La grande abbuffata è finita, e noi abbiamo ancora fame. Le Olimpiadi di Parigi si sono chiuse da pochi giorni eppure c’hanno fatto sembrare tutto il resto misero. Sarà perché erano quelle della rinascita del mondo post-Covid – le Olimpiadi hanno sopportato anche il nazismo, le guerre e il terrorismo oltre la pandemia – sarà per la bellezza di Parigi ma questa volta si è sentito ancora di più che lì c’era qualcosa di unico. Tutto il contrario che si prova guardando una partita di calcio.

Mentre Julio Velasco finiva di spiegare all’Italia che si può vivere senza rimpianti, Josè Mourinho esportava anche in Turchia il suo metodo: contesta e guadagna, illudi e sovverti. Da Roma a Istanbul ora c’è un’altra tifoseria che si sente derubata come Angela Carini e che, invece, ha solo perso. Chi guarda la boxe da prima che arrivassero i non esperti, e molto prima che la boxe diventasse un programma notturno del palinsesto delle piattaforme, ricorda Angelo Musone a Los Angeles, quella fu una ingiustizia, ma il pugile di Marcianise ci insegnò a perdere.

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Altri tempi, nel campionato italiano arrivava Maradona e non si giocava tutti i giorni. Ecco il punto. La grandezza delle Olimpiadi sta nell’essere il Natale sportivo che si presenta ogni quattro anni con una grandissima offerta di sport e stupore, storie e imprese a prescindere dal record. Tanto che i sogni di Florentino Pérez rispetto a quelli di un lottatore mongolo sembrano il condono di una villa sull’Appia. Più il calcio aumenta le partite, i tornei, i tituli e quelli che contano i tituli del Real Madrid – una categoria giornalistica a parte, internazionale – più cresce il rimpianto per le Olimpiadi, tanto che c’è chi le vorrebbe su tre settimane (anche noi siamo tra questi).

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Salire le scale

Perché una finale o una semifinale di basket o una batteria di corsa a ostacoli diventano più interessanti della Supercoppa? Ma perché non sappiamo che cosa accadrà. Mentre l’altra sera solo Gian Piero Gasperini – davvero un arcangelo sudamericano – credeva di poter vincere contro la sceneggiatura hollywoodiana del Real Madrid, con il non-colpo di scena del primo gol di Kylian Mbappé con i blancos. Chi si è trovato a guardare Usa-Francia di basket mentre guardava anche Napoli-Modena si è visto nella condizione di Michael J. Fox in Ritorno al futuro commiserando l’ingenuità e la mancanza di velocità.

Non è solo il problema delle nuove generazioni che non riescono ad aspettare i canonici 60-65 minuti prima che il Real Madrid dopo aver concesso delle possibilità agli avversari decide di agire e dare un senso alla partita portando a termine la missione come un Tom Cruise. È che in quei 60-65 minuti persino un adulto reduce dalla velocità di ogni gara olimpica – compreso la vela – tornando a quel ritmo e dovendo sopportare due voci che cercano di venderti un Mutandari (copyright Corrado Guzzanti) come se fosse un Caravaggio: finisce inesorabilmente per annoiarsi. E il mondo del calcio – cosciente di questo problema di noia – corre ai ripari aumentando il numero di partite, quindi abbassando la percentuale di stupore e di gesti tecnici.

Persino uno come Mbappé se deve giocare ogni tre giorni non riuscirà a pensare a una rabona ma appoggerà il pallone nel modo più semplice possibile, perché lui come noi avrà inesorabilmente un momento di noia che, però, farà passare con grande professionismo. E poi deve vincere, perché a differenza degli atleti olimpici che lottano principalmente contro sé stessi – mozione Pilato, Benedetta – non possono perdere. Se perde il Real Madrid si incrina tutto, perché il Madrid è la Nasa del calcio.

L’abbondanza delle Olimpiadi non è uguale all’abbondanza del calcio: non c’è diversificazione né mistero quindi è l’eros che muore perché sa già cosa lo aspetta. Come scriveva Jacinto Benavente: «La cosa migliore del fare l’amore è quando saliamo le scale». I quattro anni di attesa delle Olimpiadi sono le nostre scale. E ciao, campionato ciao.

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