In nome della continuità didattica si incatenano i docenti alla loro cattedra. Che con gli ultimi concorsi regionali può trovarsi anche a centinaia di chilometri dalle famiglie. Un vincolo che si è deciso addirittura di rafforzare
È estate: i prof sono in vacanza sotto l’ombrellone… O forse no. Siamo ad agosto, ci sono ancora i concorsi, le 150 preferenze delle Gradutorie provinciali di supplenza, le immissioni in ruolo. E, per migliaia di docenti, l’attesa della risposta della domanda di assegnazione provvisoria.
Cos’è l’assegnazione provvisoria? È una domanda di mobilità, aperta a docenti di ruolo e personale Ata che può venire richiesta su un comune diverso da quello di titolarità. È sia provinciale che interprovinciale e interregionale. Per i docenti, può essere chiesta più volte di seguito e su tutte le classi di concorso per cui si è abilitati (mettendo come prima la propria). Il periodo delle domande, generalmente, va da metà giugno ai primi di luglio.
Per richiederla bisogna avere uno di questi requisiti: ricongiungimento ai figli o agli affidati di minore età con provvedimento giudiziario; ricongiungimento al convivente (valgono anche i parenti!), al coniuge, alla parte civile; situazioni gravi di salute, convalidate da certificazioni sanitarie; ricongiungimento al genitore.
Perché si chiede? L’assegnazione è pensata per i ricongiungimenti: nella lista delle 15 scuole da selezionare, si parte con un criterio di “viciniorità” (si mette per prima la scuola più vicina alla residenza a cui ci si vuole avvicinare). Se si ottiene l’assegnazione, si perde tutta l’annualità di servizio maturata nella scuola di titolarità.
Com’è andata quest’anno? Il Contratto collettivo integrativo che riguarda le assegnazioni fa riferimento al periodo 2019-2022 e non è mai stato rinnovato: dal 2022 c’è una contrattazione annuale tra ministero e sindacati (tra maggio e giugno) che lo rivede, con un tira e molla all’ultimo minuto.
Quest’anno l’intesa risale al 27 giugno e le domande sono state presentate tra l’11 e il 24 luglio. I risultati? Del doman non v’è certezza: l’anno scorso sono usciti il 28 agosto. Il primo collegio docenti cadrà verosimilmente il 2 settembre: tralasciando questioni banali come l’affitto, il trasloco, le contingenze personali, il docente avrà ben pochi giorni per prepararsi all’anno scolastico.
Va aggiunto che le assegnazioni provvisorie “bloccano”, fino alla pubblicazione, le nomine delle supplenze: le segreterie tremano e noi le capiamo. Non è questo però l’aspetto più controverso.
Quest’anno, per i neoassunti 2023-2024, è stato rinforzato il vincolo triennale che vieta il trasferimento; l’assegnazione è stata ridotta alla provincia di titolarità e le deroghe riguardano solo la presenza di figli con meno di 12 anni (e poi?) o la qualifica di caregiver.
La richiesta di cambiare scuola, da fuori, può sembrare un capriccio, invece spesso è una necessità: con i recenti concorsi a base regionale molti hanno preso il ruolo a centinaia di chilometri dalla residenza, dalla casa per cui pagano un mutuo, dalle persone care. Non possono muoversi per tre anni, anche se si liberano posti vicino a casa, mentre i loro colleghi, negli anni scorsi, hanno potuto farlo, perché fino al 2023, dopo l’anno di prova, erano permesse sia l’assegnazione provvisoria sia il trasferimento.
Il principio difeso è quello della continuità didattica. Ma un insegnante è una persona e come tale ha esigenze al di là del lavoro. Perché lavori bene non basta che sia fisicamente presente: bisogna che sia sereno, abbia una rete di supporto, si riconosca nel contesto di lavoro. Possibile che un prof viva con le valigie sempre in mano, prima per le supplenze e poi per un ruolo intrappolante?
Avere tolto, di colpo, la possibilità di avvicinamento, ha messo in difficoltà migliaia di docenti. La risposta non può essere che l’importante è avere un lavoro, che «nella vita bisogna rischiare», che questa è la gavetta.
La scuola è una funzione imprescindibile della società e non tutelarne i docenti significa non tutelarne il funzionamento. Il rispetto per il docente, caldeggiato dal ministro Valditara, non passa solo dagli studenti e dalle famiglie. Prima di tutto deve passare dal ministero.
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