Doveva essere un’arena di scontro e invece si è risolta in un cambiamento di piccola portata. L’assemblea straordinaria Figc tenuta lunedì scorso ha concesso un contentino alla Serie A e segnato una sconfitta per il patron laziale Lotito. In vista delle elezioni di marzo
Giunti a sera restava qualcuno in fibrillazione. La battaglia per la riforma dello statuto della Federazione Italiana Gioco Calcio (Figc) si era chiusa da ore con un esito che spazza via ogni chiacchiera, ma ancora dall’ufficio stampa della Lega Pro si affannavano a fornire l’interpretazione autentica delle dichiarazioni rilasciate dal presidente Matteo Marani dopo il voto. E doveva esservi dell’ansia travolgente, nelle stanze della lega fiorentina, se un uso ad minchiam della rubrica telefonica portava a contattare il Russo sbagliato.
Pazienza, almeno è servito a accorgersi che Marani aveva dichiarato qualcosa di cui, nel flusso indistinto dei riflessi post-assemblea, nessuno aveva avuto percezione. Mi si nota di più se esterno, o se rettifico quello che ho esternato?
In fondo l’aneddoto è un emblema di quanto accaduto dentro e intorno all’assemblea straordinaria della Figc tenuta all’Hotel Hilton di Roma Fiumicino. Tutti pronti per l’arrivo dell’apocalisse e invece stava soltanto passando l’arrotino.
Non ci sono più gli OK Corral di una volta. E chi si aspettava il duello fra il presidente federale Gabriele Gravina e il presidente laziale (nonché senatore di Forza Italia) Claudio Lotito per interposto presidente della Lega di Serie A, Lorenzo Casini, è rimasto deluso. I fuochi erano già stati bruciati nel corso dell’estate. L’autunno s’è portato via tutto. Compreso un consigliere federale di Lega Pro, offerto dal rettificante Marani in un impeto da uomo delle istituzioni. Quel consigliere se lo prende la Serie A, che poco se ne fa. Rima zoppa, un po’ come il rabbercio del nuovo statuto. Ma se dentro l’assemblea è successo quasi nulla, è stato tutto l’intorno a meritare il prezzo del biglietto.
Gioco dell’otto
Un generale senza esercito. Tale ha scoperto di essere Claudio Lotito, che lunedì ha collezionato la sconfitta più sonora della sua carriera da dirigente sportivo. La battaglia per dare un maggior peso della Lega di Serie A fra le componenti del calcio italiano è stata portata avanti soprattutto da lui. Che un po’ raccoglieva il sentire dei colleghi, ma molto andava avanti per l’irresistibile tentazione di fare la guerra a Gravina.
Ruggini antiche e forse insanabili, che stanno alla base del conflitto permanente tra Figc e Lega Serie A degli anni più recenti. Anni in cui a Lotito è stato attribuito il governo ombra della cosiddetta Confindustria del calcio italiano. E magari sarà solo un’interpretazione malevola su come le cose vanno in via Rosellini, Milano. Ma resta il fatto che, fin qui, il presidente della Lazio aveva saputo giocare coi numeri e fare in modo che portassero esattamente nella direzione da lui tracciata. Anche a costo di far eleggere un presidente di Lega per un solo voto di maggioranza. Puro resultadismo: l’importante è vincerla, la ragione arriva ex post.
Ma allora, proprio perché la foggia del senatore (uno che si fa eleggere in Molise rivendicando di avere avi abruzzesi nati a Amatrice) porta verso resultadismo, ecco che proprio l’errore sui numeri si fa clamoroso. Perché le cifre parlano chiaro: 83 per cento di voti in favore della riformina di Gravina significa 83 per cento di voti contro Lotito. Ma il numero più impietoso per il presidente della Lazio è un 8: i voti contrari alla riforma dello statuto, che sono anche soltanto 8 dei 20 possibili da conteggiarsi fra gli aventi diritto dei club di Serie A. Dunque, all’appello mancano gli altri 12. Praticamente, il senatore Lotito non controllava nemmeno i suoi.
Nel computo quei 12 voti sono andati in astensione, anche se stando a ciò che racconta qualche retroscena erano stati in procinto d’essere favorevoli alla riforma (e dunque contro Lotito). Evidentemente ha prevalso l’intenzione di non far trapelare l’immagine di una Lega spaccata (sai la novità...), ma soprattutto di non umiliare il presidente della Lazio. Che ammaccato lo rimane comunque. In fondo, chi l’ha armata a fare una battaglia estiva con tanto di emendamento Mulè (collega di partito) al Decreto Sport, se poi l’esito doveva essere una fettina di torta (magari pure vegana) in più?
Il messaggio è forte e chiaro, e arriva innanzitutto a lui. Glielo recapitano i colleghi della Lega di Serie A. Meglio cercare le mediazioni anziché la guerra permanente. Sicché, lunedì sera all’Olimpico in occasione di Lazio-Cagliari, la faccia di Lotito era tutto un programma politico. Sfumato. E manco un provvidenziale colpo di sonno, di quelli che in Senato lo stanno rendendo più iconico che mai, a corrergli in soccorso.
Fango e arena
E dunque la vince Gravina. Nel senso che i titoli parlano di una modifica dello statuto Figc. Quanto alla portata del cambiamento, essa è equiparabile a un cambio di colore delle tende nella sala meeting di via Allegri, Roma. La Serie A passa da tre a quattro consiglieri in Consiglio Federale, con un peso elettorale che si sposta dal 12 al 18 per cento. Roba forte. Per il resto, rimane tutto pressoché invariato. I pesi rimangono quelli, i grandi elettori pure. E l’assemblea di via Rosellini si conferma un circo volante dove il ceffone incrociato è il passatempo preferito.
Piuttosto, passa agli atti la mossa comunicativa con cui il presidente Figc ha plasmato il clima emotivo dell’assemblea. Quel riferimento alle presunte operazioni di dossieraggio di cui Gravina sarebbe vittima ha colto nel segno.
Sulla questione c’è in corso un’indagine della magistratura, dunque l’uso dei condizionali è di default. Gravina ha voluto mettere immediatamente in campo il tema, durante il discorso con cui ha aperto i lavori dell’assemblea straordinaria. Giusto per dire che il tema è politico, e che si sarebbe votato anche su questo. Per poi ribadire il concetto durante la conferenza stampa post-voto. I nomi dei presunti dossieranti sono stati omessi, ma davvero è precauzione vana. Basta fare una puntata sul web e li si ritrova al primo giro di motore di ricerca. Mancava solo gli interessati saltassero su in conferenza stampa, per chiedere se per caso si stesse parlando di loro.
I piani di Gravina
Comunque sia, sul piano comunicativo la mossa ha avuto sull’assemblea gli effetti sperati. Piuttosto c'è da capire cosa succederà da qui in avanti. Una battaglia, di quelle importanti, è stata portata a compimento. Ciò significa anche che la guerra è finita? Legittimo dubitarne. Certe inimicizie non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. E in attesa che accada, c’è da eleggere un presidente federale.
Dunque la palla torna a Gravina: si ricandida o no? Nell’incontro con la stampa il presidente ha fatto la sfinge. Ma è difficile pensare che non abbia già deciso. Il voto è fissato per marzo 2025, mancano quattro mesi che sono tanti e pochi. Andranno spesi a cercare alleanze e mediazioni, ma ci sarà anche da capire quale sarà, da qui in avanti, il profilo che la Lega di Serie A vorrà assumere.
Dallo scontro con la Figc, che pareva in posizione di debolezza, ha finito per uscire indebolita la Serie A. E in linea generale, di attori forti in giro non se ne vede.
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