Per sette volte la procura di Oristano aveva respinto la richiesta di svolgere l’autopsia sul corpo di Stefano Dal Corso. La sua morte nel carcere sardo, avvenuta il 12 ottobre 2022, da subito era stata derubricata a suicidio per impiccamento, nonostante nel corso del tempo si fossero accumulati elementi che facevano vacillare quella versione.

Alla fine, l’inverno scorso, la procura ha disposto l’autopsia, che è stata eseguita il 12 gennaio 2024. Nelle scorse ore sono stati presentati i risultati, che non solo non fanno chiarezza sul decesso, ma alimentano nuovi dubbi. I segni possono essere compatibili con quelli dello strangolamento e non c’è traccia della rottura dell’osso del collo, come invece era stato scritto al momento del ritrovamento dai sanitari.

La morte di Dal Corso

Il 12 ottobre 2022 Stefano Dal Corso è stato trovato privo di vita nel carcere di Oristano. Era arrivato da Rebibbia al carcere sardo da pochi giorni, doveva partecipare a un’udienza che lo riguardava e inoltre aveva chiesto il trasferimento per poter stare vicino alla figlia, che vive in Sardegna con la madre.

Sin dal giorno della sua morte, la versione data per buona dalle autorità era che si fosse suicidato impiccandosi con un pezzo di lenzuolo strappato con un rasoio e attaccato alle grate della finestra. Ma la famiglia, in particolare la sorella Marisa Dal Corso, nel tempo hanno raccolto una serie di elementi che hanno messo in discussione questa versione, nonostante la procura nell’estate del 2023 abbia archiviato le indagini.

La finestra situata troppo in basso per un’impiccagione, il letto rifatto senza strappi nelle lenzuola, la mancanza di immagini del corpo sospeso ma solo sdraiato e ben rivestito con indumenti che la famiglia non ha mai riconosciuto, le telecamere di videosorveglianza che in quel momento non funzionavano, le testimonianze di due detenuti su un presunto pestaggio subito da Dal Corso, confermate poi da un super-testimone che si è identificato come parte del corpo di polizia penitenziaria. E poi un secondo decesso avvenuto nel carcere negli stessi giorni, citato in modo del tutto casuale dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

I risultati dell’autopsia

Alla luce di tutti questi nuovi elementi, la procura nell’autunno scorso ha deciso di riaprire le indagini. E a dicembre, all’ottava richiesta da parte dei legali della famiglia Dal Corso, ha dato via libera all’autopsia sul corpo, compiuta il 12 gennaio 2024.

Ora sono usciti i risultati, presentati in una conferenza stampa alla Camera a cui hanno partecipato Marisa Dal Corso, l’avvocata Armida Decina e i parlamentari Ilaria Cucchi (Avs) e Roberto Giachetti (Iv), che dall’inizio seguono la battaglia per chiedere verità sulla morte di Stefano Dal Corso.

Nella relazione di consulenza della procura, che nel frattempo ha già presentato una nuova richiesta di archiviazione del caso, si dice che «l’autopsia eseguita a distanza di tempo dalla morte, quando già sono in atto i fenomeni cadaverici putrefattivi e trasformativi, rende l’indagine ancora più complicata». Questo non ha permesso di approfondire alcuni aspetti, come l’eventuale presenza di segni interni di una morte asfittica, né di condurre un’indagine tossicologico-forense approfondita per comprendere quali e quante sostanze avesse in corpo Dal Corso. Il documento conclude comunque che gli elementi rilevati portano a ritenere che il solco sul corpo sia «maggiormente compatibile» con un impiccamento rispetto allo strangolamento. Ma restano parecchie ombre.

Segni di strangolamento?

Nelle note alla relazione di consulenza della procura, i tre medici incaricati dalla famiglia Dal Corso sottolineano che «l’assenza di lesioni traumatiche del distretto cranio-cervicale consente di escludere la morte asfittica violenta e rapida, generalmente dell’impiccamento tipico e completo, contrariamente a quanto formulato dal medico penitenziario». E aggiungono che «l’andamento del solco, le caratteristiche istologiche, nel contesto del sopralluogo non escludono con ragionevole certezza lo strangolamento con successiva sospensione».

Dall’inizio Marisa Dal Corso è convinta che il suicidio del fratello possa essere stato in realtà una messinscena, creata ad hoc per celare un’eventuale morte violenta. L’autopsia doveva chiarire quest’aspetto, ma non ci è riuscita, o ci è riuscita solo in parte: ormai era passato troppo tempo per raccogliere una serie di elementi, altri sono stati raccolti senza arrivare a conclusioni certe.

Tra le altre cose emerse dall’esame autoptico c’è anche la presenza di tracce di Dna estraneo sul lenzuolo intorno al collo di Dal Corso. L’avvocata Decima ha chiesto di compararlo con i profili genetici delle persone che quel giorno erano entrati in contatto con Dal Corso, altro elemento poco trasparente siccome quello era l’unico giorno in cui i nomi degli agenti di turno sono stati scritti a penna per una “stampante rotta”.

La procura di Oristano ha ignorato la richiesta, mentre l’avvocata sta ora studiando le carte per fare opposizione alla nuova richiesta di archiviazione del caso.

«Dall’autopsia sono emersi una serie di elementi che ci obbligano ad andare avanti con questa battaglia», sottolinea la sorella di Stefano, Marisa Dal Corso. «Non si può rimanere con questi dubbi».

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