Alla prudenza del tribunale di Roma il governo ha risposto con un nuovo attacco alla magistratura. La sezione specializzata ha sospeso il giudizio di convalida dei trattenimenti dei sette migranti, egiziani e bengalesi, trasferite venerdì scorso nel centro albanese di Gjadër, rinviando alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Un esito prevedibile, dato che lo stesso tribunale aveva già rinviato il decreto Paesi sicuri del governo – approvato, come riferito dalla premier, per aggirare l’ostacolo – alla stessa Corte.

Stessa decisione avevano preso i tribunali di Palermo e Bologna. Delle otto persone sbarcate dalla nave Libra al porto di Shëngjin, una era stata riportata in Italia in giornata perché valutata in condizioni di vulnerabilità. Ora però anche i sette richiedenti asilo rimasti devono essere ricondotti nel nostro paese perché, non intervenendo la convalida entro il termine di 48 ore, devono essere rilasciati. E non possono essere liberati sul territorio albanese, come prevede protocollo firmato dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo Edi Rama un anno fa, il 6 novembre 2023. Lunedì sera il Viminale ha fatto sapere che si costituirà di fronte alla Corte di giustizia per sostenere le proprie ragioni.

Quella dei giudici di Roma è una decisione tecnicamente diversa da quella presa per il primo gruppo di dodici migranti. In quell’occasione non era stato convalidato il trattenimento, ed era quindi stata chiesta la loro liberazione immediata in applicazione del diritto europeo. Il tribunale aveva ritenuto che l’Egitto e il Bangladesh non potevano essere considerati sicuri, secondo l’interpretazione della sentenza della Corte di giustizia europea che definisce un paese sicuro solo se è tale in tutto il suo territorio e per tutte le categorie di cittadini, senza eccezioni. Elementi che non ricorrono né per l’Egitto né per il Bangladesh.

Nel frattempo il governo ha deciso di elevare a norma primaria la lista dei paesi considerati sicuri, scesi da 22 a 19, con un decreto legge, che tuttavia non dovrebbe prevalere sul diritto Ue. Ed per questo i giudici attendono una pronuncia della Corte di Lussemburgo, che potrà sciogliere l’interpretazione «divergente».

Una decisione che potrebbe arrivare entro pochi mesi – se si accoglierà la richiesta di procedura d’urgenza – ma anche tra due anni. Un rinvio che il governo non potrà ignorare, a meno che non decida di elevare al massimo lo scontro, dando alla magistratura la responsabilità dei propri errori politici e giuridici. Intanto si registra un aumento esponenziale dei costi, già vicini al miliardo di euro: ogni viaggio della nave da guerra Libra supera infatti i 200mila euro.

Rinvio pregiudiziale

Per il tribunale di Roma, si legge nel comunicato, il rinvio pregiudiziale è lo «strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità, visto il decreto del governo che ha adottato un’interpretazione delle leggi europee “divergente” da quella adottata dal tribunale per il primo gruppo di migranti». E spiega che la «scelta è stata preferita a una decisione di autonoma conferma da parte del tribunale della propria interpretazione».

I giudici di Roma precisano poi che i criteri per considerare uno stato di origine sicuro «sono stabiliti dal diritto dell’Ue» e la magistratura «ha il dovere di verificare sempre e in concreto la corretta applicazione» del diritto europeo, che «prevale sulla legge nazionale» in caso di incompatibilità. La provenienza da un paese di origine sicuro, precisano inoltre, condiziona solo le procedure da applicare e non la possibilità di rimpatriare o espellere una persona migrante. Determina se siano o meno applicabili le procedure accelerate di frontiera, che significa avere meno garanzie, tempi ristretti e una buona possibilità che la propria domanda di asilo venga rigettata perché la situazione del paese sarebbe tale da presumere che le richieste di protezione internazionale non siano fondate. Solo a queste condizioni una persona può essere portata nei centri in Albania.

Alimentare lo scontro

Tecnicamente quindi i giudici non hanno disapplicato il decreto del governo, né hanno chiesto la liberazione dei migranti. È la Costituzione a garantire che la privazione della libertà personale non possa estendersi senza limiti e debba essere prevista solo «in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge». E se l’autorità giudiziaria non convalida entro 48 ore, dispone l’articolo 13, il provvedimento – in questo caso del questore di Roma – si intende revocato e privo di effetto. Tradotto: i migranti devono essere rilasciati e potrebbero essere in Italia già martedì.

Al governo, però, i tecnicismi giuridici non importano. Interessa lo scontro. «Ci sono alcuni magistrati che stanno cercando di imporre la loro linea» e «non è accettabile», ha detto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Sulla stessa linea la Lega. «Un’altra sentenza politica non contro il governo, ma contro gli italiani e la loro sicurezza», ha detto il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini.

Attacchi che la deputata del Pd Laura Boldrini, dal porto di Shëngjin, ha definito «vergognosi». Netta la risposta del segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati, Salvatore Casciaro: «Di fronte alle nuove polemiche innescate dalle ultime decisioni dei giudici romani, mi preme solo ricordare che la primazia del diritto dell’Unione europea è l’architrave su cui poggia la comunità delle corti nazionali e impone al giudice, quando ritenga la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione, di applicare quest’ultima o, in caso di dubbio, di sollevare rinvio pregiudiziale, cosa che è stato fatto in questo caso dal tribunale di Roma. I giudici fanno il loro dovere».

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