Le rivelazioni di Vincenzo Pasquino. Finì in una «cybertrappola» dell'antidroga assieme a Rocco Morabito, l'ex latitante numero uno dopo Matteo Messina Denaro. Dal Sud America all'Australia: la 'ndrangheta ormai principale player del pianeta nei traffici della coca
La più grande rete criminale del pianeta. Sofisticati sistemi di comunicazione crittografati per importare tonnellate di cocaina dai cartelli sudamericani. La regia della 'ndrangheta nei traffici tra il vecchio, il nuovo e il nuovissimo mondo: quella del Tamunga, ma anche del Mohicano e Felix e Cetto. Identità in parte ora svelate, mentre altri restano fantasmi. L'ultimo narcos a saltare il fosso è il trentaquattrenne Vincenzo Pasquino. Nato a Torino, origini calabresi, è il broker dell'oro bianco reo confesso d'aver movimentato tonnellate di cocaina in una rete internazionale che coinvolgeva Italia, Belgio, Germania, Spagna, Colombia, Brasile, Uruguay, Australia.
Al servizio degli dei
«Lavoravo con dei gruppi che erano formati da varie famiglie, Africo, San Luca, Platì...», ammette ai magistrati di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e Diego Capece Minutolo che lo raggiungono, per interrogarlo, a Roma, nel carcere di Rebibbia. I Morabito, i Nirta, i Mammoliti. Pasquino, in pratica, era al servizio dell'Olimpo della 'ndrangheta.
Fu lui, peraltro, l'ignaro cavallo di Troia che nel maggio di tre anni fa consentì ai carabinieri del Ros - grazie ad una delle più importanti, e tecnologicamente avanzate, attività di cooperazione internazionale d'ogni tempo - d'arrestare a Joao Pessoa, in Brasile, Rocco Morabito detto il Tamunga, allora numero due tra i ricercati italiani di massima pericolosità, secondo al solo Matteo Messina Denaro, già evaso dal Carcer Central di Montevideo grazie ad una rocambolesca fuga e ad una banda di fiancheggiati.
Un impero criptato
Dopo quella di Raffaele Imperiale, il supernarcos della camorra che custodiva due Van Gogh trafugati al museo di Amsterdam e che cedette alle autorità italiane un'isola di sua proprietà nei pressi di Dubai, la resa di Pasquino getta un nuovo fascio di luce non solo nell'impero dell'oro bianco - gli ultimi rapporti indicano un giro d'affari, solo per la 'ndrangheta, di 150 miliardi di euro, pari al prodotto interno lordo di Paesi come Grecia o Ungheria - ma soprattutto sui nuovi sistemi di comunicazione criptati adottati dai narcos di mezzo mondo.
La «cybertrappola» al Tamunga
D'altro canto, le indagini che condussero alla cattura di Rocco Morabito - chiarisce il comandante del II Reparto del Ros Centrale Massimiliano D'Angelantonio - ebbero una svolta quando gli investigatori violarono un criptofonino, in uso proprio a Pasquino, ed alcune chat di SkyEcc, ovvero la rete di messaggistica crittografata sviluppata dal colosso canadese Sky Global nel 2008, con altri signori della droga.
Grazie alla collaborazione con la Dea e l'Fbi, giunsero ad identificare un dispositivo di ultima generazione che immetteva in una rete criptata a sua volta diversa da SkyEcc. Qui - precisa il vicecapo della Polizia Vittorio Rizzi, tra i promotori del progetto di cooperazione internazionale I-Can nell'ambito del quale si svolse quell'indagine senza precedenti - l'intelligence americana e australiana crearono una «cybertrappola» che permise agli inquirenti brasiliani e ai carabinieri del Ros di localizzare e stanare Vincenzo Pasquino e Rocco Morabito.
Nickname e fantasmi
Pasquino, nel suo torrenziale narrato, in buona parte coperto ancora da omissis, spiega ai magistrati antimafia che il 7 maggio lo interrogano, come fossero arrivati in Europa ingenti carichi di cocaina acquistati dalla grandi famiglie calabresi attraverso lo stanziamento di quote-parte: le partenze dai porti sudamericani, gli approdi ad Anversa, Rotterdam, Gioia Tauro, dove a volte veniva gettata in mare prima dell'attracco o ancorata alla chiglia della nave, poi recuperata da sub specializzati per la modica di cifra di «150.000 euro».
La cocaina, l'oro bianco, talvolta dall'Europa era solo di transito, destinata - sempre sotto l'egida della 'ndrangheta - «fino in Australia, passando per Singapore». Le comunicazioni avvenivano esclusivamente attraverso dispositivi e applicazioni di messaggistica criptata, nel quale ognuno risultava riconoscibile esclusivamente dal suo nickname: c'erano il Mohicano, Fenix, Maicol, Cetto, dei quali Pasquino svela l'identità, altrettanto non può per i referenti dei cartelli, colombiani e brasiliani, che rimangono dei fantasmi celati dai loro nomi di battaglia.
Player per tutte le mafie
Lo stupefacente, per evitare che fosse intercettato dall'antidroga, procurando danni milionari all'organizzazione, non veniva semplicemente nascosto nei carichi più disparati, ma a volte era addirittura trasformato: per mandarlo in Australia, ad esempio, avevano pianificato di travestire i consueti panetti da un chilo in «mattonelle da un metro per un metro».
Vincenzo Pasquino aggiunge particolari che spiegano plasticamente come l'organizzazione criminale della quale faceva parte fosse, in sostanza, il principale player internazionale del narcotraffico: i Nirta, una delle famiglie storiche di San Luca, ad esempio avevano investito in un carico di cocaina attraverso il denaro messo loro a disposizione ad una «organizzazione di cinesi».
Nel finanziamento dei traffici, però, sarebbero stati coinvolti anche arabi, albanesi, marocchini, e il turco Giorgio Rafat detto «il re della frontiera», che sarebbe stato un canale diretto di Rocco Morabito. In media 2.000 dollari al chilo. L'organizzazione ne importò tonnellate, anche durante la pandemia. Una volta tagliata, divisa in dosi e canalizzata nelle piazze di spaccio, avrebbe alimentato l'affare più ricco e letale del pianeta.
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