È il nuovo Italian Job. Il sistema creativo che abbiamo affinato in casa nostra per rendere presentabili i conti delle società di calcio, facendo leva sulle operazioni di calciomercato. L’abbiamo inventato, brevettato ed esportato. E poco conta che adesso le procure della Repubblica italiane vadano a guardarci dentro, per vedere se per caso non sia un modo per produrre artifici contabili o, peggio, irregolarità di Borsa. Perché l’Italian Job trova proseliti all’estero. Finché funziona, e finché le federazioni nazionali non si lasceranno insospettire da quegli intrecci azzardati di valori, si continuerà a applicarlo.

Per comodità lo abbiamo etichettato come un gioco di plusvalenze incrociate, ma in realtà il sistema ha una sofisticatezza che le perifrasi non rendono. Inoltre, si è insistito un po’ troppo sul fatto che i valori scambiati dovessero essere “a specchio”, cioè cifre identiche che in termini di saldo danno somma zero, ma che sul terreno contabile significano utilità doppia. E invece no.

I valori delle plusvalenze incrociate possono anche essere asimmetrici. Ciò che conta è che ciascun club copra le proprie necessità sul mercato in uscita. Per farlo deve essere disposto ad accettare di effettuare, con la medesima controparte, operazioni sul mercato in entrata; ciò che in qualche misura compensa la controparte dell’esborso effettuato.

In pratica si accetta un riequilibrio del peso dell’esborso, ma con l’effetto di appesantire gli ammortamenti sugli esercizi che verranno. I club lo sanno, sono perfettamente consapevoli di non far altro che spostare in avanti il peso dello squilibrio contabile. Magari sperano che da qui a un anno i risultati sportivi (per esempio, l’accesso alla prima fase della Champions League) generino entrate supplementari e aggiustino i conti; o che magari si abbia un altro calciatore da vendere, ma in cambio di solo denaro e non nel quadro di uno scambio di valori. Di fatto, trattasi di pura scommessa finanziaria. L’ennesima.

Juventus modello Napoli

Emblematico che l’intreccio di mercato da cui partire riguardi un club italiano. E che il club in questione sia la Juventus, che in conseguenza dell’indagine condotta dalla procura di Torino è diventata l’emblema delle plusvalenze incrociate. L’affare di cui si parla è quello che ha portato a Torino il centrocampista brasiliano Douglas Luiz, proveniente dall’Aston Villa. La società bianconera accetta di pagare 51,5 milioni di euro tra quota fissa e bonus. Un prezzo esagerato per il valore del calciatore.

Un prezzo da Premier League, è più corretto dire. E qui sta il punto. Che l’Aston Villa ha necessità di realizzare un incasso in linea con gli standard del campionato più ricco e spendaccione del mondo. Cionondimeno, per il club bianconero si tratta di un esborso notevole. Che per essere affrontato richiede un minimo di compensazione, cioè l’acquisizione di due calciatori bianconeri da parte del club di Birmingham, per una cifra complessiva che permetta di ripianare in parte l’esborso di quasi 52 milioni di euro.

Intorno a questo elemento la trattativa va per le lunghe, e a un certo punto è pure data per sfumata perché uno dei calciatori juventini da spedire a Birmingham come contropartita, il centrocampista Weston McKennie, rifiuta il trasferimento. L’intoppo è risolto ricorrendo al meccanismo consolidato: pescare dal serbatoio dell’ex Under 23, ribattezzata Next Gen a partire da questa stagione. A questo scopo era già stato selezionato Samuel Iling-Junior; e in luogo di McKennie viene spedito in Inghilterra il centrocampista argentino Enzo Barrenechea, reduce da una stagione al Frosinone.

Riguardo a questa articolata transazione, è istruttiva la lettura del comunicato ufficiale emesso dalla Juventus, caratterizzato da un tono colmo di cautele e infarcito di precisazioni sull’applicazione del principio contabile IAS 38 e sul concetto di fair value. Nel testo si precisa che il saldo passivo per la società bianconera, nel vasto giro di scambi, si riduce da 50 milioni (il corrispettivo fisso per l’acquisizione di Douglas Luiz) a 28 milioni.

Questo è quanto successo nello scorso mese di luglio. Ma adesso che siamo arrivati a fine agosto si scopre che l’Aston Villa, dei due giovani juventini, non sa proprio cosa farsene. Uno dei due è stato già rispedito in Italia: Iling-Junior, prestato al Bologna. L’altro, Barrenechea, si appresta a seguire la medesima sorte: in prestito alla Lazio, che in queste ore sta pressando per averlo. Il meccanismo ricorda tanto quello messo in piedi da Lille e Napoli nell’estate 2020.

Il Lille doveva realizzare una plusvalenza esagerata per la cessione di Victor Osihmen (70 milioni di euro + 10 di eventuali bonus), il Napoli gliel’ha concessa a patto di avere indietro 20 milioni di euro a titolo di acquisizione di quattro calciatori: Karnezis, Manzi, Liguori e Palmieri. Con gli ultimi tre che sono stati immediatamente rispediti in Italia, prestati in Lega Pro. E certo, Iling-Junior e Barrenechea sono di più elevato spessore rispetto al trio Manzi-Liguori-Palmieri. Ma lo schema rimane quello.

In Premier League

Ma si diceva del fatto che il meccanismo è stato esportato. Proprio in Premier League, dove a partire da questa stagione le regole sul controllo finanziario hanno avuto una stretta. Ciò ha obbligato molte società a realizzare cessioni per non incappare in sanzioni.

Qualcuna di queste, come il Newcastle United, ha avuto gioco facile: essendo sotto il controllo del fondo sovrano saudita PIF ha potuto spedire, in cambio di oltre 27 milioni di euro, Allan Saint-Maximin all’Al-Ahli (uno dei club amministrati da PIF), che lo ha immediatamente girato in prestito al Fenerbahce di José Mourinho.

I Magpies hanno comunque dovuto imbastire un’operazione di plusvalenze incrociate con un’altra società inglese inguaiata finanziariamente: il Nottingham Forest dell’oligarca calcistico Evangelos Marinakis (padrone anche dell’Olympiacos Pireo e del Rio Ave): il Nottingham ha preso Elliott Anderson per oltre 41 milioni di euro e in cambio ha dato via il portiere Odiesseos Vlachodimos per 23 milioni di euro. Valutazioni del tutto fuori scala, ma non sono le sole. Nella lista si rivede l’Aston Villa, che oltre a quello della Juventus ha potuto contare sull’ausilio dell’Everton e del Chelsea. Con l’Everton c’è stato lo scambio che ha portato Tim Iroegbunam da Birmingham a Liverpool per quasi 11 milioni di euro, mentre nella direzione opposta ha viaggiato Lewis Dobbin, valutato quasi 12 milioni di euro.

Per la cronaca, Dobbin è stato imemdiatamente girato al West Bromwich Albion, in Premiership (seconda divisione inglese). Non meno azzardato lo scambio realizzato dai Villans col Chelsea: a Londra è stato spedito Ian Maatsen in cambio di quasi 45 milioni di euro, e a fare il percorso opposto è stato un calciatore dell’under 21 dei Blues: Omari Kelliman, a cui è stata associata l’abnorme valutazione di 22,5 milioni di euro. Proprio il Chelsea chiude la lista, con uno scambio internazionale: con l’Atlético Madrid ha realizzato l’accordo che ha portato in Spagna il centrocampista Conor Gallagher (valutato 42 milioni di euro) e in Inghilterra il portoghese João Félix (valutato 50 milioni di euro), che a oggi è la massima incarnazione del calcio finanziarizzato. In Premier, l’Italian Job agisce a pieno regime. E chissà quando lo capiranno che si tratta di un meccanismo tossico.

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