- «Quanti anni rubati», diceva Settimia Spizzichino, un’ebrea romana sopravvissuta ad Auschwitz, quando qualcuno le chiedeva del lager. Le vittime del genocidio ebraico sono state talmente numerose che se volessimo osservare un minuto di silenzio per ciascuna di loro dovremmo tacere per undici anni e mezzo.
- Secondo l’ideologia nazista, il nemico, definito su base razziale, doveva essere annientato, in una visione apocalittica in cui il Terzo Reich avrebbe dato inizio a un mondo nuovo, governato dalla superiore razza ariana.
- Il Giorno della memoria, il 27 gennaio, è un monito: ci ricorda che tollerare il razzismo, in ogni sua espressione, permetterne la diffusione, apre fatalmente la strada alla violenza omicida.
«Quanti anni rubati», diceva Settimia Spizzichino, un’ebrea romana sopravvissuta ad Auschwitz, quando qualcuno le chiedeva del lager. Quanti anni portati via a milioni di donne, uomini, bambini. Quanto avrebbero vissuto ancora? Quanto futuro è stato loro negato? Definiva la Shoah «il più grande furto della storia».
Innumerevoli anni rubati, sei milioni di vite spezzate. Le vittime del genocidio ebraico sono state talmente numerose che se volessimo osservare un minuto di silenzio per ciascuna di loro dovremmo tacere per undici anni e mezzo.
È il triplo del tempo impiegato dai carnefici per sterminarle. Infatti, dall’avvio della “soluzione finale” alla liberazione di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945, i nazisti e i collaborazionisti uccisero mediamente tre persone al minuto. Tante altre furono assassinate in seguito, fino alla resa della Germania.
I dati, da soli, non sempre riescono a spiegare la realtà, e sei milioni di morti sono un’enormità che la mente umana non riesce a mettere a fuoco. Non è priva di senso la caustica frase attribuita a Stalin: «La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni di uomini è una statistica». C’è un dato, tuttavia, di impressionante eloquenza: nell’Europa sfigurata dalla guerra, con la sinistra ombra del nazismo che si allungava su molti paesi, ogni venti secondi un ebreo veniva ucciso per odio razzista.
Nulla importava agli assassini che si trattasse di un bambino indifeso, un anziano inerme, una donna, un uomo. Nulla contava se l’ebreo fosse osservante, convinto della propria identità religiosa e di popolo, oppure, al contrario, se fosse completamente secolarizzato e neppure sapesse di avere origini ebraiche.
La “legge del sangue”, per riprendere il titolo di un bel libro di Johann Chapoutot, imponeva una classificazione ferrea: si era ebrei per discendenza, per “sangue” appunto, indipendentemente dalla propria volontà.
Secondo l’ideologia nazista, il nemico, definito su base razziale, doveva essere annientato, in una visione apocalittica in cui il Terzo Reich avrebbe dato inizio a un mondo nuovo, governato dalla superiore razza ariana. Gli ebrei, i rom, gli slavi, gli africani, e via via tutti coloro che erano considerati inferiori, rappresentavano per Hitler un ostacolo sulla via della costruzione di un popolo perfetto, incontaminato, che riconquistasse la purezza del mitico “popolo originario” tedesco.
La macchina industriale dello sterminio nazista, articolata in un sistema concentrazionario collocato in gran parte nei territori dell’Europa centrale, ebbe il suo cuore nero nel lager di Auschwitz-Birkenau, nei pressi della cittadina polacca di Oświęcim. Oltre un milione di persone, perlopiù ebrei, vi furono uccise.
Non esiste, al mondo, un altro luogo di così modeste dimensioni - l’intero complesso di Auschwitz-Birkenau copre un’area di circa 191 ettari di terreno - che abbia visto inghiottire un così alto numero di vite, peraltro in un lasso di tempo piuttosto breve.
«Meditate che questo è stato», ammoniva Primo Levi. Il Giorno della memoria, il 27 gennaio, è un monito: ci ricorda che tollerare il razzismo, in ogni sua espressione, permetterne la diffusione, apre fatalmente la strada alla violenza omicida.
Auschwitz mostra il baratro in cui l’umanità cade quando viene negata la comune appartenenza alla famiglia umana e non è riconosciuta la necessità di salvaguardare la vita di ogni persona. La sua memoria, dunque, spinge anche a soffermarsi sulle sofferenze di tante persone private nel nostro tempo di diritti fondamentali, per razzismo, per motivi di religione, di sesso e di convinzioni politiche.
Per questo non è inutile, in attesa del Giorno della memoria, ricordare qualche dato di impressionante eloquenza e guardare nel baratro della nostra disumanità: ogni venti secondi, durante la seconda guerra mondiale, i nazisti uccidevano un ebreo; ogni quindici secondi, oggi, un bambino muore di fame; ogni tre secondi, un essere umano è costretto a fuggire dalla propria terra a causa di guerre, persecuzioni e povertà; ogni due secondi, una ragazza minorenne è costretta a sposarsi; ogni giorno, a 258 milioni di bambini nel mondo è negato il diritto alla scuola; ogni giorno, 2,2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile.
Ogni giorno, ogni minuto, vengono rubati anni di futuro agli uccisi nelle guerre, ingrossando il computo impossibile di quel colossale furto di vita di cui parlava Settimia Spizzichino.
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