La speranza era quella di trattare la scarcerazione di Cecilia Sala velocemente e in silenzio. Fuori dall’attenzione mediatica e politica i negoziatori e la famiglia pensavano di riuscire a liberare la giornalista italiana arrestata lo scorso 19 dicembre a Teheran. Ma così non è stato, e i negoziatori italiani - dopo aver deciso di dare la notizia d’accordo con la famiglia - temono che la sua carcerazione in Iran possa essere affatto breve.

Sala sarebbe dovuta rientrare in Italia per Natale, ma ora si trova in una cella di isolamento nella prigione di Evin, luogo rinomato per la reclusione di dissidenti politici iraniani e cittadini stranieri. Non ci sono ancora motivazioni ufficiali riguardo al suo arresto, il che fa pensare che non siano ancora state formalizzate le accuse.

Di sicuro l’ambasciata iraniana a Roma era a conoscenza della sua presenza a Teheran, dato che le aveva concesso un visto giornalistico della durata di otto giorni. Forte di quel documento, Sala – cronista de Il Foglio e autrice del podcast quotidiano Stories di Chora Media – era arrivata nel paese degli ayatollah per svolgere il suo lavoro, basato anche sul racconto delle donne dissidenti che combattono il regime.

Sala ha avuto due conversazioni telefoniche con i suoi famigliari. E venerdì 27 dicembre ha ricevuto anche la visita dell'ambasciatrice italiana Paola Amadei. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha fatto sapere che le condizioni di salute di Sala sono buone e che il governo italiano sta lavorando «con grande discrezione» per riportarla a casa.

Sul caso si sono espressi politici di ogni partito e associazioni a difesa dei diritti umani come Amnesty international chiedendo la sua immediata liberazione.

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha detto che «le trattative con l’Iran non si risolvono, purtroppo, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica occidentale e con la forza dello sdegno popolare, ma solo con un’azione politica e diplomatica».

L’uomo di Teheran

Ora, sui motivi per cui Sala è stata arrestata ci sono molte speculazioni. Domani ha però sentito fonti di alto livello della Farnesina e dell’intelligence, che fanno ipotizzare una ritorsione degli ayatollah contro l’Italia. Il fermo di Sala è in effetti avvenuto qualche giorno dopo l’arresto in Italia, su mandato americano, di un imprenditore iraniano legato ai guardiani della rivoluzione.

Gli agenti dell’antiterrorismo della Digos di Milano hanno fermato a metà dicembre Mohammad Abedini, appena atterrato all’aeroporto di Malpensa dalla Turchia. Lo stesso giorno è stato arrestato negli Stati Uniti anche Mahdi Mohammad Sadeghi, cittadino iraniano-statunitense residente in Massachusetts.

In una nota il Dipartimento di Giustizia americano scrive che i due sono accusati dagli Usa di «cospirazione per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni».

Trentotto anni e con la doppia cittadinanza svizzera-iraniana, Abedini avrebbe violato la legge federale International emergency economic power act per aver fornito componenti elettroniche – tramite le sue società – alle guardie rivoluzionarie iraniane. Abedini che in Svizzera ha fondato la società Illumove Sa avrebbe fornito il materiale per la costruzione di droni impiegati dall’aviazione dei pasdaran. Alcuni di questi velivoli sarebbero stati utilizzati in un attacco avvenuto il 28 gennaio scorso in un avamposto nel nord-est della Giordania da parte di alcune milizie sciite affiliate al regime.

Nell’attacco – uno dei più mortali degli ultimi anni per l’esercito a stelle e strisce – sono stati uccisi tre soldati statunitensi e feriti altri quaranta. Abedini avrebbe pure creato una copertura per ottenere informazioni provenienti dagli Stati Uniti di Sadeghi e fornito know how per un’altra sua società fondata in Iran, la San’at Danesh Rahpooyan Aflak (Sdra). Secondo l’intelligence statunitense la maggior parte delle vendite delle società, effettuate tra il 2021 e il 2022, sarebbe stata destinata all’aviazione dei Pasdaran.

Insomma, Abedini è un personaggio di primo piano per i servizi di sicurezza di Teheran, che ora potrebbero chiedere all’Italia - in una sorta di ricatto - un suo rilascio in cambio della liberazione di Sala.

Nei giorni scorsi il ministero degli Esteri iraniano ha convocato gli ambasciatori di Svizzera – in quanto rappresentante degli interessi della Casa Bianca a Teheran – e Italia come forma di protesta dopo gli arresti di Abedini e Sadeghi. Da Washington, però, aspettano la sua estradizione.

Preoccupazioni

Mentre fonti della Farnesina non confermano una correlazione tra i due arresti, per i servizi italiani il collegamento è certo. Per questo sono molto preoccupati. Molte infatti le incognite sul tavolo delle trattative. In primis, oltre alla politica c’è un’autorità giudiziaria che ha confermato l’arresto dell’imprenditore iraniano e che deciderà autonomamente sul suo caso.

E poi ci sono gli Stati Uniti, che accusano Abedini di aver contribuito all’uccisione di suoi tre militari e che ora vogliono la sua estradizione. Ad aumentare le difficoltà per i negoziatori italiani c’è l’imminente passaggio di consegne alla Casa Bianca: l’amministrazione di Joe Biden è uscente e il rischio è che bisogni aspettare l’insediamento di Donald Trump per implementare le trattative.

L’avvertimento

Infine, qualcuno sostiene che una vendetta contro l’Italia fosse prevedibile. In effetti 17 dicembre scorso Shahed Alavi, News editor dal 2020 dell’emittente Iran international, sconsigliava i cittadini italiani di recarsi in Iran. «Alla luce dell'arresto in Italia di Mohammad Abedini Teheran potrebbe reagire prendendo in ostaggio cittadini italiani per impedirne l'estradizione.

Per la vostra sicurezza, non recatevi in Iran, perché potreste diventare un potenziale bersaglio delle tattiche di presa di ostaggi del regime», scriveva in un post X. Anche Shahed Alavi ha messo in correlazione i due arresti.

Il rischio è che le trattative durino settimane. L’ultimo caso di cronaca fu quello di Alessia Piperno la travel blogger italiana arrestata in Iran a fine 2022 e rimasta in carcere per oltre 45 giorni. Ma in quel caso l’intrigo diplomatico era molto meno complesso.

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