È il giorno della discussione in aula in regione Lombardia della mozione di Fratelli d’Italia per «la ricognizione e la chiusura dei centri sociali irregolari». A prima firma Giacomo Zamperini di FdI, è stata presentata dopo i fatti di Milano e Bologna, dove il 9 novembre ha sfilato nelle vie del centro città un corteo neofascista organizzato da Casapound e dalla Rete dei Patrioti, a pochi passi dalla stazione colpita il 2 agosto 1980 proprio da un attentato neofascista. Ci sono però stati scontri tra la polizia e il contro corteo dei collettivi antifascisti, che in opposizione alla decisione di non vietare la manifestazione di estrema destra, cercavano di avvicinarsi ai militanti neofascisti. 

D’altronde l’idea e la spinta è arrivata da Matteo Salvini che – nonostante le frequentazioni giovanili – ha assicurato di chiedere direttamente al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi una «ricognizione di tutti i centri sociali di sinistra occupati abusivamente perché sono covi di delinquenti». Zamperini e gli altri firmatari, in Lombardia, partono proprio da questi fatti non per bloccare movimenti anticostituzionali, come Casapound, ma per censire e chiudere i centri sociali della regione. 

Per farlo vengono portati alcuni esempi, di varia natura. A Lecco si ricorda un corteo del 18 maggio 2024, di circa un migliaio di manifestanti che ha «deturpato e imbrattato con scritte anarchiche la città», «in segno di protesta verso la Fiocchi Munizioni Spa», un’azienda attiva nell’industria della armi. A Milano sarebbero state occupate, «si apprende a mezzo stampa», scrivono, due strutture. E, sempre in città, il Leoncavallo, storico centro sociale di Milano, «in  meno di 20 anni», avrebbe avuto «oltre 110 notifiche di sfratto». Si aggiunge poi che «tutti i tentativi di sgombero sarebbero rimasti infruttuosi a causa del rifiuto da parte degli occupanti di lasciare spontaneamente l’immobile».

Non dimenticandosi di esprimere «la più totale solidarietà a tutte le forze dell’ordine indistintamente» e di condannare chi «confonde la libertà di espressione con il presunto diritto di negare agli altri la possibilità di esprimersi» – il soggetto sarebbe “i centri sociali”, gli “altri” sarebbero Casapound e la Rete dei patrioti – i consiglieri regionali invitano il presidente e la giunta ad «avviare con urgenza, in collaborazione con le prefetture», «una ricognizione e una verifica della regolarità dei centri sociali presenti in Lombardia», per «accertare il rispetto delle normative urbanistiche, di sicurezza e di gestione».

E, ancora, «adottare, al limite delle competenze regionali provvedimenti concreti per la chiusura di tutti i centri sociali che risultino in violazione delle leggi e delle normative, garantendo un ambiente sicuro e rispettoso dei diritti di tutti i cittadini».

Cortocircuito

Ma cosa può fare la regione contro i pericolosissimi centri sociali? Luoghi che organizzano appunto attività sociali e culturali «verso una società antifascista, antirazzista e femminista».

Secondo il consigliere regionale Luca Paladini, di Patto Civico, niente perché «regione non ha poteri per fare nulla di tutto questo ma serve lanciare l’ennesimo messaggio intimidatorio a chi non si allinea», spiega. Per Paladini «la vera violenza» è essere pronti «a punire le voci fuori dal coro», invece di amministrare. «I fatti di Bologna», prosegue, «sono raccontati come si vogliono, non si dice che c’erano 300 neofascisti a un chilometro dalla stazione dove è avvenuta la strage».

Paladini spiega il «grande cortocircuito» che ci sarà oggi in aula: all’ordine del giorno c’è in apertura la discussione sul progetto di legge di iniziativa popolare sull’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito, dopo la sentenza della Corte costituzionale. La regione ha competenza sulla sanità, «ma l’amministrazione dirà probabilmente di non averne, mentre sostiene di avere competenza per poter chiudere i centri sociali». 

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