Il fenomeno del caporalato, in Italia, è sistema. Come ogni anno la fotografia e i numeri contenuti nel rapporto agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil sono preoccupanti. Giunto alla sua settima edizione, il documento sottolinea la presenza di oltre 200mila irregolari in tutto il paese (pari al 30 per cento dei lavoratori totali).

Quello che anni fa sembrava un fenomeno presente prevalentemente nel sud Italia, oggi non è più così. Si contano dagli 8 ai 10mila irregolari in Piemonte, oltre 6mila in Trentino, più di 10mila in Basilicata e circa 12mila in Calabria. Eppure, il settore agricolo italiano è un traino per l’economia nazionale, con un valore di oltre 73.5 miliardi di euro all’anno. Nell’intero settore, reati e illeciti amministrativi sono aumentati del 9,1 per cento.

«I dati contenuti nel VII rapporto – dice il segretario generale della Flai Giovanni Mininni - ci dicono che irregolarità e sfruttamento continuano a pesare molto sul modello produttivo del nostro sistema agricolo. Redditi clamorosamente insufficienti e condizioni di lavoro (e quindi vita) insostenibili sono caratteristiche ancora profondamente radicate, ben più di quanto dicono i numeri ufficiali, censiti dall’Istat o emersi nelle poche ispezioni dell’Ispettorato del lavoro». 

«E in un quadro del genere si infiltra troppo facilmente la criminalità delle agromafie, alimentando la concorrenza sleale tra le imprese - prosegue Mininni -. Per noi, battersi per la legalità è battersi anche per la giustizia sociale. Ecco perché continuiamo a chiedere l’abolizione della legge Bossi-Fini e un’applicazione completa di quella contro il caporalato, per una società e un modello di sviluppo che tutelino lavoro e ambiente».

I controlli

Su un totale di 3.529 controlli nel settore agricolo conclusi dall’Ispettorato nazionale del lavoro lo scorso anno, 2.090 hanno rilevato irregolarità, pari al 59,2 per cento. La problematica principale è la poca frequenza dei controlli, la maggior parte infatti sono stati successivi all’omicidio del bracciante Satnam Singh, avvenuto a Latina il 3 luglio del 2024. Soltanto dal 25 luglio e nei primi dieci giorni di agosto sono state ispezionate quasi le metà delle aziende (1.377).

L’altro punto di discussione dei sindacati è che i controlli non sono a sorpresa: alle aziende viene infatti dato un preavviso di dieci giorni. Nel 2023 i controlli eseguiti in base alla legge 199/2016 che contrasta il caporalato sono aumentati del 140 per cento rispetto al 2022. Mentre le denunce effettuate sono aumentate del 207 per cento.

Secondo le indagini, le persone punite in base all'articolo 603 bis del codice penale riguardanti il fenomeno del caporalato sono state 2.123: un dato che rappresenta la maggioranza dei casi totali rilevati in Italia (in totale 3.208, considerando anche i settori dell'edilizia, dell'industria e del terziario) ed è il triplo rispetto al 2022.

«L’istantanea che emerge dal VII rapporto - dice Jean René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto - verte sulla spersonalizzazione dell'intermediazione lavorativa che è una questione antica del paese, che riemerge da qualche anno con grande forza. Si tratta di uno schema losco e poco visibile sul quale abbiamo il dovere di mantenere alta l'attenzione, per contrastarlo efficacemente. Il rapporto riporta analisi territoriali tra Nord e Sud, dalle quali emerge una situazione di grave allarme sociale per tante compagini di donne e uomini impegnate nella filiera agroalimentare. Il bacino complessivo di disagio occupazionale si assesta sulle 200mila persone, di cui oltre 50mila donne, autoctoni e stranieri, nell'interesse dei quali noi dobbiamo contrastare le insidie dello sfruttamento e del caporalato».

Paghe da fame

Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Placido Rizzotto – e presentati insieme alla Flai Cgil a Roma – è di circa 6.000 euro la retribuzione media lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia, e di 7.500 euro quella media. Il fenomeno dello sfruttamento lavorativo è anche strettamente connesso al decreto flussi. Come raccontato da Domani in precedenti inchieste, dalle indagini è emerso che alcuni braccianti entravano in Italia attraverso il nulla osta lavorativo legale, ma poi – per mancanza di controlli – venivano immessi nel circuito di economia illegale e schiavizzati.

Oltretutto ad alcuni braccianti venivano anche chiesti 5mila euro con la promessa di ricevere il permesso di soggiorno. Di recente a tredici braccianti vittime di caporalato nel trevigiano sono stati consegnati i permessi di soggiorno speciale in base al nuovo decreto flussi che tutela i lavoratori che decidono di denunciare i propri intermediari. 

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