Dagli Europei 2021 al Mondiale 2022 e i Giochi 2024 è sempre stata eletta migliore centrale al mondo. L’etichetta di leader silenziosa le piace poco («Quando mi voglio far sentire non ho peli sulla lingua»), è diventata la capitana della Nazionale. Con idee chiare sul futuro: «Vorrei lavorare con i più piccoli. Nel nostro sistema scolastico lo sport non ricopre il giusto ruolo»
La signora dei muri. Sta insegnando alle nuove generazioni di bambine il mestiere di chi salta a rete per fermare l’attacco avversario. Dagli Europei del 2021 passando per il Mondiale del 2022 fino al trionfo ai Giochi di Parigi è sempre stata eletta la migliore nel ruolo di centrale. Per inseguire la sua pallavolo, a 13 anni ha lasciato la casa di famiglia a Roncadelle, paesino bresciano di 9400 abitanti diventato nel 2024 il più medagliato d’Italia con ben tre ori olimpici, Alice Bellandi nel judo, Giovanni De Gennaro nella canoa, e appunto lei, Anna Danesi. Capitana della nazionale femminile, alta 195 cm, sguardo da cerbiatto, una rigidità morale e un culto del lavoro, un carattere pacato che le vale la nomea di leader silenziosa a lei poco gradita.
«Amo il silenzio, è vero. Nelle trasferte con la squadra non mi piace isolarmi ascoltando musica, mi piace anche il silenzio del pullman mentre sono in viaggio. Ma non sono propriamente silenziosa. Quando mi voglio far sentire non ho peli sulla lingua, nello spogliatoio parlo eccome. Diciamo che preferisco quando mi definiscono una leader calma».
Ha cercato il silenzio anche a Parigi. È l’unica che non ha preso parte ai festeggiamenti notturni, ha preferito andare in camera a dormire.
Abbiamo vinto l’oro verso le 14.30, lo abbiamo celebrato tutto il pomeriggio e la sera ero stanca, avevamo l’aereo del ritorno cinque ore dopo. Ma non sono stata l’unica, c’era Ilaria Spirito mia compagna di stanza. Ho pensato: festeggio come si deve quando torno in Italia, adesso ho bisogno di dormire.
Non si è fatta alcun regalo post vittoria olimpica, solo un tatuaggio sul braccio sinistro
Sono fatta così, mi considero già fortunata. Non do molta importanza alle cose materiali. Con il senno di poi, ho fatto benissimo perché il 4 dicembre ho ricevuto la spiacevole visita dei ladri in casa a Monza…per fortuna la medaglia d’oro di Parigi non la conservavo lì.
A 28 anni ha acquisito esperienza e maturità nel gestire ogni situazione?
Ci provo. Se gioco male una partita, se sbaglio un’azione, non mi incavolo più con me stessa come una volta, ma ci metto ancora un po’ a metabolizzare la delusione. In generale sono molto esigente con me stessa, il mio fidanzato (n.d.r. Davide Spinelli, fisioterapista Vero Volley Milano) me lo ripete spesso: non essere un soldatino. Sono una che ragiona molto, me lo riconosco come pregio ma anche come difetto.
Parlando di sbagli da metabolizzare, si torna al motto dell’avventura olimpica: qui e ora. Il mantra coniato dal CT Julio Velasco, a suo dire per cercare di ammorbidire quel senso di colpa che spesso è innato nelle donne. A Parigi tra voi azzurre discutevate anche di questo?
Ci trovavamo tutte insieme ogni sera per darci un obiettivo quotidiano. Del tipo: domani giochiamo e dobbiamo essere così. Erano riunioni anche brevi, di pochi minuti, ma servivano a liberare ciò che sentivamo dentro.
Riunioni che hanno contribuito a cementare uno spirito di squadra. Per anni si è spesso romanzato di malumori nello spogliatoio dell’Italvolley femminile, si è pontificato sull’incapacità di riuscire a fare gruppo. Voci che spesso vi hanno ferito. Con Velasco e con il suo staff siete riuscite ad andare oltre.
Nello sport femminile c’è da sfatare il concetto di amicizia come favoletta per costruire una squadra. Non è necessario essere amiche, anche perché è normale che in un gruppo ci siano preferenze, ragazze con cui hai più feeling rispetto ad altre, accade in qualsiasi altro contesto lavorativo. In una squadra è invece fondamentale avere un obiettivo comune, remare tutte insieme dalla stessa parte. All’inizio è stato strano lavorare con Velasco come CT. Sono nata nel 1996 quindi non ho vissuto la Generazione dei Fenomeni con i trionfi dei suoi azzurri negli anni 90. Lui appariva quasi come un essere mitologico, c’era una sorta di riverenza nei suoi confronti. È riuscito a toccare corde sia emotive sia tecniche, sapeva esattamente cosa avessimo bisogno in quel momento. È una persona che non ha timore di niente e nessuno. Anzi, è una domanda che mi frulla da tempo in testa, gliela farò al prossimo raduno della Nazionale: Julio, ma tu di cosa hai paura?
Ultimamente ripete che voi azzurre vi dovete dimenticare dell’oro olimpico. Sceglierà una data come punto di partenza per non parlare più del successo di Parigi, nemmeno nelle interviste. Forse ha paura che vi sediate sugli allori?
Questo non accadrà mai, lo dico con assoluta certezza a nome di tutte. Nello sport si riparte da zero, sempre. Anzi, quando si vince tanto poi si ha ancora più fame. Lo vogliamo dimostrare al prossimo Mondiale in Thailandia (22 agosto-7 settembre 2025, ndr)
Nella sua bacheca personale manca un unico titolo, proprio l’oro mondiale
Ecco. Appunto. Le assicuro che noi azzurre abbiamo ancora voglia di spaccare tutto.
Velasco confermato alla guida dell’Italvolley fino alle Olimpiadi di Los Angeles 2028
Io ci sarò. Se lui mi convocherà, ovvio. Avrò 32 anni, dovrò imparare a gestire il corpo e il tempo che passa, ma ce la posso fare.
Ha appena detto che in una squadra non occorre essere amiche, ma lo scambio di medaglia tra lei e Myriam Sylla sul gradino più alto del podio di Parigi è il gesto simbolo dell’amicizia. Racconta molto della vostra sintonia, di come avete gestito una situazione che poteva magari creare attriti, cioè quando Velasco ha scelto lei come capitana proprio al posto di Sylla.
Myriam era consapevole della scelta del CT, non abbiamo mai avuto bisogno di alcun chiarimento perché amiche lo siamo davvero. Siamo cresciute insieme sin dalle nazionali giovanili. Quest’anno giochiamo insieme anche nello stesso club con il Vero Volley Milano dove sono tornata a giocare a distanza di due anni.
Quindi, il suo vero ricordo del cuore di Parigi qual è?
A livello tecnico un muro in contrattacco che ho messo a segno all’inizio del terzo set nella finale olimpica contro gli Stati Uniti. A livello emotivo invece un video che mi ha inviato su Instagram un tifoso italiano che non conosco. Mi ha scritto: ero sugli spalti e ho girato queste immagini per caso, forse ti fa piacere averle. È un video di me che corro ad abbracciare i miei genitori dopo la vittoria. In quelle immagini c’è il senso di tutto. Dei sacrifici di mamma e papà, mi hanno sempre sostenuto, mi seguono ovunque. Ci metto pure i miei di sacrifici, dal 2011 non trascorro una estate con loro perché sono sempre in ritiro tra collegiali e manifestazioni con la Nazionale. Siamo abituate a giocare tantissimo, per esempio con il Numia Vero Volley siamo tornate dal Mondiale per Club in Cina e non abbiamo festeggiato il Natale perché il 26 dicembre ci aspettava la trasferta a Roma per un match di campionato. L’agonismo richiede fatica e dedizione ma le tante estati lontane dalla famiglia confesso che sono la cosa che mi pesa di più, il non aver potuto creare tanti ricordi insieme ai miei.
Una capitana secchiona. Due lauree, una in Scienze Motorie l’altra in Scienze dell’Alimentazione, e ora studia per la terza in Psicologia con tesi sulla leadership nell’insegnamento
Mi serve ad ottenere i crediti formativi per l’abilitazione all’insegnamento, Voglio diventare maestra di educazione fisica alle elementari. Nel nostro sistema scolastico lo sport non ricopre il giusto ruolo che meriterebbe, c’è pure il problema delle molte palestre fatiscenti, ma vorrei lavorare con i più piccoli. Sperando di non aver troppo a che fare con i genitori. Ho molti amici che sono allenatori di squadre giovanili e mi raccontano cose assurde: genitori che intervengono, anche a casaccio, vanno dai coach a dire loro cosa devono fare, in cosa sbagliano. A volte fatico a capire questo mondo.
Che cosa la disturba in particolare?
La mancanza di educazione. La poca inclinazione all’ascolto. Ma soprattutto la mancanza di dialogo, siamo tutti connessi ma noto che la gente non riesce a comunicare. In questo rendo merito a Davide, siamo fidanzati da più di 3 anni, io a volte riconosco di essere una testona ma lui mi ha insegnato a non chiudermi, a parlare, ad esternare i miei pensieri. Quante cose ci perdiamo quando basterebbe aprirsi di più.
© Riproduzione riservata