- A Rebibbia il malcontento si è trasformato in qualcosa di più, i detenuti hanno inviato un paio di reclami ai magistrati di sorveglianza e al Provveditore dell'amministrazione penitenziaria.
- Sulla salsiccia piena di coloranti, sulle uova a scadenza immediata, sui funghi olandesi finti che sanno di sughero, sui rasoi da barba e sui piatti di plastica e sui cornetti gelato a prezzi proibitivi.
- Come si può assicurare un menu di dignitosa qualità con 3,92 euro al giorno? La risposta sta in una spettacolare e molto fastidiosa coincidenza. Chi fornisce il vitto al carcere fornisce anche il sopravvitto.
Avviso alla popolazione detenuta: due pacchi di caffè acquistati insieme, in offerta speciale, vi vengono a costare più di due pacchi di caffè acquistati separatamente. Comprate comprate, conviene. Firmato la direzione di Rebibbia, il carcere più grande d’Europa. Abitare lì dentro è molto dispendioso e non certo per fare la dolce vita del Grand Hotel Ucciardone della Palermo felicissima, i furgoncini del ristorante “La Cuccagna” che vomitavano aragoste e casse di Dom Perignon, la sala da pranzo nell’infermeria dove bivaccava mezza cupola.
Il carcere di Rebibbia è caro perché la spesa è cara. Per i quasi duemila reclusi c’è poco e niente a buon mercato, per mangiare in cella ci vogliono sicuramente più soldi di quelli che servono fuori. Chissà, forse è una tassa per l’espiazione di peccati e reati o probabilmente qualcosa di più tortuoso e ineffabile. È comunque una condanna nella condanna, è la “dittatura” della spesa a scelta zero, quello che in gergo carcerario viene definito “sopravvitto”, la possibilità di acquistare generi di conforto all’esterno ma solo a condizione che si paghi di più. Il detenuto è il cliente ideale, il più indifeso, la vittima perfetta: è il consumatore che non può selezionare né decidere.
Caffè a prezzo speciale
La “promozione” del caffè ha solo innescato la miccia, i malumori e le lamentele stavano montando già da prima dell’estate. Sulla salsiccia piena di coloranti, sulle uova a scadenza immediata, sui funghi olandesi finti che sanno di sughero, sui rasoi da barba e sui piatti di plastica e sui cornetti gelato a prezzi proibitivi, tutti destinati a una “popolazione detenuta” che non appartiene certo alla banda dei colletti bianchi o neri, sono frange estreme di marginalità sociale in balìa di un mercato che non è un mercato.
A Rebibbia il malcontento dell’estate si è trasformato in qualcosa di più, esasperati i reclusi hanno inviato un paio di reclami ai magistrati di sorveglianza e al provveditore dell’amministrazione penitenziaria. Documenti che ci sono arrivati insieme a dettagliate tabelle sui prezzi all’interno e all’esterno del carcere, tariffari, sfoghi sul “malo mangiare”. Ci è stato recapitato anche il risultato di un’ispezione, effettuata pochi giorni fa dagli agenti della penitenziaria in due supermercati intorno a Rebibbia. Un’indagine per capire se i detenuti avessero ragione.
Il monopolio
La protesta non si è placata neanche dopo quell’accertamento, anzi. Perché fuori dal carcere si risparmia tanto. Per certi articoli anche tre volte. La questione del “sopravvitto” è antica nonostante i dossier della Corte dei conti e nonostante le rimostranze per gli appalti che in tutte le carceri italiane dal 1930, quasi un secolo, sono monopolio dello stesso giro di aziende.
Qualche anno fa, e anche più recentemente, la magistratura contabile non ha vistato (è accaduto in Lombardia, in Veneto, in Toscana, in Puglia e in Umbria) le procedure per il rinnovo di quei contratti, poi ha ceduto a pressioni provenienti dall’alto. Per spegnere polemiche e allontanare sospetti - già nel 1998 - i capi del Dap avevano invitato con una circolare i provveditori dell’amministrazione penitenziaria «a una particolare attenzione ai prezzi praticati che andranno confrontati con i prezzi correnti all’esterno... perché non possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel luogo in cui èsito l’istituto». Iniziativa assai lodevole. Ma tutto è rimasto o quasi sulla carta.
Questa volta i detenuti annunciano un esposto alla procura della repubblica «per porre fine a questa infinita indecenza», denunciano. «La speculazione che l’azienda miracolata perpetra», accusano di «accondiscendenza chi dovrebbe controllare e verificare costantemente la qualità e i prezzi». In sostanza dicono che «l’amministrazione penitenziaria è complice». Seguono alcuni esempi, molto significativi, sui prezzi di alcuni prodotti di largo consumo.
Prima voce prezzo al supermercato vicino a Rebibbia, seconda voce prezzo allo spaccio del carcere. Una bottiglia di una nota marca di acqua minerale: 0,27 euro e 0,45. Un litro di olio: 4,29 e 5,09. Parmigiano Reggiano, trecento grammi: 4,99 e 5,99. Un cornetto gelato: 2,10 un pezzo in carcere e 3,29 sei pezzi al supermercato. C’è qualche centestimo di differenza in meno per qualche merce (senza specificarne però la scelta) a favore dell’azienda fornitrice, ma sono eccezioni. Dopo il reclamo dei detenuti l’amministrazione di Rebibbia ha inviato quella squadra di agenti nei supermercati per verificare le differenze, il resoconto è in 13 pagine. Cifre che per alcuni prodotti risultano più care in carcere, per altri al supermercato.
Cifre che però i detenuti contestano, in un altro documento compilato appena qualche giorno fa. Si firmano “la commissione cucina” del carcere di Rebibbia. Dicono che l’analisi di rilevamento degli agenti della penitenziaria «è uno specchietto per le allodole» in quanto «non è possibile fare una precisa analisi perché le differenze più macroscopiche si sono evidenziate su prodotti di larghissimo consumo». In realtà, la differenza dei prezzi tra fuori e dentro è notevole sugli articoli più richiesti dai detenuti.
Il detenuto macellaio
Supportati dalla consulenza di un macellaio recluso (che per tantissimi anni è stato il capo reparto di un supermercato), criticano le carni di seconda o terza scelta che entrano in carcere rispetto ai prezzi rilevati del manzo danese. E così per la frutta, mai di stagione. E per tutto il resto. C’è per esempio il detenuto XY che racconta di avere ricevuto sei uova con scadenza il giorno successivo. Commenta: «Certo non me le potevo mangiare tutte insieme».
Della questione se ne vuole occupare la Federconsumatori, che già un paio di anni fa era intervenuta sul caro vita a Rebibbia. Dice il presidente Emilio Viafora: «Verificheremo se ci sono gli elementi per chiedere un accesso agli atti e poi sollevare la questione al ministro della Giustizia, non stiamo parlando di Totò Riina ma di persone che finiscono in galera spesso per disperazione». Dice ancora Viafora: «Tutto ciò è ingiusto per più di una ragione. Primo, perché gli spacci interni di solito hanno sempre prezzi più bassi che all’esterno, poi perché parliamo di una popolazione carceraria che già è in sofferenza, i detenuti eccellenti si procurano il cibo attraverso ben altri canali».
Il problema del “sopravvitto” nasce dal problema del “vitto”. Ecco perché i detenuti di Rebibbia hanno presentato un terzo reclamo al provveditore dell’amministrazione penitenziaria, che si apre così: «Si segnala ancora una volta che la qualità dei generi alimentari per i detenuti è pessima». Segue un lungo e molto preciso elenco di tutto ciò che non va. «Le carni... trattasi di quarto anteriore bovino provenienza Polonia... Hamburger congelati provenienza Spagna.. carne 33 grammi il resto è cuore e soia e altri ingredienti che nulla hanno a che fare con la carne fino a raggiungere il peso di 120 grammi... cozze congelate di provenienza Vietnam... tutta la frutta viene utilizzata fuori dal circuito di vendita al minuto e scartata dalla grande distribuzione».
Una lista con «prodotti scadenti o privi di ogni sapore» e salumi «di infima qualità pieni di grasso, addensati ed emulsionanti». Un cenno anche per l’azienda che ha l’appalto del vitto a Rebibbia, «la ditta Ventura e alla somministrazione di cibi inadeguati».
Vitto e sopravvitto
Lo stato spende per i 50mila e passa detenuti italiani 3 euro e 92 centesimi al giorno. Ma non si mangia a sbafo. Per legge ogni recluso deve corrispondere - quando uscirà - la cosiddetta “quota di mantenimento”. Fra cibo, acqua ed energia elettrica consumata in cella, dovrà restituire circa 120 euro per ogni mese di detenzione. Il conto che gli presenteranno per la sua colazione è di 0,27 centesimi, per il pranzo 1,09 euro, per la cena 1,37 euro. In totale 2,48 euro al giorno, poco al di sotto di quei 3,92 euro che lo stato spende per loro per garantire i tre pasti.
Fra le carte inviate dai detenuti ci sono pure i menù settimanali di Rebibbia.
È un misterioso viaggio nella gastronomia carceraria. Due giorni a caso, il lunedì e il giovedì. Lunedi. Colazione; latte e tè, marmellata e fette biscottate, zucchero, pane e frutta. Pranzo: risotto primavera, fettina bovino e patate arrosto. Cena: minesterone con pasta, spalla cotta, insalata mista. E ora giovedì: stessa colazione. Pranzo: gnocchi al pomodoro, bollito, broccoli. Cena: pastina in brodo, sofficini, insalata. La domanda non è complicata: come si può assicurare un menu di dignitosa qualità con 3,92 euro al giorno? Forse la risposta sta in una spettacolare e molto fastidiosa coincidenza. Chi fornisce il vitto al carcere fornisce anche il sopravvitto.
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