Nella Prem”jer-liha ucraina sono circa venti le partite ritardate a causa dei bombardamenti russi. Subito dopo la guerra le squadre ucraine avevano ripreso a giocare in Polonia ma poi sono tornare sul proprio territorio, con tutti i rischi del caso. In questi giorni si stanno giocando i match della ventesima e ventunesima giornata di campionato, con la Dinamo Kiev saldamente al comando, seguita dal PFK Oleksandriya e dallo Shakhtar, squadra che gioca in “esilio” da più di dieci anni, da quando è realmente iniziata la guerra tra Russia e Ucraina nell’oblast di Donetsk.

Sia durante la Prima che la Seconda guerra mondiale i campionati di calcio sono stati interrotti, ma nel terzo millennio giocare ha un significato multiplo: dare una parvenza di normalità alla popolazione, non fermare un movimento che altrimenti andrebbe a “esaurirsi”, restare sulla scena, anche europea, portando i propri vessilli; il football ucraino è, forse, il primo esempio di un football di guerra.

Da una parte, prima delle partite, scendono in campo i militari che ricordano il proprio impegno al fronte, ricevendo gli applausi dello sparuto pubblico presente. Dall’altra, dal fronte arrivano notizie come questa: Mykyta Kalin, ex giocatore delle giovanili dell’FK Kolos Kovalivka – oblast di Kiev –, è stato ucciso durante una missione nella regione di Kharkiv.

La federazione

Andrij Shevchenko, presidente della federcalcio, ha le idee chiare su questo: «Gli scenari di sviluppo del nostro calcio sono due: uno con la guerra e uno senza. E sono molto diversi», specificando che i progetti strutturali, garantiti da Uefa e Fifa, non partiranno finché non ci sarà chiarezza sul futuro geopolitico del Paese.

Secondo Serhii Palkin, direttore generale dello Shakhtar Donetsk: «La situazione economica dell’Ucraina è direttamente collegata al livello del nostro calcio e viceversa. Le entrate derivanti da sponsorizzazioni, diritti televisivi e biglietti sono una miseria. Sopravviviamo grazie ai proprietari locali che investono i propri soldi nei club. Vorremmo una situazione in cui questi guadagnassero senza la necessità di un supporto continuo, il che significherebbe che sono gestiti come aziende. Ma in questo momento siamo lontani da quel tipo di modello. Ci vorranno molti anni per tornare al rango che avevamo prima del conflitto».

Lo Shakhtar, meglio degli avversari, conosce bene le difficoltà della guerra, essendo stato costretto a giocare lontano dalla propria città, dal proprio stadio e dal proprio pubblico dal 2014. Club rimasto in piedi grazie agli investimenti dell’oligarca ucraino Rinat Akhmetov, di etnia tatara del Volga e musulmano sunnita praticante.

Proprietario e presidente del club dall’11 ottobre del 1996, con lui gli arancioneri hanno vinto 39 titoli, tra cui la Coppa Uefa del 2009. A gennaio, dal Fluminense, è arrivato il giovane attaccante brasiliano Kauã Elias, un acquisto da 14 milioni di sterline, il terzo più costoso di tutti i tempi per lo Shakhtar Donetsk.

La funzione sociale

Continuare a giocare in questi tre anni ha avuto anche un ruolo psicologico sulla popolazione, l’idea che l’Ucraina non si ferma, che resta ancorata al contesto calcistico, europeo e internazionale, che è ancora un Paese vivo, come vivi sono i suoi abitanti che continuano a lottare.

Inoltre c’è l’aspetto ludico, la possibilità di dare una distrazione dai drammi quotidiani, tra bombardamenti, distruzioni e vittime, militari e civili, trasmettendo emozioni positive attraverso lo sport, per quanto sia possibile in una situazione del genere.

Nel frattempo in Crimea, il Sebastopoli e il Rubin Yalta giocano nella quarta divisione, amatoriale, russa, ma non sono autorizzati a competere per la Coppa di Russia, mentre le squadre Under 15 e 16 russe partecipano ai tornei di sviluppo dell’Uefa.

In Ucraina, da una parte si teme che il calcio possa far dimenticare gli orrori della guerra e dall’altra si cerca, invece, di tenerlo sul binario della speranza, così com’è stato presentato dalle istituzioni politiche e sportive in questi anni.

Andrij Shevchenko, insieme con la federazione, ha messo in piedi progetti innovativi per il calcio per amputati e altri in cui questo sport aiuta i soldati nella riabilitazione dallo stress post traumatico del conflitto.

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