La giornalista tedesca viene erroneamente citata come appartenente al gruppo di lotta armata “Due giugno”. Un errore materiale che si tramanda di documento in documento fino ai nostri giorni. Ma emendare la relazione è impossibile e oggi quel nome viene ripreso anche nelle sentenze. Ora il fascicolo sarà discusso a Strasburgo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
La commissione parlamentare d’inchiesta “Moro 2” l’ha definita «già attiva nel movimento estremista “Due giugno”». Che però era qualcosa di più: un vero e proprio gruppo di lotta armata che, nella Germania Ovest degli anni Settanta, si rese protagonista di svariati attentati e rapimenti, anche con la morte del presidente della Corte federale tedesca Günter von Drenkmann durante le concitate fasi del sequestro. Ma lei, la giornalista tedesca Birgit Kraatz, oggi ottantacinquenne ma negli anni Settanta firma di punta e corrispondente da Roma per importanti testate (i settimanali “Der Spiegel” e “Stern” e la televisione pubblica Zdf, ha scritto pure un libro intervista con l’allora cancelliere Willy Brandt pubblicato anche in Italia), terrorista non lo è mai stata.
Le ha provate tutte in questi anni per cercare di farsi togliere di dosso quella infamante definizione, ma senza riuscirci. Tanto che si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo che, è notizia di queste ore, ha accettato il suo ricorso e ora se ne occuperà formalmente, per giungere a una sentenza che in ipotesi potrebbe portare anche a pesanti sanzioni contro lo Stato italiano, in termini di multe e risarcimenti. E chi conosce l’attività della Cedu, sa bene che nell’80 per cento dei casi l’accoglimento del ricorso (questo è infatti lo scoglio maggiore dal punto di vista procedurale) porta poi nella stragrande maggioranza delle volte a un pronunciamento favorevole al ricorrente.
Quella frase è contenuta nella relazione conclusiva dell’attività 2017 della commissione, depositata dal presidente Giuseppe Fioroni. Fu anche l’ultima. E da allora, come sempre accade in questi casi, non si fermò lì. Di citazione in citazione è finita infatti addirittura in una sentenza, e non di scarsa importanza, anzi: è infatti quella della Corte d’assise di Bologna che nell’aprile 2022 ha condannato all’ergastolo l’estremista di destra Paolo Bellini per la strage alla stazione (il processo d’appello inizierà tra l’altro a fine mese), con la giornalista citata nelle motivazioni depositate lo scorso aprile, nei termini già formulati dalla Commissione Moro 2.
È una vicenda davvero kafkiana, perché invece i fatti parlano chiaro. Si tratta di due comunicazioni del 26 giugno e del 4 ottobre 2018 del Bundeskriminalamt (Bka), l’Ufficio federale della polizia criminale tedesca, nei quali si certifica che il nome di Birgit Kraatz non risulta mai essere stato menzionato in alcun documento della struttura, attestando così la totale estraneità della donna al movimento «2 giugno». Ha scritto testualmente il direttore del Bka, Jürgen Peter: «Va dato per scontato che la signora Kraatz non ha avuto alcun contatto o altri legami con il gruppo “2 Giugno” che vadano al di là dell’attinenza del lavoro giornalistico allora svolto sull’argomento terrorismo di sinistra in Germania e in Italia». E ancora: «Allo stato degli atti del Bundeskriminalamt non è accertabile nessun contatto o altro legame con il gruppo “2 Giugno” che abbiano a che fare con la signora Kraatz».
Sono documenti che i legali della giornalista spedirono a suo tempo allo stesso presidente Fioroni, senza però che fosse possibile ottenere una rettifica della relazione, avendo la Commissione parlamentare d’inchiesta già concluso i propri lavori e chiuso i battenti per via della fine della legislatura. E quelle relazioni, in quanto approvate dal Parlamento, sono ora del tutto intangibili. Peraltro, appunto in quanto parlamentari, tutti gli allora componenti della commissione sono coperti da immunità. Non lo sono però per affermazioni successive al mandato politico: e infatti l’ex deputato Gero Grassi, tra i più attivi componenti di quella commissione, è già stato raggiunto da una querela della giornalista, querela ancora pendente.
Come una palla di neve che rotolando a valle diventa valanga, quell’evidente errore contenuto nella relazione di Fioroni è figlio di un altro atto parlamentare di addirittura ventiquattro anni fa, rimasto a lungo sottotraccia. Si deve infatti tornare al 2000 e alla allora Commissione Stragi presieduta da Giovanni Pellegrino. In quella sede, i parlamentari di Alleanza nazionale Vincenzo Fragalà e Alfredo Mantica presentarono una relazione in cui veniva appunto fatto il nome di Birgit Kraatz come esponente del gruppo “2 Giugno”. Così ha ricostruito la vicenda il ricercatore Paolo Persichetti: «A seguito di una rogatoria diretta alle autorità tedesche, presentata dal giudice Francesco Amato sui nomi di alcuni esponenti vicini al movimento eversivo “2 giugno”, la polizia tedesca inviava in risposta una relazione. Senza alcuna giustificazione comprensibile, l’Ucigos – l’Ufficio centrale della polizia politica destinatario della relazione – apponeva il nome di Birgit Kraatz nella lettera che accompagnava il testo del Bundeskriminalamt. Nome che invece non era presente all’interno del documento della polizia tedesca e che mai più riapparirà. Nella successiva minuta della Digos di Roma, che riceve la documentazione dall’Ucigos e la rigira al magistrato, non vi è infatti più alcuna traccia della Kraatz. Nonostante questa anomalia, i due parlamentari che evidentemente si erano soffermati solo sulla minuta di accompagnamento riportano il nome della donna nella loro relazione, indicandola come una esponente del gruppo “2 giugno”».
Il documento di Mantica e Fragalà peraltro non venne mai né discusso né tanto meno approvato. E di errore in errore, come detto, l’appartenenza di Birgit Kraatz al movimento terroristico è finito addirittura nelle motivazioni della sentenza Bellini. E va detto che la giornalista, nei mesi scorsi, si è rivolta anche ai magistrati bolognesi, affinché correggano nei successivi gradi di giudizio quell’infamante definizione. Sul fronte Commissione Moro 2, invece, le sue doglianze sono state recepite ma senza apporre correzioni alla relazione Fioroni, per i motivi già citati. Gli uffici del parlamento hanno in effetti protocollato il materiale inviato da Kraatz, ma ad oggi non risulta che siano stati allegati agli atti nel portale della commissione. E quei documenti del Bka sono stati invece catalogati “fisicamente” in una sezione non accessibile al pubblico.
La citazione di Birgit Kraatz da parte della Commissione Moro 2 riguardava le palazzine di via Massimi, anche al centro pochi giorni fa di un ampio servizio della trasmissione di Rai3 “Report” sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse: palazzine indicate come uno dei possibili luoghi in cui lo statista democristiano sarebbe stato tenuto prigioniero. Questa la citazione completa contenuta nella relazione Fioroni: «Si è in particolare riscontrato che in quelle palazzine abitava la giornalista tedesca Birgit Kraatz, già attiva nel movimento estremista “Due giugno” e compagna di Franco Piperno. Secondo la testimonianza di più condomini Piperno frequentava quell’abitazione e, secondo una testimonianza che l’interessato ha dichiarato di aver appreso dal portiere dello stabile, lo stesso Piperno avrebbe da lì osservato i movimenti di Moro e della scorta. La stessa Kraatz ha ricordato la sua relazione con il Piperno, ma ha escluso che si trattenesse nel condominio».
Piperno, come noto, era stato dirigente di Potere operaio. E venne contattato dal Partito socialista (in particolare dall’allora vicesegretario Claudio Signorile) nel tentativo di giungere a una liberazione dello statista democristiano. Ironia della sorte, in quel servizio di “Report” è comparsa anche la fotografia della stessa Birgit Kraatz, peraltro correttamente indicata solo come giornalista. Ma si diceva, lanciando una suggestione: «Kraatz e Piperno si sono visti anche durante il periodo del sequestro Moro?».
A questo proposito, ancora nel febbraio 2018 al presidente Fioroni la giornalista aveva scritto così: «L’insinuosa descrizione che il mio amico, il professore Franco Piperno, avrebbe sorvegliato dalla mia casa, oppure in qualche modo con la protezione della mia casa, lo scambio delle vetture durante il sequestro Moro nel garage che apparteneva a due palazzi in via Massimi 91 (ipotesi peraltro mai provata – né tantomeno affrontata – in alcuna sede giudiziaria, ndr), è falsa: questo non sarebbe stato nemmeno tecnicamente possibile perché dalle finestre della mia casa l’entrata del garage non era né visibile né raggiungibile come sarebbe stato facile verificare con un semplice sopralluogo. Inoltre al garage io non avevo mai accesso».
E sono tutte circostanze che la giornalista aveva riferito in precedenza anche al colonnello dei Carabinieri Massimo Giraudo, consulente della commissione, senza la presenza di un avvocato «perché non ho nulla da nascondere». C’è comunque da scommettere che la questione sarà destinata ad avere altre puntate. Sempre che nel frattempo la Corte europea dei diritti dell’uomo non gli dia un taglio netto.
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