Complotto, doppio complotto e contro complotto. Pur in assenza della regia di Nanni Loy, resta comunque il titolo più azzeccato per lo spettacolo messo in scena dalla destra al governo, che evoca trame inesistenti a tal punto da produrre cortocircuiti imprevedibili. Ed è ciò che è accaduto a destra, con Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti e il ministro della Difesa Guido Crosetto, l’esponente di governo più in vista nonché fondatore del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia.

Il primo - scopre Domani - costretto a risarcire il secondo, dopo una mediazione civile, con circa 35mila euro. Crosetto si era sentito diffamato da un articolo dello scorso dicembre pubblicato dal quotidiano che fu di Silvio Berlusconi e ora è del parlamentare leghista, ras della sanità privata, Antonio Angelucci. Ancora una volta ruota tutto attorno a un presunto complotto ordito dalle toghe rosse evocato da Crosetto in un’intervista al Corriere. All’allarme farlocco è seguito un inaspettato doppio complotto tutto interno, scaturito da un articolo del 7 dicembre pubblicato da Il Giornale diretto da Sallusti, che titolava «Inchiesta su Crosetto».

Un servizio che voleva in teoria essere in favore del ministro (solo sentito dai pm di Roma in merito alle dichiarazioni rilasciate sulle possibili trame eversive delle toghe rosse per azzoppare il governo Meloni). Crosetto però denunciò Sallusti accusandolo di essere manovrato da «mandanti».

Infine, il contro complotto d’agosto: la prima pagina de Il Giornale con il retroscena sull’intenzione, di qualche procura non meglio specificata, di indagare Arianna Meloni, la sorella della presidente del consiglio, a capo della segreteria organizzativa di Fratelli d’Italia, la figura oggi più potente nel partito appena sotto la premier. L’articolo ha scatenato reazioni durissime di Fratelli d’Italia contro la magistratura politicizzata, persino la presidente è intervenuta con parole al vetriolo contro le toghe nonostante non ci sia alcun riscontro sull’esistenza di indagini nei confronti di Arianna Meloni.

Da Crosetto a Meloni

Ben prima dell’affaire Arianna Meloni, quindi, c’è stato un caso Crosetto. Il metodo è identico. Il Giornale apre l’edizione del 7 dicembre con un titolo sensazionale: «Inchiesta su Crosetto». Nel sommario spiegavano che il ministro era stato «sentito dai pm di Roma per le frasi sui complotti dei magistrati».

L’evocazione di un grande complotto, dunque. Fin qui nulla di nuovo, la solita narrazione vittimistica cui ci ha abituato questa destra fatta di accuse generalizzate e fumose, prive di ogni riscontro, contro alcuni pm, le temibili toghe rosse, e la stampa non allineata ai voleri governativi.

Ma è quel che accade nelle settimane successive all’intervista del Corriere a dare tutt’altro sapore all’ennesima minaccia alla magistratura. Torniamo così allo scorso 7 dicembre e al titolo «Inchiesta su Crosetto». Il ministro ha ritenuto quell’articolo e la titolazione diffamatoria, perciò ha chiesto un risarcimento al giornale amico, che fu di Silvio Berlusconi, il cui editore attuale è il parlamentare leghista Antonio Angelucci, molto vicino a Fratelli d’Italia.

Visto che l’inchiesta non è mai esistita e che il titolo era una bufala, la partita si è chiusa con circa 35mila euro dati al ministro. La definizione della vicenda è avvenuta in sede di mediazione civile, procedimento che ha la finalità di evitare i processi mediante un accordo economico. Contattato più volte, Sallusti non ha ancora risposto alla nostra richiesta di commento.

Crosetto aveva sintetizzato così la vicenda e la sua gita in procura a Roma: «Ho avuto un incontro con il procuratore capo di Roma, cordiale e istituzionale, nel quale abbiamo parlato del tema da me sollevato nell’intervista al Corriere della Sera». Poi l’attacco frontale al Il Giornale, accusato di essersi «inventato di sana pianta un titolo gravemente diffamatorio, totalmente falso, costruito evidentemente con il solo intento di infangare».

Ma non finiva qui: «Un atto gravissimo per il quale ho dato immediatamente mandato di denunciare in ogni sede possibile», perché «non si può trattare di un errore», ma piuttosto di «chiara volontà di mistificare la realtà e trasmettere un messaggio, lo ripeto, tanto diffamatorio quanto falso, inaccettabile». Poi il gran finale: «Non posso ora esimermi dal capirne la ratio e soprattutto i mandanti».

Alcuni retroscena pubblicati in quei giorni aggiungevano altri elementi, per esempio Crosetto avrebbe detto ai suoi che la pubblicazione del Il Giornale «deve avere un motivo, nulla è casuale», per di più «su un giornale che dovrebbe essere “amico”, sempre garantista, non può essere che per “errore” esca una cosa così...». Alcuni giornali avevano anche raccontato di una visita riparatoria dell’editore Angelucci che avrebbe bussato al ministero per scusarsi e rassicurarlo, «lui non ne sapeva niente», gli avrebbe detto. A nulla, tuttavia, sarebbe servita visto che Crosetto la querela non l’ha mai ritirata.

Sallusti dal canto suo non aveva risparmiato critiche all’atteggiamento del ministro: «Mi sembra che sia molto nervoso e quando uno è nervoso perde la lucidità. Il titolo è una sintesi, l’inchiesta è sulle parole di Crosetto, non su Crosetto. Io non so quali sono i mandanti di Crosetto, so che io non ho mandanti».

Un cortocircuito il cui esito è utile per comprendere anche il metodo giornalistico e politico usato nella vicenda della sorella della premier: una notizia che non esiste, un’indagine fantasma, un reato (traffico di influenze) del tutto depotenziato.

Le prove? Ai media di destra e a Palazzo Chigi che li cavalca non servono. Ma guai a parlare di menzogne. Per i patrioti sono verità alternative.

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