Ci sono delle lezioni che abbiamo imparato con il Covid, quando il mondo si è trovato ad affrontare all’improvviso una pandemia causata da un virus sconosciuto. Eppure, a distanza di quattro anni, alcuni aspetti sembra che siano stati dimenticati dall’opinione pubblica: il bisogno ad esempio di prepararsi all’inaspettato, investendo il più possibile nella prevenzione di quelle che potrebbero essere le malattie del futuro.

Per fortuna, spesso lontano dall’attenzione mediatica, ci sono alcuni centri d’eccellenza che anche in Italia si preparano ogni giorno ad affrontare i pericoli dei virus emergenti. Proprio da una di queste realtà – l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo – arriva un appello: bisogna accelerare la transizione verso un approccio diverso alla sanità, che sia il più possibile “unico”. Tradotto anche per i non esperti: si deve comprendere che la salute dell’uomo, degli animali e del pianeta sono intimamente connesse. E per questo anche la sanità dovrebbe adottare un approccio olistico e interdisciplinare, condividendo dati e strategie.

Di questo si è parlato in un convegno scientifico che si è tenuto proprio a Teramo e a cui ha partecipato anche la ministra dell’Università e della ricerca Anna Maria Bernini. Il luogo scelto non è casuale: ormai da più di trent’anni l’istituto abruzzese è stato nominato dal ministero della Salute come centro di referenza nazionale per lo studio e l’accertamento delle malattie esotiche degli animali.

Significa che qui si iniziano a studiare con grande anticipo quei virus che potrebbero raggiungere anche le nostre latitudini. Come ad esempio la febbre della Rift Valley o la Crimean-Congo Hemorrhagic fever, la febbre del Congo. Due virus nuovi che sono diffusi in Africa, ma che potrebbero presto raggiungerci: perché i virus viaggiano, come appunto abbiamo imparato proprio dal Covid.

Nuove sfide

Ed è anche la storia della Dengue, che proprio in questi giorni ha causato un focolaio a Fano, nelle Marche. In totale ci sono stati 196 casi, di cui 136 confermati (due dei quali a Pesaro), 52 probabili e altri otto possibili. È un dato ancora più significativo se si confronta con quelli del passato, quando venivano perlopiù registrati alcuni casi isolati.

I casi accertati, per tutto l’anno e in tutto il territorio nazionale, sono stati 108 nel 2018, 185 nel 2019, 34 nel 2020, 11 nel 2021, 117 nel 2022 e 377 l’anno scorso: significa che il solo focolaio di Fano ha di fatto superato la media annuale dei casi nazionali fra il 2018 e il 2022.

Alcune malattie emergenti stanno dunque diventando una realtà sempre più diffusa anche in Italia. E così sta aumentando anche l’interesse pubblico, anche se a volte sembra quasi una corsa a voler prevedere quale sarà la pandemia del futuro, con tanto di guide ai sintomi che vengono ricondivise sui social, in una sorta di grande ipocondria digitale. Ma questo allarmismo costante è in qualche modo utile?

«No, l’allarmismo non è mai un atteggiamento corretto», spiega Nicola D’Alterio, direttore generale dell’Istituto di Teramo. «Però è anche comprensibile. Stiamo parlando da una società che è appena uscita dalla catastrofe della pandemia, è normale che ci sia una sensibilità maggiore. E non è per forza un male. Chi avrebbe mai potuto pensare, vent’anni fa, che in Italia ci sarebbero stati tanti casi di West nile, Zika o Dengue? Una buona dose di attenzione è necessaria: dobbiamo misurarci con nuove sfide che per fortuna al momento non sono gravi come il Covid, ma richiedono comunque un’attenzione anche per la sanità pubblica».

Una sola sanità

Questi esempi fanno capire bene perché l’approccio di una “sanità unica” – dall’inglese “One health” – è particolarmente importante. Queste malattie e tutte le arbovirosi hanno infatti bisogno di un vettore per diffondersi e non è l’uomo: si trasmettono con il morso o la puntura di zanzare, zecche e flebotomi.

La Dengue ad esempio è causata da quattro virus molto simili che vengono trasmessi agli umani dalle zanzare. Il principale vettore del virus è la zanzara Aedes aegypti, che è responsabile anche della febbre gialla e che per fortuna non è diffusa in Italia. Ma, in casi più rari, il virus viene trasportato anche dalla comune «zanzara tigre» (Aedes albopictus), che in Italia è invece presente dagli anni Novanta.

E dunque la medicina umana si collega strettamente a quella veterinaria, che si collega a sua volta alla salute del pianeta. Perché, qualche decennio fa, alcuni dei vettori delle malattie emergenti non sarebbero semplicemente sopravvissuti in Italia. Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, l’aumento delle temperature in Europa, accompagnato da ondate di calore, alluvioni ed estati più lunghe e calde, favoriranno la proliferazione di zanzare invasive. E dunque di malattie virali come Chikungunya, Dengue e West Nile.

Secondo il “Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle arbovirosi”, approvato dal ministero ancora nel 2019, «l’anticipazione dell’arrivo in Italia di molte specie di uccelli migratori potrebbe modificare il ciclo di trasmissione dei virus West Nile e Usutu, mentre il precoce sviluppo dello stadio alato delle zanzare potrebbe influenzare la comparsa di epidemie di diverse arbovirosi».

Inoltre, il fatto di sottrarre alla natura ogni ambiente incontaminato, ad esempio nelle foreste del Sudamerica, aumenta il rischio di entrare in contatto con patogeni finora sconosciuti.

In Italia e nel mondo

«È come se il Covid avesse messo una pietra tombale sulle possibili polemiche contro la “sanità unica”: è evidente che le varie discipline scientifiche devono parlarsi», spiega D’Alterio. «Problemi come il cambiamento climatico, le specie aliene e il salto di specie, giusto per fare qualche esempio, non possono essere affrontati a compartimenti stagni».

Anzi, la condivisione di informazioni in un ecosistema più ampio è la chiave per cercare delle soluzioni, anche contro i nuovi virus emergenti. Anche per questo, in una recente riorganizzazione del ministero della Salute italiano è stato introdotto un dipartimento che si occupa proprio di sanità unica.

All’interno sono inquadrate tre direzioni generali, quella dell’igiene e della sicurezza alimentare, della salute animale e dei corretti stili di vita e dei rapporti con l’ecosistema. A livello internazionale esistono invece sensibilità diverse, ma l’Onu ha già dato indicazione che questa è la strada da seguire. Anche per prevenire le malattie del futuro.

La prevenzione

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A Teramo la prevenzione è per altro un tema che si studia quotidianamente, da ormai diversi decenni, in un certo senso anche in anticipo rispetto ai tempi. Già a metà degli anni Ottanta venivano fatti i primi studi sul campo in Namibia, alla ricerca di nuove malattie. Ancora di più negli ultimi anni, l’istituto ha continuato ad andare in Africa per studiare i virus emergenti, spesso riuscendo a instaurare rapporti personali e riuscendo così a entrare negli ospedali a fare studi clinici. Sono tutte conoscenze che potrebbero tornare utili in futuro, se quelle malattie dovessero malauguratamente raggiungere l’Italia.

Ma non c’è solo questo. Esistono anche metodi all’apparenza futuristici che vengono già utilizzati per prevenire i contagi. «Utilizziamo i dati satellitari per comprendere le condizioni ambientali dei territori che stiamo analizzando», spiega D’Alterio. «Partendo da questi dati, catturiamo poi alcuni esemplari di zanzara, per cercare il virus già nel vettore, prima ancora che ci siano casi negli uomini. Arriviamo in anticipo di circa due settimane». Così la notizia viene diffusa ai sindaci, che possono intervenire ordinando una disinfestazione urgente, nella speranza di anticipare così la diffusione del virus e della malattia.

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