratelli d’Italia è di proprietà della Fondazione An, che dunque ha in pancia certamente l’immobile più di pregio del partito di governo. E se non bastasse questo dato per definire cassaforte l’organizzazione presieduta da Valentino, è sufficiente leggere l’elenco degli immobili di proprietà della fondazione o della società immobiliare che controlla per capire che la maggior parte sono utilizzati come sedi da Fratelli d’Italia. L’azienda in questione è la Italimmobili, amministrata da Roberto Petri: è stato uno dei più stretti collaboratori di Ignazio La Russa, ora big del partito in Romagna.
Nel cda della fondazione troviamo diversi esponenti di Fratelli d’Italia: Arianna Meloni, Luca Sbardella (segretario), Fabio Rampelli, Antonio Giordano (vicepresidente vicario), Roberto Menia (vicepresidente), Marco Cerreto, Pierfrancesco Gamba, Antonio Iannone, Filippo Milone, Maria Modaffari, Antonio Tisci. Undici su quattordici componenti sono membri di Fratelli d’Italia. E il presidente Valentino era il candidato a vicepresidente del Csm in quota FdI. Risuonano forte le parole di Franco Mugnai (An) quando nel 2019 a Torino faceva una previsione: «La Fondazione An e Fratelli d’Italia hanno un comune destino».
Non si sa quanto paghi di affitti Fratelli d’Italia alla fondazione. Se qualcosa versa non è tantissimo, lo si capisce dai bilanci disastrosi della fondazione. Perennemente in perdita da anni: nel 2018 aveva chiuso il rendiconto con oltre 3 milioni di rosso, nel 2021 e 2022 con un disavanzo di oltre un milione di euro, infine nell’ultimo rendiconto 2023 il rosso è ancora più profondo: 1,4 milioni. Nel 2021, Valentino, aveva risposto ad alcune nostre domande spiegando che «il valore del patrimonio immobiliare della fondazione è stimabile in circa 20 milioni di euro». Sulle entrate delle locazioni aveva fornito una spiegazione generica: «I canoni provenienti dagli immobili locati ammontano a oltre 450.000 euro su base annua». Cifra, comunque, non sufficiente per presentare un conto in utile o quantomeno con perdite azzerate.
Il partito può, dunque, chiedere il risarcimento a Domani per aver scritto che la sua cassaforte è la fondazione. Ma l’avvertimento non sarà sufficiente a nascondere la realtà: i soldi ai neofascisti e gli immobili occupati dal partito di proprietà della fondazione.
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