Il finanziere al centro dell’inchiesta della procura di Perugia spiega in un’intervista alla Verità di aver agito sempre su indicazione dei suoi superiori, i magistrati Laudati ma anche Melillo. E sostiene di non aver mai condiviso con i giornalisti i dati sui redditi
Gli errori della procura di Perugia. Le indagini e gli accessi nelle banche dati autorizzati dai magistrati della procura nazionale antimafia. La superprocura bloccata da invidie e vanità. Un elenco con nomi e informazioni che permetterà di fare chiarezza su tutti i suoi accessi e su chi li aveva commissionati.
L’indagine sul ministro della Difesa Guido Crosetto e sui suoi soci che in passato hanno avuto legami con la malavita romana, «che non è solo una storia di bed & breakfast». E il rapporto con Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine, i tre giornalisti del team investigativo di Domani, indagati insieme a lui.
In una lunga intervista-colloquio con La Verità, il luogotenente della guardia di finanza Pasquale Striano fa sentire per la prima volta la sua voce. Una prima difesa dalle tante accuse della procura di Raffaele Cantone e dei media che nelle ultime settimane hanno fatto volare la fantasia, utilizzando definizioni come «dossier», «spionaggio», «ricatti», «eversione», che non trovano riscontro nemmeno negli atti d’inchiesta.
Gli errori di Perugia
«Non potete pensare che dietro a questo uomo ci sia una macchina da guerra», sono le parole del finanziere riportate dal quotidiano. «È giusto che io sia attaccato in una maniera così spudorata, anche violando tutte le regole della privacy persino dalla procura di Perugia che, posso assicurare, ha fatto cavolate?», si domanda.
«Non hanno capito nulla dei numeri che hanno dato, non sanno quali fossero le procedure, non sanno nulla. Io di segnalazioni di operazioni sospette non ne ho visionate 4mila come dicono loro, ne ho visionate 40mila. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale che acquisiva notizie a destra e a sinistra. Lo ammetto, anche con metodi non sempre ortodossi. Ma non mi devono far passare per quello che non sono», spiega il finanziere.
«Io adesso andrò a farmi le mie ragioni perché loro (i magistrati di Perugia, ndr) stanno inventando una marea di cose per amplificare una vicenda che è abbastanza ridicola». C’è poi un elemento che potrebbe cambiare tutto, secondo Striano: «C’è un documento elettronico che hanno anche i miei colleghi su quello che facevo giorno per giorno». Se i magistrati di Perugia lo avessero sequestrato «sarebbe ancora più grave (il loro atteggiamento, ndr), perché significherebbe che tu li sopra hai letto ciò che ho scritto su quanto fatto e non ne hai tenuto conto». Secondo il finanziere «la procura di Perugia ha voluto cercare solo ciò che gli serviva per accusarmi e non quello che era utile a scagionarmi».
Gli accessi autorizzati
«Il mio lavoro era quello di fare attività antimafia e di farla bene. Di occuparmi di fenomeni che potevano essere calzanti: gli affari dietro il Covid, i bitcoin, i nigeriani. Ho fatto sempre ed esclusivamente questo». «Ho denunciato anche per iscritto mille criticità», spiega il finanziere. «L’ho fatto per il bene dell’amministrazione».
Il luogotenente indagato si occupava di dossier pre-investigativi per il magistrato Antonio Laudati, indagato anche lui, e che le sue ricerche fossero «appannaggio esclusivo» di quest’ultimo avrebbe «creato invidie: non solo invidie interne, perché lì a livello nazionale c’è un macello». «Per far approfondire i nostri filoni investigativi, i magistrati si rivolgevano dove conoscevano, sceglievano le Dda con tale criterio e questo è un fatto un po’ scandaloso».
Le ricerche sui politici
«Io ho fatto tre appunti su Berlusconi. Tre o quattro. Mi sono stati tutti chiesti. E non dai giornalisti. Non li ho fatti perché ho letto gli articoli del Domani. Li ho realizzati perché me li chiedeva il procuratore», spiega. I giornalisti de La Verità scrivono che si parla soprattutto del pm Laudati, ma in un caso le ricerche sarebbero state richieste da Giovanni Melillo.
«Ci sono tante cose che mi sono state chieste espressamente. Non mi metto a fare i conti della serva. Io spiegherò quale fosse il mio metodo. Poi il giudice magari mi dirà: “Non lo dovevi fare”. Allora io risponderò: “Ma io non dovevo chiedere un’autorizzazione a monte. E comunque i miei risultati arrivavano con questo metodo di lavoro”. Io sono a posto con la mia coscienza, poi che sia stato fatto tutto un po’ alla carlona, sono il primo a dirlo. Ma l’ho ammesso pure con Melillo. Il mio obiettivo era quello di arrivare a degli atti d’impulso che fossero fatti bene».
Le lotte nell’antimafia
Striano esprime un duro parere sul lavoro della procura nazionale antimafia. «Non ha motivo di esistere. Se la Dna fosse come la Direzione investigativa antimafia per cui ho lavorato – e non sono uno che sputa nel piatto in cui ha mangiato – allora sarebbe diverso. Ma purtroppo lì ci sono uomini che non sono più in grado di fare le indagini. Io ho evidenziato a chi di dovere le criticità e non cercavo gratificazioni. Poi non lo scopro io, esisteva una lotta tra magistrati. Una gara a chi era più bravo, a chi era più bello, a chi aveva più potere. Questo lo spiegherò in procura e in tribunale».
È critico anche con l’ex procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, sostituito nella primavera 2022 da Giovanni Melillo: «De Raho era forte quando faceva il pm a Napoli, ma alla procura nazionale si è fatto tanti nemici e, secondo me, non ha svolto al meglio il suo compito».
I giornalisti di Domani
Il finanziere chiarisce anche i rapporti con Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine, i tre giornalisti di Domani indagati per concorso in accesso abusivo in sistema informatico e rivelazione di segreto: «Ai giornalisti io non do i redditi, che, comunque, sono stati dichiarati e non erano in nero e, quindi, prima o poi sarebbero venuti fuori», dice facendo riferimento alla vicenda sui compensi milionari ricevuti dal ministro della Difesa Guido Crosetto raccontata da Domani. «Ai cronisti gli vai a raccontare la storia dei Mangione, una storia incredibile».
I soci di Crosetto
«Dietro a questa vicenda c’è qualcosa di più grosso», afferma Striano. «Qui stiamo parlando del mondo delle armi e l’attenzione su certi argomenti dopo l’esplosione del mio caso, è subito calata. Perché non è solo una storia di bed and breakfast».
Crosetto, come raccontato da Domani, è socio dei fratelli Mangione, in passato finiti in indagini (da cui sono sempre usciti puliti) per i loro legami con la criminalità organizzata. Crosetto è ancora socio dei Mangione: «Dietro questa scelta c’è una precisa strategia. Se le cedi (le quote, ndr) ammetti qualcosa… però se rimani dentro, devi insistere sul fatto che c’è stato un altro problema, quello della diffusione dei redditi. In questo modo si è distolta l’attenzione e l’altra storia è andata in cavalleria».
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