Ci sono due aspetti che riguardano una malattia come la Dengue e non sempre vanno di pari passo. Da un lato c’è la sua diffusione, e in questo caso, secondo i dati ufficiali più recenti dell’Istituto superiore per la sanità (l’ultimo aggiornamento è del 10 giugno, un mese fa), parliamo di 259 casi in Italia, tutti quanti “importati” dall’estero e nessuno autoctono.

Dall’altro lato c’è invece la percezione del rischio nell’opinione pubblica, fattore ben più difficile da sondare, ma che sembra comunque questa volta perfettamente correlato. Perché i giornali, che negli anni scorsi prestavano meno attenzione alle malattie “tropicali”, sembrano ora essersi accorti del rischio della loro diffusione in Italia.

Quanto meno, misurando con gli strumenti di Google il numero di volte in cui il termine “Dengue” è stato cercato nel web, negli ultimi mesi ha avuto un balzo che non è paragonabile a quello degli scorsi anni, quando i report su malattie come questa erano perlopiù uno strumento utilizzato da professionisti e addetti ai lavori.

Il problema della prevenzione

Il punto è semmai capire se questa attenzione pubblica si stia trasformando in una maggiore prevenzione. E non sembra essere così, almeno a sentire uno dei più illustri divulgatori in tema di malattie infettive, diventato famosissimo durante la pandemia da Covid-19.

Il problema – sostiene Matteo Bassetti, in un video condiviso su Instagram – è che la risposta ai casi di Dengue è in genere un intervento massivo di disinfestazione, fatto però sempre dopo la notizia di un’infezione. «Sono mesi che diciamo che stiamo vivendo la peggiore stagione di Dengue della storia», sostiene Bassetti. «La disinfestazione delle zanzare va fatta comunque, da marzo a settembre, prima con i larvicidi e poi con gli adulticidi». La sensazione, invece, è che ancora una volta gli interventi arrivino in ritardo. Come se non fosse stato ancora introitato, almeno nella maggior parte delle amministrazioni locali, il concetto di “prevenzione”.

La disinfestazione “a posteriori” serve a ridurre il rischio di contagio secondario: ovvero quando le zanzare entrano in contatto con una persona che si è infettata all’estero e fanno poi da vettore, potenzialmente contagiando altre persone. Ma cosa succede nei casi che rimangono sconosciuti alle autorità, quando ad esempio i sintomi sono lievi, e come ci comporteremo se un giorno la Dengue dovesse diventare endemica?

Arbovirosi

Questa è la vera sfida che riguarda il futuro: riuscire a far passare il concetto che i cambiamenti climatici porteranno a nuove sfide, che riguardano anche la salute. E che dunque ci si debba preparare ad affrontarle in anticipo. Non significa fare allarmismo o immaginare scenari apocalittici, ma soltanto fare i conti con quello che già viene anticipato da qualche tempo nei documenti ufficiali.

In questo caso il primo punto di riferimento è il “Piano nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle arbovirosi” che si riferisce al periodo dal 2020 al 2025 ed è stato scritto ancora nel 2019, dunque prima del Covid. Dove per arbovirosi si intendono tutte le malattie causate dai virus che sono trasmessi da vettori come zanzare, zecche e flebotomi, tramite il morso o la puntura. Se ci concentriamo sulla Dengue, l’Organizzazione mondiale della sanità ha documentato un aumento di dieci volte nei casi segnalati in tutto il mondo (da 500mila a 5,2 milioni). Il 2019 è stato raggiunto «un picco senza precedenti, con casi segnalati che si sono diffusi in 129 paesi».

«Dopo un leggero calo dei casi tra il 2020 e il 2022 dovuto alla pandemia da Covid-19», spiegano dall’Oms, «nel 2023 si è osservato un aumento dei casi a livello globale». In Italia i casi accertati sono stati 108 nel 2018, 185 nel 2019, 34 nel 2020, 11 nel 2021, 117 nel 2022 e 377 l’anno scorso. È evidente che quest’anno si batterà il record.

Sintomi e zanzare

La Dengue è causata da quattro virus molto simili che vengono trasmessi agli umani appunto attraverso le punture delle zanzare. Le persone non possono dunque contagiarsi fra loro, anche se l’uomo è il principale ospite del virus e nel sangue di chi è infetto può circolare per diversi giorni, in media per una settimana. Normalmente la malattia causa febbre nell’arco di cinque-sei giorni dalla puntura, con temperature che possono essere anche molto elevate.

La malattia è spesso definita come «spacca ossa», perché la febbre è accompagnata da mal di testa acuti, dolori attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, oltre che nausea e vomito e irritazioni della pelle: tutti sintomi che molte volte sono però assenti nei bambini.

Il principale vettore del virus è la zanzara Aedes aegypti, che è responsabile anche della febbre gialla e che per fortuna non è diffusa in Italia. Ma, in casi più rari, il virus viene trasportato anche dalla comune «zanzara tigre» (Aedes albopictus), che in Italia è invece presente dagli anni Novanta.

Anche se nei mesi scorsi il ministero della Salute ha rinforzato i controlli alle frontiere, per fare in modo che la zanzara egiziana non si intrufoli fra la merce, la prospettiva nei prossimi anni non è troppo rosea. Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, l’aumento delle temperature in Europa, accompagnato da ondate di calore, alluvioni ed estati più lunghe e calde, favoriranno la proliferazione di zanzare invasive. E dunque di malattie virali come Chikungunya, Dengue e West Nile.

Secondo il “Piano nazionale di prevenzione”, citato prima, «l’anticipazione dell’arrivo in Italia di molte specie di uccelli migratori potrebbe modificare il ciclo di trasmissione dei virus West Nile e Usutu, mentre il precoce sviluppo dello stadio alato delle zanzare potrebbe influenzare la comparsa di epidemie di diverse arbovirosi».

Le zecche

Un discorso a parte va invece fatto per le zecche, che di fatto in alcune zone d’Italia rappresentano già una concreta emergenza sanitaria. Possono infatti trasmettere la borreliosi di Lyme e l’encefalite da zecche (Tbe), che sono due malattie molto pericolose per l’uomo. Nell’1 per cento dei casi la Tbe può essere mortale, nel 10-20 per cento dei casi ci possono essere disturbi del sistema nervoso centrale, anche gravi.

Per questo, in provincia di Belluno, in Trentino e in Alto Adige, dove le zecche sono molto diffuse, soprattutto nei boschi, si sta facendo una massiccia campagna vaccinale, con anche degli “open day” che ricordano molto i tempi del Covid.

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