Nelle Olimpiadi del 1996, Kerri Strug vince l’oro al volteggio nonostante la caviglia rotta e per salire sul podio viene portata in braccio dal suo allenatore. Se ci fosse stato internet ad Atlanta, qualcuno avrebbe detto che Strug era il simbolo della resilienza, qualcun altro che era l’esempio di un atteggiamento tossico.

Ad Atene, nel 2004, Aldo Montano è oro di sciabola e sui palmi delle mani ha scritto quattro numeri, due sulla destra e due sulla sinistra: 0586, il prefisso di Livorno. Se Montano avesse condiviso la foto di questo momento su Instagram vent’anni fa, sotto al post ci sarebbero stati migliaia di pisani offesi dal gesto.

Il campo doppio

Le Olimpiadi di Parigi sono un campo di battaglia da prima ancora che cominciassero. A partire dalla cerimonia di apertura che ha scatenato un dibattito esegetico sui riferimenti letterari che neanche un corso di filologia romanza prende così tanto sul serio. I gesti eclatanti, le dichiarazioni politiche, gli imprevisti, durante i Giochi ci sono sempre stati. E da quando esiste una telecamera che riprende, lo spettacolo extra-sportivo diventa inevitabile conseguenza della mediaticità dell’evento.

Ma nel momento in cui le riproduzioni delle immagini si moltiplicano nella mise en abyme digitale, le Olimpiadi si raddoppiano. Ci sono quelle nei centri sportivi, e ci sono quelle tra le nostre mani, sui nostri schermi. Se un tempo l’evento serviva a mettere un freno ai conflitti in corso, oggi è l’occasione più ghiotta per farsi la guerra. È il Risiko globale, dove ciascuno sceglie la sua pedina, senza che la pedina sia per forza consapevole di avere quel ruolo o dichiaratamente schierata con qualcuno.

Duelli

Il primo duello d’opinione che ha interessato la nostra nazione è stato tra Elisa Di Francisca e Benedetta Pilato. Il campo su cui si sono scontrate è quello del bisogna saper perdere, come cantava Shel Shapiro. Alle lacrime di gioia di Pilato per il quarto posto, Di Francisca risponde «ma ci è o ci fa?».

Se quel frammento di Di Francisca che si stupisce del fatto che una ragazza di diciannove anni sia contenta di essere arrivata in quarta posizione non fosse stato intercettato da internet, probabilmente nessuno si sarebbe accorto della querelle. Ma dal momento che viviamo nel Panopticon del web, la scheggia è impazzita, e la questione si è fatta seria.

«Ci dicono che siamo svogliati, che non vai bene se non finisci la laurea in tempo, ma ognuno ha i suoi tempi», dice Pilato, dando voce allo spirito del tempo. La reprimenda boomer sul non mettercela abbastanza, o peggio ancora, la perculata da una collega più grande, non trova consenso se non tra chi vorrebbe che le cose rimanessero esattamente come sono, senza neanche lo sforzo del finto cambiamento gattopardesco.

Pilato, infatti, non è la sola a pensare che accontentarsi di ciò che si ottiene non sia sintomo di debolezza, ma di maturità. «You guys really gotta stop asking athletes what’s next after they win a medal at the Olympics» scrive Simone Biles su Twitter, atleta che già da tempo si sbilancia sul tema della pressione psicologica. «Trovo piuttosto curioso, per non dire assurdo, il messaggio sottinteso nel suo articolo: che essere "cattivi" sia una qualità essenziale per vincere», dice Daniele Garozzo, medaglia d’oro nel fioretto, in risposta ad Aldo Cazzullo, dopo che il giornalista si era lamentato degli azzurri troppo «bravi ragazzi».

Se il pubblico non è più solo pubblico ma è anche hater, fomentatore, commentatore, l’atleta non è più solo la disciplina che rappresenta ma è messaggio, simbolo. Esprimersi a favore o contro vuol dire posizionarsi, e nel momento in cui tutto viene screenshottato e memato, anche sparare con la mano in tasca come il turco Yusuf Dikec può bastare a farti diventare portavoce di qualcosa, senza nemmeno dover parlare.

ANSA

Carini e Khelif

Conseguenza che, nel caso della pugile Angela Carini e della sua sfidante Imane Khelif, raggiunge livelli da record. L’incontro tra le due sarà pure durato meno di un minuto, ma sul ring del discorso pubblico sembra non finire più. Per quanto preciso nella configurazione binaria di uno contro uno, non mi stupirei se venisse fuori che è un caso messo in scena da Elon Musk in persona per far litigare più persone possibile su Twitter, a partire da JK Rowling e finendo su Maddalena Corvaglia.

Perché tra la diatriba sull’identità di genere, l’intersessualità, il piagnisteo, le informazioni errate diffuse da profili istituzionali e la teoria paradossale dell’ex velina bionda secondo cui se un uomo si sente coccinella ha il diritto di stare nel nostro giardino, i pugni ce li siamo dati in faccia tutti assieme appassionatamente. Intanto, non si vedevano tutti questi cromosomi da quando a scuola si studiavano i piselli odorosi di Mendel, e arrivare a una conclusione sensata sembra una disciplina più complessa del triathlon nella Senna con l'Escherichia coli, che però forse non c’era, ma questo è un altro discorso, un'altra posizione.

Armand Duplantis si fionda dalla fidanzata dopo il record mondiale di salto con l’asta, ed è portavoce del romanticismo, lui che è un incrocio perfetto tra Timothée Chalamet e Jeremy Allen White. Thomas Ceccon fa un pisolino sdraiato a terra come uno studente in InterRail e diventa sponsor degli eterni stanchi con le occhiaie.

Il podio con Alice D'Amato, Zouh Yaqin e Manila Esposito

Zhou Yaqin, argento nella trave, sale sul podio insieme alle italiane D’Amato ed Esposito. Quando le due ragazze mordono la medaglia, l’atleta cinese le imita con una mossa così tenera da sembrare un cartone animato. C’è chi, prontamente, trasforma la scena in un disegno, c’è chi, invece, ipotizza: «E se quell’ingenuità fosse il sintomo del clima di terrore in cui vive la ragazza in Cina?».

Anche lei, senza volerlo, è diventata il simbolo di qualcuno o di qualcosa. Anche lei, come tutti in queste Olimpiadi, sta partecipando a una competizione che si gioca da casa e per cui è difficile vincere l’oro, perché a spararla grossa c’è sempre qualcuno che supera il campione in carica.

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