Anche in assenza di inchieste gli attacchi ai pm sono una costante nei primi due anni di governo. Ma la premier e i fedelissimi guardano con sospetto anche alcuni ministri «legati alle élite»
Un complotto tira l’altro. In questi quasi due anni di governo, Giorgia Meloni e i suoi fedelissimi Fratelli d’Italia hanno dato prova di eccellenti capacità di invenzione nella narrazione di una realtà fatta di poteri occulti il cui unico desiderio sarebbe far cadere il governo a colpi di inchieste giudiziarie. L’obiettivo cui rivolgere le minacce è una certa magistratura complice di una parte della stampa sgradita. Nemici esterni, certo.
Tuttavia la sindrome dell’accerchiamento a che fare pure con presunti complotti ”traditori” interni. Il grado di preoccupazione ha raggiunto un livello tale che persino dentro il partito, confermano autorevoli fonti, circolano sospetti su alcuni ministri, un tempo molto ascoltati ora un po’ meno per via di presunti rapporti con quelle che qualcuno ha definito «putride élite» che sarebbero in grado, secondo l’assioma meloniano, di sfibrare l’esecutivo per poi soppiantarlo con i «soliti burattini».
È noto che la cerchia di Colle Oppio non abbia mai amato Guido Crosetto, i cui rapporti con Meloni oggi sono assai tiepidi, mentre Antonio Tajani e gli altri ministri di Forza Italia da settimane vengono considerati alla stregua di una quinta colonna: l’apertura sullo ius scholae per dare cittadinanza ai figli di immigrati che concludono la scuola in Italia è visto come una provocazione per spaccare il governo. Meloni ieri non h apprezzato nemmeno l’uscita del ministro Matteo Piantedosi, che ha aperto a una discussione «non ideologica» sul tema.
Il livello si è alzato a tal punto che non c’è neppure bisogno che qualcuno dei meloniani finisca sotto indagine: siamo alla fase degli allarmi preventivi. Come nel caso di Arianna Meloni, mai indagata ma che qualche procura “rossa”, secondo il retroscena pubblicato da Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti, sarebbe pronta a mettere sotto inchiesta con tanto di titolo di reato ipotizzato: traffico di influenze, fattispecie peraltro depotenziata dallo stesso governo Meloni.
La sorella della presidente del consiglio, a capo della segreteria organizzativa di Fratelli d’Italia, è la figura oggi più potente nel partito appena sotto la premier. Perciò l’articolo ha scatenato reazioni durissime del partito.
L’indagine fantasma su Arianna Meloni è solo l’ultimo allarme infondato lanciato in pasto all’opinione pubblica.
Da Santanchè a Delmastro
Luglio 2023 è il mese in cui Meloni decide di alzare il livello dello scontro con la magistratura. Due fatti in sequenza la convincono che attaccare sia la soluzione migliore.
Il 5 luglio Domani pubblica la notizia dell’iscrizione sul registro degli indagati, non più segreta, per falso e bancarotta della ministra Daniela Santanchè.
Il giorno successivo il giudice per le indagini di Roma respinge la richiesta di archiviazione per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per la rivelazione del contenuto dei documenti riservati sui colloqui dell’anarchico Alfredo Cospito in seguito alla visita ricevuta da un gruppo di parlamentari del Pd.
Questi due fatti avevano preoccupato molto Palazzo Chigi, che tramite alcune veline aveva lasciato trapelare un pesante attacco alla magistratura. O meglio l’accusa era riservata a una «fascia» delle toghe colpevoli di muoversi in sincronia con opposizioni e pezzi dell’informazione. In quei giorni Meloni aveva parlato ai suoi di giustizia a orologeria, concetto molto in voga durante la sua esperienza nel governo Berlusconi.
Alcuni mesi più tardi, a fine novembre, a evocare complotti di ogni genere è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Intervistato al Corriere paventava un golpe giudiziario: «Questo governo può essere messo a rischio solo da una fazione antagonista che ha sempre affossato i governi di centrodestra: l’opposizione giudiziaria. Non mi sorprenderebbe, da qui alle Europee, che si apra una stagione di attacchi su tale fronte». E ancora: «A me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a “fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”».
Crosetto temeva per sé e per altri del ristretto cerchio di potere attorno alla premier. Con questa intervista ha aperto la stagione degli attacchi preventivi, cioè stoccate violente verso possibili “nemici” pur in assenza di prove o pericoli concreti, fondati solo su timori, supposizioni.
Due settimane più tardi è toccato al Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti creare un cortocircuito interno alla destra, con la pubblicazione di un articolo dal titolo: «Inchiesta su Crosetto». Talmente spericolata come operazione che si è adirato persino il ministro, che ha deciso di querelare Sallusti. Come rivelato dal nostro giornale, l’editore della testata ha dovuto risarcire con circa 35mila euro il ministro. Non c’era, infatti, alcunea indagine su Crosetto, era stato soltanto sentito come testimone dalla procura di Roma per le dichiarazioni sul complotto apparse sul Corriere.
Il caso Arianna
Il cortocircuito tutto interno alla destra culminato con lo scontro Giornale – Crosetto è utile per comprendere anche l’ultimo capitolo sulla sindrome dell’accerchiamento. Notizia ancora una volta data dal quotidiano di Sallusti il cui editore è il parlamentare leghista Antonio Angelucci, legatissimo in realtà al gruppo di potere di Fratelli d’Italia nel Lazio.
L’inchiesta che non c’è, con i vertici del partito al corrente dell’inesistente di fascicoli sulla sorella della premier, è per ora l’ultimo capitolo di una recita iniziata con l’insediamento a Palazzo Chigi di Meloni e destinata a proseguire con nuove puntate.
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