Continua con la sua 29esima puntata la rubrica “Politica resiliente” curata da Avviso Pubblico, l’associazione nata nel 1996 per riunire gli amministratori pubblici che si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica.


Centotrentotto beni, tra ville, appartamenti, palazzi, campi e giardini. È la mappatura dei beni confiscati alla camorra realizzata dal Centro servizi per il volontariato Asso.Vo.Ce di Caserta in collaborazione col comune di Casal di Principe, che racconta le esperienze di riuso sociale nella provincia, che stanno ridisegnando il paesaggio del territorio.

Soprattutto lì, nella città di don Peppe Diana, il prete ucciso nel 1994 per essersi opposto alla camorra, dove sono stati sviluppati i maggiori progetti di riutilizzo e restituzione alla cittadinanza. È un’operazione allo stesso tempo sociale, urbanistica, a volte ecologica – nel caso di spazi e campi ripuliti dalle discariche abusive – e infine culturale. È infatti il cambio di mentalità la chiave attraverso cui si accede ad una percezione mutata nel tempo, che accompagna l'impatto di questi progetti sui cittadini.

Il caso di Casal di Principe

«Anni fa, la gente era un po più perplessa, un po più distante per tutta una serie di motivi. I camorristi, che sono molto bravi a far crescere orientamenti culturali, avevano contribuito a sviluppare un atteggiamento di sospetto nei confronti delle cooperative che utilizzavano i beni confiscati, come a far capire che venivano utilizzati per uno scopo di arricchimento personale o familiare degli operatori del terzo settore», spiega Renato Natale, sindaco di Casal di Principe e Vicepresidente di Avviso Pubblico. «Era sufficiente una battuta del tutto interessata al bancone di un bar, per far sorgere il sospetto: “tolgono i beni alla camorra per darli a un'altra forma di camorra”». Un chiaro esempio di manipolazione sottile che fa leva sulle relazioni sociali del quotidiano.

La collaborazione tra il comune e il Csv casertano ha prodotto un vero e proprio “Catalogo delle buone pratiche di riuso dei beni comuni e dei confiscati”, tradotto in una mappatura precisa e puntuale di questi spazi, per dar conto ai cittadini dell’enorme patrimonio – oltre 50 beni già messi a frutto con progetti sociali di diversa natura – sottratto alle mani avide dei clan e messo a disposizione di tutti. «Su 58 beni confiscati riportati nell’elenco del comune di Casal di Principe, al 31 maggio 2020 erano 24 i beni confiscati risultati utilizzati. Su 10 beni sono in corso o in progettazione avanzata interventi grazie ai quali si auspica nel breve-medio periodo una restituzione alla collettività degli immobili confiscati», si legge nel report di Asso.Vo.Ce.

Casal di Principe è uno dei pochi comuni ad aver reso pubblico l’elenco esaustivo dei beni confiscati. Ed è proprio questa operazione di trasparenza a dare la chiave per una narrazione disintossicata del riuso dei beni liberati dai clan. Mentre la camorra si sforza di addebitare all'amministrazione comunale un utilizzo opaco, il comune risponde con la massima chiarezza e con  progetti concreti.

La scuola media Dante Alighieri, la Scuola Montessori, l’Università per la legalità e lo sviluppo, la Casa don Diana, il Teatro della Legalità, il Centro di agricoltura sociale A. Di Bona dislocato in due luoghi differenti, il Comando della polizia municipale. Sono solo alcuni dei ventiquattro progetti che marciano a pieno regime e macinano relazioni.

E poi c’è «l’associazione “La forza del silenzio” che si interessa di autismo, che ha avviato all'interno di questo bene confiscato una produzione di cibi senza glutine – spiega ancora Natale, specificando che spesso chi è affetto di autismo va incontro all'intolleranza al glutine – però contemporaneamente fa attività di supporto e di assistenza. Ovviamente ha un grande riscontro nella società civile dove il tema è sentito», per via della gestione complessa che nella maggioranza dei casi è totalmente a carico delle famiglie. L’immobile che ora ospita il centro d’ascolto e formazione era stato di proprietà di Francesco Schiavone, “Sandokan”, lo storico boss del clan dei Casalesi, condannato all’ergastolo.

Il riuso dei beni

Nelle prime fasi dell’emergenza sanitaria lì si producevano persino mascherine contro il covid, che venivano distribuite gratuitamente. «Entrare dentro quella che era la casa del boss trasformata ora in centro di recupero, ha insomma di per sé un effetto positivo – insiste il sindaco Renato Natale -. Ma pensiamo che abbiamo realizzato dei parchi cittadini con i giochi per i bambini, in alcuni di questi beni confiscati, che ora vengono utilizzati quotidianamente dalle famiglie che lì portano i figli, ben sapendo che quello spazio e quel luogo una volta era giardino del capo mafia o era una discarica utilizzato dalla mafia, dalla camorra».

«Il Catalogo delle buone pratiche di riuso sociale dei beni comuni e dei beni confiscati si candida ad essere una buona pratica da replicare anche in ambito nazionale», spiega Elena Pera, la Presidente del Csv Asso.Vo.Ce., che recentemente ha sottoscritto un protocollo con il Presidente di Avviso Pubblico, Roberto Montà, per potenziare la creazione e la diffusione della mappa delle buone pratiche territoriali di riuso sociale.

«Come Centro di servizio per il volontariato della provincia di Caserta e insieme ai volontari  della provincia di Caserta – spiega ancora Elena Pera – ci mettiamo al servizio anche di altre realtà territoriali che vogliono impegnarsi per il riuso dei beni confiscati e dei beni comuni». Queste esperienze vedono già coinvolte 102 organizzazioni di cui 48 organizzazioni di volontariato, 24 compagini associative diverse dalle Odv (come ad esempio Aps, comitati, associazioni culturali), 23 cooperative sociali, 7 altri enti.

L’idea è quella di estendere la buona pratica ad altri enti locali per fare massa critica e sviluppare una rete di conoscenze e pratiche antimafia concrete. È sempre Renato Natale a chiarire il tema: «In molti territori si ha quasi la sensazione che non sia possibile realizzare queste esperienze, che ci siano troppe difficoltà, tra cui una burocrazia pesante, o che ci vogliano troppi soldi o che i beni siano troppo vandalizzati. Insomma, c’è una sorta di rassegnazione nei confronti del tema. Per cui ci sono comuni in cui i beni confiscati continuano ad essere in una situazione di abbandono. Rappresentare, invece, i risultati ottenuti in una realtà di per sé considerata più complicata è più difficile degli altri, questo dà forza e coraggio per la possibile replicabilità in altre realtà».

È il caso di Aversa. Nel 2021 i due sindaci si erano incontrati in occasione della presentazione del “Catalogo buone prassi” a Casa don Diana a Casal di Principe. Da quell’incontro è scaturita l’adesione di Aversa al circuito dei beni comuni, con l’avvio di una partnership che sta iniziando a produrre risultati. Un’esperienza simile è quella di Sessa Aurunca, dove un’azienda agricola confiscata dà lavoro a soggetti svantaggiati attraverso una fabbrica di trasformazione della frutta. E poi ci sono le cantine sociali col recupero di alcuni prodotti tipici. Insomma, un’esperienza che nella provincia di Caserta si sta espandendo a macchia d’olio. «La speranza è che attraverso iniziative come il Catalogo – conclude il sindaco Natale – si riesca a creare una rete sempre più estesa e forte».

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