Mehdi Hosseini è arrivato dall’Iran 11 anni fa dalla città di Estefhan. «Avevamo un sito internet di informazione, eravamo convinti che il giornalismo dovesse essere libero, ma non era così – racconta – Ho fatto un po’ di prigione e poi ho deciso di andarmene, in ogni caso non avrei più potuto lavorare».

In Italia utilizza in parte i suoi studi di teatro nella nuova professione che ha intrapreso: l’educatore. «Utilizzo il teatro sociale sia con i bambini, ma anche nei centri di accoglienza per rifugiati o nelle comunità terapeutiche: è utile per la rappresentazione delle emozioni e delle varie dinamiche sociali».

Dal 2018 è con la Cooperativa sociale Giuseppe Olivotti di Mira in provincia di Venezia. «Lavoro molto nei piccoli comuni e quando i genitori mi conoscono sono sempre un po’ perplessi perché non pensano che un educatore possa essere straniero. Nel tempo però vedo che il loro sguardo nei miei confronti cambia e poi iniziano a chiamarmi per chiedermi consigli. Questa per me è una soddisfazione enorme, è parte del mio lavoro sulla multiculturalità che non riguarda solo i bambini ma tutta la società».

Il sogno spezzato

Hosseini però non sa se potrà continuare a esercitare la sua professione perché l’8 maggio scorso è entrata in vigore la legge 55/2024 che istituisce l’albo degli educatori professionali socio-pedagogici e l’albo dei pedagogisti.

Il 6 agosto ha fatto richiesta di iscrizione all’Albo ma secondo la legge l’iscrizione è subordinata a «essere cittadino italiano o di uno stato membro dell’Unione europea o di uno stato rispetto al quale vige in materia la condizione di reciprocità».

«Solo dopo aver mandato la richiesta di iscrizione ho saputo di questo particolare – continua – non riesco a descrivere le sensazioni che ho provato, delusione, ma poi anche sbigottimento: lo stato italiano mi ha accolto, mi ha formato e poi non mi fa lavorare».

L’educatore iraniano ha ottenuto il riconoscimento come educatore studiando in Italia all’università di Padova, con i 60 Cfu permessi dalla legge Iorio del 2017 (uno dei vari tentativi di riordinare la professione) e prendendo un Master in linguaggio non verbale all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Discriminazione illogica

Questa discriminazione, secondo l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, è anticostituzionale, oltre che illogica. «Cosa gliene viene allo stato italiano se c’è o non c’è un albo degli educatori in, che ne so, Guinea Bissau, e se un Italiano vi si può iscrivere rispetto all’esercizio della professione di un cittadino di quel paese in Italia?», si domanda Alberto Guarino che sta seguendo questa vicenda per Asgi.

L’associazione ha deciso innanzitutto di inviare una lettera alla presidente del Consiglio, alla ministra del Lavoro e al ministro della Giustizia affinché intervengano con un decreto urgente o con una circolare. Se questo non sortirà effetto faranno causa per sollevare la questione di costituzionalità. «Lo straniero regolarmente soggiornante – spiega l’avvocato Guarisio –  detiene tutti i diritti civili e sociali riconosciuti ai cittadini italiani secondo l’articolo 2 del testo unico sull’immigrazione, che è stato riconosciuto da molte sentenze come un’applicazione dell’articolo 3 della Costituzione “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”». Per cittadini, dice la Cassazione, si intende la comunità che risiede in Italia, non necessariamente chi ha la cittadinanza.

C’è l’idea forse che alcune professioni per la loro delicatezza siano da limitare a cittadini italiani o europei, seguendo un principio nazionale e non di competenze e diligenza di cui tanto si parla? Ma né medici, né avvocati, né ingegneri, né architetti o assistenti sociali hanno questo limite per l’iscrizione ai rispettivi albi.

Leggi fatte con il copia e incolla

«Io penso che semplicemente che abbiamo fatto copia e incolla da albi precedenti, quello degli psicologi è così ad esempio, ma va tenuto conto che è stato scritto nel 1989». Questa l’opinione di Silvio Premoli, professore ordinario all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

«In realtà ho trovato un’indicazione del ministero della giustizia del 2015 in cui si diceva di non tenere conto delle norme discriminatorie, era riferito all’albo dei commercialisti. Un errore giuridico grave su cui si dovrà mettere mano». Anche perché le classi di pedagogia, racconta ancora Premoli, sono piene di ragazzi e ragazze di origine diversa di cui molti, probabilmente, privi di cittadinanza.

La legge 55 è al centro di molte polemiche tra gli addetti ai lavori. «In pochi hanno seguito l’iter di questa legge – spiega Paolo Felice, presidente di Legacoopsociali del Friuli-Venezia Giulia – Solo quest’estate, quando si è capito che una prima scadenza per iscriversi all’albo era il 6 agosto, in particolare per tutti coloro che esercitano la professione senza una laurea, le regioni sono andate nel panico perché molti educatori non rientravano nei requisiti richiesti dall’albo».

Tanto che lo stesso ministero della Giustizia ha annunciato una consultazione con le parti interessate a settembre. La norma è stata spinta da Fratelli d’Italia e dalle cinque associazioni che rappresentano gli educatori professionali in Italia: Anpe (Associazione nazionale pedagogisti italiani), Associazione professioni pedagogiche, Coordinamento nazionale pedagogisti ed educatori, Feder.Ped. (Federazione nazionale delle associazioni professionali di Ccategoria per pedagogisti ed educatori socio-Pedagogici) e Apei.

«Secondo i nostri calcoli sono già 100mila le richieste di iscrizione – dice Alessandro Prisciandaro presidente di Apei – è un grande risultato, nonostante tutti coloro che remavano contro. Per i cittadini stranieri certo che non è giusto che non possano essere iscritti, ma fateci fare l’Albo, ci siamo quasi, e lo correggeremo».

Ma secondo i calcoli fatti dallo stesso Prisciandaro questo non succederà prima del 2026. Nel frattempo Mehdi Hosseini impugnerà la mancata iscrizione all’albo, nonostante sia lui stesso in attesa di ottenere la cittadinanza. «Tutti mi dicono di aspettare – spiega – ma questa non è una battaglia che faccio solo per il mio caso personale, è una battaglia contro le discriminazioni».

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