- Sei persone sono state individuate come colpevoli della morte dell’ambasciatore e del carabiniere Iacovacci. Ma troppe cose non quadrano, a partire dal movente. Sembra solo una risposta alle pressioni italiane.
- Dopo l’agguato del 22 febbraio scorso sono partite tre inchieste sul triplice omicidio. La prima è quella della procura di Roma, condotta dal pubblico ministero Sergio Colaiocco, la seconda è del dipartimento di sicurezza dell’Onu per conto del Pam, la terza è dei magistrati congolesi.
- Lo scorso 9 gennaio, di domenica, il ministro Luigi Di Maio ha inviato una lettera al direttore del Pam chiedendogli di contribuire a far luce sull’uccisione di Attanasio, Iacovacci e Milambo e auspicando «una rapida risposta alla richiesta di elementi utili per le attività investigative in corso».
A vederli ammanettati, scalzi, vestiti poveramente e seduti sul prato davanti al comando di polizia di Goma, non sembrerebbero proprio gli autori di uno dei più gravi attentati mai compiuti nella Repubblica Democratica del Congo. E invece i sei giovani arrestati martedì devono rispondere di un’accusa pesantissima: secondo il comandante di polizia del Nord Kivu, generale Aba Van Ang, avrebbero fatto parte del commando che ha progettato e tentato il rapimento dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e quindi ucciso il diplomatico, il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.
È lo stesso Van Ang a dare la notizia in una conferenza stampa improvvisata sullo stesso prato su cui siedono i sei arrestati, davanti ad alcuni rappresentanti della stampa, e poi riportata dal giornalista di France24 Justin Kabumba. Al momento non ci sono conferme ufficiali da parte del governo di Kinshasa. La versione di Van Ang è che i sei arrestati facessero parte di una banda armata chiamata Aspirant a capo della quale ci sarebbe un settimo indiziato, al momento latitante.
«Solo due di loro – ha detto Kabumba all’Agenzia Italia - sono accusati dell’assassinio dell’ambasciatore, uno ha confessato». L’ipotesi degli inquirenti congolesi è che i rapitori puntassero a chiedere un riscatto di un milione di dollari ma che, una volta venuti a contatto con i ranger del parco del Virunga, avendo compreso che il rapimento era fallito, abbiano deciso di uccidere Attanasio e Iacovacci.
La svolta
Fin qui la notizia battuta con entusiasmo da molte agenzie internazionali che fa gridare alla svolta. Le novità arrivano dopo mesi di inerzia e mancata collaborazione con i nostri inquirenti da parte delle autorità di Kinshasa. L’inchiesta congolese sugli omicidi, stando alle dichiarazioni di dirigenti locali di polizia, sembrava arenata, mentre le rogatorie della procura di Roma e le stesse richieste di minima collaborazione erano state regolarmente rimandate al mittente.
In attesa di ulteriori conferme, l’arresto dei sei presunti membri del commando assassino suscita però alcuni dubbi e perplessità. Già a maggio scorso, a poco più di due mesi dalla morte di Attanasio e Iacovacci, lo stesso presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, in un’intervista rilasciata ad Africa News, sbandierava una «svolta nelle indagini» e l’arresto degli assassini. I fermati, piccoli delinquenti locali, sono stati tutti rilasciati di lì a poco perché assolutamente estranei all’uccisione di Attanasio.
In questo caso la notizia appare più circostanziata e più fondata su incastri criminali comprensibili, ma gli interrogativi restano molti. Innanzitutto sulla decisione di uccidere Attanasio e Iacovacci. Se si trattava di un rapimento e se, all’arrivo dei Ranger, i presunti rapitori si sono visti in pericolo e hanno deciso di darsi alla fuga per timore di venire arrestati o addirittura uccisi, che esigenza avevano di prendersi il tempo di mirare e colpire Attanasio allo stomaco e Iacovacci alla gola?
È strano anche che colpiscano solo loro due e, non sparando nel mucchio, lascino illesi i restanti quattro componenti della missione (il settimo, l’autista Milambo, era stato freddato sùbito, all’inizio dell’agguato), tutti membri del Pam (Programma alimentare mondiale) tra i quali l’italiano Rocco Leone, vicedirettore dell’organismo Onu in Congo.
Nuovi interrogativi
È verosimile, poi, che si orchestri il rapimento del rappresentante diplomatico di uno dei paesi più importanti al mondo, un’azione che, per dirla con le parole di Salvatore Attanasio, il padre dell’ambasciatore ucciso, «potrebbe scatenare una guerra», per un milione di dollari?
Lascia infine perplessi che, a rivelare una svolta simile nelle indagini attorno a uno dei fatti di cronaca internazionali più gravi del 2021, sia un capo di polizia locale senza la minima conferma da parte del governo. Strano che a dare l’annuncio dell’arresto non sia proprio il presidente Felix Tshisekedi, al momento in visita di stato a Brazzaville, né un comunicato ufficiale della presidenza della Repubblica o di un organo di governo centrale. La notizia ha fatto il giro del mondo solo grazie al tweet di Justin Kabumba, il giornalista di France24 presente alla conferenza.
L’arresto dei sei presunti membri del commando che avrebbe ucciso l’ambasciatore, Iacovacci e Milambo, più che far pensare a un filone investigativo finalmente serio e fondato, aggiunge ulteriori interrogativi a un quadro a dir poco nebuloso.
Indagini a vuoto
Dopo l’agguato del 22 febbraio scorso sono partite tre inchieste sul triplice omicidio. La prima è quella della procura di Roma, condotta dal pubblico ministero Sergio Colaiocco, la seconda è del dipartimento di sicurezza dell’Onu per conto del Pam, la terza è dei magistrati congolesi.
Se si escludono l’iscrizione nel registro degli indagati della procura di Roma del dirigente del Pam congolese Mansour Rwagaza per incuria e falso in atti d’ufficio e l’arresto dei sei componenti della banda avvenuto ieri per il quale si attendono conferme, l’indagine è rimasta sostanzialmente ferma per gli atteggiamenti assunti dalle autorità del Congo e per la mancanza di collaborazione del Pam.
I primi hanno vagato nel buio per mesi tra sostanziale indifferenza alle richieste dei nostri magistrati e mancanza di fondi e interesse necessari al proseguimento delle indagini. I secondi si barricano dietro presunti diritti diplomatici al silenzio che hanno finito per irritare lo stesso ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Le visite
In questo quadro si inseriscono le tre visite che negli ultimi mesi il presidente Tshisekedi ha svolto in Italia. In un’occasione è stato accolto al Quirinale dal presidente Sergio Mattarella e dalla vice ministra degli Esteri Marina Sereni. A margine della riunione G20 tenuta in Italia ha avuto un colloquio con il primo ministro Mario Draghi.
Di che cosa hanno parlato? È verosimile che con il presidente del paese in cui è stato ucciso l’ambasciatore italiano non si sia discusso dello stato delle indagini e della mancata collaborazione dei magistrati congolesi? È possibile che l’arresto dei sei presunti componenti della banda Aspirant sia il tentativo di dare una risposta alle sollecitazioni da parte italiana? A quasi un anno dall’uccisione di Attanasio è lecito chiedersi, anche alla luce delle ripetute visite di Tshisekedi in Italia, quale sia lo stato reale dei rapporti Italia-Congo, come l’uccisione di Attanasio abbia influito su questi rapporti e quali siano le vere partite in gioco.
Il silenzio del Pam
Quanto al capitolo Pam, la questione, se è possibile, si fa ancora più complessa. Tutti i funzionari del Programma alimentare mondiale coinvolti a vari livelli nella vicenda si rifugiano dietro la facoltà di non rispondere, agitando un’immunità diplomatica a loro garantita.
Di che tipo di silenzio si tratta? Probabilmente un istituto a cui ricorrere nel caso di indagini interne allo stesso organismo per le quali, comprensibilmente, i membri coinvolti possono avvalersi della possibilità di tacere con esterni. Ma la stessa misura può valere per un’indagine in corso della magistratura italiana su due rappresentanti delle nostre istituzioni uccisi? In altre parole davvero la procura di Roma non può interrogare i funzionari Pam coinvolti? Neanche i partecipanti alla missione sopravvissuti all’agguato, tra i quali l’italiano Rocco Leone? E ancora, il magistrato Colaiocco ha mai convocato Leone? Se sì, il dirigente Pam ha opposto formalmente la sua immunità diplomatica e Colaiocco gliel’ha riconosciuta? Nel caso, perché?
Sarebbe interessante fare chiarezza su questi punti per non alimentare i dubbi che gravano sull’organismo Onu, responsabile di aver dichiarato sicura (“green”) una delle strade più pericolose del Congo e di aver presentato, nella persona di Rwagaza, la richiesta di vetture solo 12 ore prima del viaggio, omettendo che nel convoglio viaggiavano Attanasio e Iacovacci e eliminando di fatto la possibilità di ottenere scorta e blindati. Alla fine di tutto questo, il Pam ha deciso di trasferire tutti i dirigenti locali, tra cui lo stesso Leone, dal Congo a destinazioni varie senza neanche premurarsi di avvertire i nostri inquirenti.
Lo scorso 9 gennaio, di domenica, il ministro Luigi Di Maio ha inviato una lettera al direttore del Pam chiedendogli di contribuire a far luce sull’uccisione di Attanasio, Iacovacci e Milambo e auspicando «una rapida risposta alla richiesta di elementi utili per le attività investigative in corso». Speriamo che le pressioni facciano breccia nell’organismo Onu e si allarghino le maglie fin qui strettissime della burocrazia e che magistrature italiana e congolese e Pam formino finalmente un corpo unico nel perseguimento della verità.
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