Quanti sono i figli della fiamma tricolore. Sono davvero tanti. E tutti convinti di essere gli unici eredi del simbolo del Movimento sociale italiano che ha portato i reduci del fascismo dentro le istituzioni democratiche. Tra liti, guerre legali, grandi amori e tradimenti politici, la fiamma arde ancora nella moltitudine di anime della destra sociale e in quella più smaccatamente neofascista che popola l’Italia e la governa nella sua versione moderatamente nera dal 22 ottobre 2022, insediatasi a Palazzo Chigi una settimana prima del centenario della marcia su Roma delle camicie nere di Mussolini.

Il Movimento sociale italiano è stato fondato il 12 novembre del 1946 dall’ex dirigente del regime fascista e collaborazionista dei nazisti, Giorgio Almirante insieme ai repubblichini di Salò. Almirante cacciatore di partigiani e segretario di redazione della testata. La difesa della razza è ancora oggi il riferimento politico e culturale sia dei neri movimentisti sia dei governativi.

Questa storia di politica e nostalgia, un po’ romanzo di formazione un po’ Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli, non può che iniziare da una strada di Firenze, sconosciuta ai più: Via Frusa 37. Qui alle spalle della stazione dei treni Campo Marte e a poca distanza da Coverciano per lungo tempo hanno condiviso la sede Fratelli d’Italia e Casaggì, ala identitaria, con postura tutt’altro che istituzionale e perciò più libera di riferirsi a simbologie e ritualità del neofascismo.

Casaggì

I cimeli appesi ai muri, le scritte e le immagini sono un richiamo costante al lessico dell’estremismo nero. Ecco un esempio: «Scelgo di vivere nell’idea, di essere l’idea...», è il finale del giuramento che dovevano fare i militari del battaglione italiano delle Waffen SS, come atto di devozione a Hitler. Vivere l’idea, essere l’idea campeggia su un muro di Casaggì, con sotto alcune foto di personaggi che i militanti considerano di riferimento: certamente fino a qualche tempo fa, Alessandro Pavolini, gerarca, ministro di Mussolini, fondatore delle brigate nere, famigerato per il brutale squadrismo.

Solo nel 2023 il partito della presidente del consiglio ha traslocato spostando gli uffici del coordinamento regionale in un’altra area della città. Ma ancora adesso i locali di via Frusa ospitano Azione studentesca, l’associazione giovanile degli studenti che studiano da quadri futuri di Fratelli d’Italia.

Cominciamo da qui, dunque, dove sventola bandiera nera con una torcia dalla fiamma longilinea e tricolore, Vita est militia è il codice di rito scritto in rosso in alcuni di questi stendardi. Che poi è uno slogan che si ritrova un po’ ovunque nella galassia neofascista e sui muri dei quartieri delle grandi città nei pressi delle sedi di gruppi di estrema destra. Solo che Casaggì è un pezzo di Fratelli d’Italia, qui si formano i ragazzi e le ragazze che aspirano al partito. L’ala movimentista che vuole farsi classe dirigente sull’esempio di Francesco Torselli, prima consigliere regionale e ora europarlamentare di Fratelli d’Italia. La fiamma e l’eredità che incarna è il filo che lega queste storie.

Casaggì è sinonimo di Azione studentesca. La giovanile che organizza i campi di formazione in stile Hobbit chiamati Agoghè: il nome greco richiama alla rigida educazione e al duro allenamento cui erano sottoposti i bambini spartani. Gli ospiti del campeggio sono stati soprattutto parlamentari di Fratelli d’Italia. Sul retro di alcune magliette indossano dai piccoli camerati è impressa la scritta “Sangue e terra”. Blut und Boden, sangue e terra in tedesco, è un’espressione coniata da un nazista poi diventato ministro di Adolf Hitler. Ma Sangue e terra è anche un libro scritto da Gian Marco Concas, a capo della spedizione antimigranti nel Mediterraneo con la nave C-Star per bloccare i salvataggi delle ong.

Ambiguità

Nella fiamma si sono riconosciuti e continuano a riconoscersi interpreti diversi della destra post missina, legati, però, a un’appartenenza comune che ha le radici nella storia di Acca Larentia. Lì, davanti alla ex sede dell’Msi, ogni 7 gennaio si riuniscono i nostalgici di un mondo fatto di slogan fascisti e saluti romani per celebrare i tre militanti missini uccisi nel 1978: Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, trucidati sul posto, il terzo Stefano Recchioni morto in seguito agli scontri con la polizia. La sede di Acca Larentia è il sacrario della destra sociale italiana, dal partito di governo fino ai neofascisti che gestiscono i cerimoniali. Come ha rivelato Domani, l’immobile è stato comprato dall’associazione presieduta da un militante di Casapound (i fascisti del terzo millennio) grazie a un regalo di 30mila euro della fondazione Alleanza nazionale.

«La fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia? È in continuità col Movimento sociale italiano», ha spiegato la premier in una recente intervista rintracciabile sul web. «In continuità», pertanto, con quel partito che pure tesserò, per fare solo un esempio, il camerata Massimo Abbatangelo. Il «deputato con la nitroglicerina» – condannato in tutti i gradi di giudizio come fornitore dell’esplosivo utilizzato per l’attentato del 23 dicembre 1984 sul Rapido 904 – rimase parlamentare missino fino al 1994.

Ma «continuità» anche col partito in cui militarono, prima di abbracciare la lotta armata, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, condannati con diverse sentenze per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. In quell’attentato di cui ancora il partito al governo nega la matrice neofascista. Fuoriusciti dal partito, a differenza di Abbatangelo, ma cresciuti in quell’ambiente missino. Come lo fu Ordine Nuovo, che nel ‘50 era una corrente del Movimento sociale, Pino Rauti fu il leader. Poi Ordine Nuovo uscirà dal partito per tornarci nel ‘69: Rauti motivò il rientro spiegando che c’era la necessità di un ombrello protettivo che solo una forza parlamentare poteva garantire.

Più volte la senatrice a vita Liliana Segre ha chiesto a Meloni di eliminare il simbolo della fiamma dal logo di Fratelli d’Italia. Il motivo? Spezzarla una volta per tutte quella «continuità» con l’Msi, col Fascismo. L’appello è però rimasto inascoltato.

Guerre e reduci

In questa continuità storica e di ideali è perciò comprensibile trovare personaggi che sembrano creati da Monicelli, come Gaetano Saya. Le foto di lui che girano online lo ritraggono in divisa cachi da colonnello di una fantomatica guardia nazionale, sullo sfondo, ça van sans dire, la fiamma tricolore.

La fiamma è sua, dice, e aggiunge, documenti alla mano, di aver denunciato tutti per lo scippo subìto. Su questa paternità non ci sono dubbi secondo il maestro venerabile della loggia massonica “Divulgazione 1”, che nel 2005 ha fondato il Nuovo movimento sociale italiano-Destra nazionale. L’anno dopo Saya ne registra il simbolo: la fiamma diventa opera protetta dal diritto d’autore presso il ministero dei Beni culturali e nel 2011 viene anche brevettata, è il racconto del missino nostalgico. Vale a dire che da allora la fiamma ha un legittimo proprietario: Saya, per l’appunto, arrestato diciannove anni fa con l’accusa, da cui poi viene prosciolto, di aver costituito una struttura segreta e clandestina.

Suo nonno – dice l’Archivio 900 – partecipò alla Marcia su Roma di Mussolini. Oggi proprio per amore della fiamma Saya sta combattendo una battaglia giudiziaria. Denunce su denunce contro Fratelli d’Italia. L’accusa è di avergli “rubato” il simbolo che naturalmente ha anche un valore economico. Una delle ultime denunce Saya l’ha presentata davanti alla procura di Trani contro Arianna Meloni in concorso «con ignoti da ricercarsi nell’ambito di FdI». A leggere bene le normative però chi è titolare di un marchio non può impedirne l’utilizzo in ambito politico.

La storia tuttavia si fa più intricata: se il fondatore del nuovo Msi si sente usurpato, la fondazione Alleanza Nazionale contrattacca e accusa, sempre a suon di querele, Saya e signora di utilizzare impropriamente la fiamma. C’è una sentenza del 2016 della Corte d’Appello di Firenze che ad esempio dà torto alla Fondazione An. La Cassazione nel 2019, tuttavia, accoglie il ricorso della fondazione legata a Fratelli d’Italia e rimanda tutto in Appello.

E c’è anche un documento che attesta il pignoramento di un immobile, a Messina, di proprietà di Maria Antonietta Cannizzaro – moglie di Saya e presidente del partito nuovo Movimento sociale italiano – proprio a favore della “saccheggiata” Fondazione An, la quale nel 2014 concede la fiamma a Fratelli d’Italia.

Ma i missini, insieme a nostalgici delle SS e della Repubblica sociale italiana, sono anche i candidati del 2018 delle liste di Italia agli Italiani, il «fronte unitario dell’Area nazionalpopolare», formato dai neofascisti di Fiamma Tricolore e Forza Nuova.

La fiamma nel cuore la porta anche Giuliano Castellino, un tempo leader romano di Forza Nuova e poi fondatore nel 2022 di Italia Libera, condannato per l’assalto no vax alla Cgil. C’è da dire, infine, che sia Forza Nuova sia il Movimento Sociale Fiamma Tricolore entrarono nel 2004 in Alternativa sociale di Alessandra Mussolini, sciolto due anni dopo. Ancora la fiamma tanto cara alla presidente del Consiglio. Il passato imbarazzante e pericoloso che non può cancellare. Perché in fondo sono tutti figli e figlie della stessa fiamma, tramandata nel tempo assieme ai suoi segreti più oscuri di un passato violento.

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