Una relazione, un verbale e diverse lettere. Il minimo comune denominatore dei nuovi atti depositati dalla Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, nell’ambito dell’inchiesta sui presunti accessi abusivi alla banca dati della Dna e ai sistemi informatici in uso alle forze dell’ordine, è solo uno. E porta il nome di Giovanni Russo, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria da gennaio 2023.

Secondo i pm da quelle carte emergerebbe che nel 2020 i vertici della procura nazionale antimafia, all’epoca guidata da Federico Cafiero de Raho e presso cui lo stesso Russo ricopriva l’incarico di aggiunto, sarebbero stati informati di «anomalie» nelle attività del finanziere Pasquale Striano, tra i principali indagati nel fascicolo della procura umbra avviato a seguito di una denuncia del ministro della Difesa Guido Crosetto.

Ma la relazione redatta da Russo alla quale nessuno avrebbe dato seguito non risulterebbe né firmata né ufficializzata. Un atto che, nonostante ciò, è stato depositato, insieme al citato verbale sulle sommarie informazioni rese da Russo lo scorso 6 novembre e alle lettere in cui l’ex procuratore della Dna parlerebbe di «differenze di poteri» del gruppo di Striano e, ancora, di come il tenente della Gdf si sarebbe mosso più liberamente rispetto all’organizzazione che lui presidiava.

Pertanto, più che le luci sull’inchiesta che riguarda, oltre che Striano, anche l’ex pm antimafia Antonio Laudati, ad accendersi sembrerebbe piuttosto un vero e proprio scontro tra magistrati. Uno scontro che punterebbe il dito contro Cafiero de Raho, oggi parlamentare 5 stelle. Non è un caso che, appresa la notizia, Forza Italia e gli altri partiti di governo abbiano chiesto «chiarezza» sulla vicenda e sulla posizione dell’ex vertice della procura nazionale antimafia. Dal canto suo Cafiero de Raho si difende.

«Non ho mai ricevuto segnalazioni di Giovanni Russo riguardanti Striano. In passato presso la Dna quando sono stati accertati comportamenti anomali o irregolari di appartenenti al Gruppo Ricerche si è provveduto all’allentamento e in un caso anche alla denuncia alla procura della Repubblica competente. Il dossieraggio lo sto subendo io», ha dichiarato per l’appunto il parlamentare, vicepresidente della commissione antimafia.

Poi ha aggiunto: «Mi trovo al centro di una macchinazione in cui vengono fuori atti inesistenti o comunque mai portati alla mia attenzione, che tendono sempre a ledere la mia persona. È gravissimo ciò che sta avvenendo. Agirò nei confronti di tutti coloro che continuano a diffondere falsità e calunnie e a tutelare il mio onore in tutte le sedi giudiziarie».

Intanto per la procura di Perugia guidata da Cantone insiste – secondo i pm per Striano e Laudati devono essere disposti gli arresti domiciliari – un altro rinvio. Nessuna decisione, infatti, è stata presa dai giudici del tribunale del riesame. Tutto spostato in avanti, ancora una volta. Si sono infatti ritirati in camera di consiglio: dovranno prima di tutto pronunciarsi sulle eccezioni presentate dai difensori delle parti relative alla competenza territoriale.

Non è quella di Perugia, per gli avvocati, l’autorità deputata a indagare sul caso, ma Roma. «Chiediamo anche», ha dichiarato l’avvocato di Laudati, Andrea Castaldo, «l’inutilizzabilità di tutti gli atti precedenti all’iscrizione del magistrato nel registro degli indagati». Quest’ultima eccezione, più in particolare, è stata presentata anche davanti al gip, la cui decisione è in programma il prossimo 13 dicembre. Il riesame, invece, deciderà il 17 dicembre sulle eccezioni e non è certo se anche sulla richiesta dei domiciliari.

Mesi fa sui domiciliari, tra l’altro, il gip di Perugia aveva già bocciato l'istanza dei pubblici ministeri: secondo il giudice non sarebbero sussistiti pericoli di fuga, di reiterazione del reato né di inquinamento delle prove. Per Cantone tuttavia non era e, a distanza di sei mesi, non è così: motivo per cui ha fatto appello.

Al tenente della Gdf e all’ex giudice antimafia si contesta l’accesso abusivo alle banche dati contenenti anche le segnalazioni di operazioni sospette. Accuse che la procura umbra muove nell’ambito dell’inchiesta partita da una denuncia di Crosetto. Denuncia presentata dopo che questo giornale aveva pubblicato una notizia sui conflitti di interessi del ministro per via dei compensi milionari ricevuti da Leonardo e altre aziende del settore delle armi fino a pochi giorni prima dell’insediamento nel governo Meloni.

Alle inchieste è seguita la reazione del numero uno del dicastero di via Venti Settembre: con un esposto ha chiesto di indagare per cercare le fonti dei giornalisti. Ed è così che nel registro degli indagati sono stati iscritti anche i tre giornalisti di questo giornale. Accusati di concorso in accesso abusivo e rivelazione di segreto e “colpevoli”, insomma, di aver pubblicato fatti veri e di interesse pubblico.

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