Una delle frasi che sento ripetere più di frequente da chi si oppone ai vaccini è questa: «I vaccini anti Covid sono terapie geniche sperimentali». L’ha pronunciata il professor Massimo Cacciari, la ripetono molti dei filosofi e dei sedicenti esperti della commissione dubbio e precauzione. Ma non è vero: i vaccini non sono «terapie geniche sperimentali».

Di quelle tre parole non ce n’è una sola giusta. Innanzitutto, i vaccini anti Covid non sono terapie perché non curano la malattia ma la prevengono. E non sono sperimentali perché la sperimentazione che doveva accertarne la sicurezza ed efficacia si è già conclusa.

Resta da affrontare la terza questione: i vaccini anti Covid sono terapie geniche, cioè possono modificare i geni del nostro Dna? La risposta è no. La spiegazione è tecnica ma semplice.

I vaccini ora utilizzati contro il virus sono fondamentalmente di due tipi: vaccini a vettore virale - cioè costituiti da virus innocui modificati geneticamente e resi incapaci di replicarsi, ma che contengono il gene per la proteina spike del coronavirus (come Astrazeneca); e vaccini a Rna, costituiti da goccioline di lipidi, dette liposomi, che contengono l’Rna che codifica la proteina spike del coronavirus e induce le nostre cellule a produrla (come nel caso di Pfizer e Moderna). Prendiamoli in esame uno alla volta.

Adenovirus

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I primi vaccini usano un virus come “vettore”: una specie di postino che veicola l’informazione dentro alle nostre cellule. Di solito per produrre questo tipo di vaccini si usano virus della famiglia degli adenovirus, virus a Dna che provocano nell’uomo malattie lievi, come il raffreddore o la congiuntivite.

Gli scienziati di Astrazeneca hanno preso un adenovirus innocuo per l’uomo - quello che provoca il raffreddore nello scimpanzé – lo hanno modificato geneticamente in modo da renderlo incapace di replicarsi e di causare la malattia, e hanno inserito nel suo Dna il gene che codifica la proteina spike del SARS-CoV-2.

Quando iniettano questo vaccino, le poche centinaia di copie di adenovirus in esso contenute si attaccano alla membrana delle cellule muscolari e connettivali vicine al sito di inoculazione, la membrana del virus si fonde con quella delle nostre cellule, e così il virus inietta il suo Dna all’interno di esse.

A questo punto, il Dna dell’adenovirus va a finire dentro al citoplasma delle cellule, migra fin dentro al loro nucleo, dove viene trascritto in Rna messaggero, il quale ritorna nel citoplasma e qui, grazie a speciali apparati molecolari chiamati ribosomi, viene tradotto in proteine.

In questo modo il gene della proteina spike inserito nel Dna del vettore virale viene tradotto in un Rna messaggero che, a sua volta, nel citoplasma genera la proteina spike del virus: la stessa proteina viene esposta sulla membrana delle cellule, alla quale rimane ancorata grazie a una sua porzione chiamata «ancora trans membrana».

A quel punto, speciali cellule immunitarie la riconoscono come proteina estranea. L’informazione viene trasmessa ad altre cellule immunitarie specializzate che a loro volta istruiscono i linfociti B, così che producano anticorpi anti spike, e i linfociti T, che si attivano per uccidere e fagocitare le cellule che la espongono.

Nel sito di inoculazione del vaccino si genera una piccola infiammazione, che è quella che fa sentire dolore al braccio. In questo modo, viene attivata la nostra risposta immunitaria contro la proteina spike: se il vero SARS-CoV-2 penetra nel nostro organismo si trova di fronte i nostri linfociti già pronti per attaccarlo e sconfiggerlo.

Il Dna è salvo

La domanda è: ma il Dna dell’adenovirus può modificare il nostro? La risposta è no. Gli scienziati non hanno scelto gli adenovirus a caso: essi vengono catalogati come virus non integranti, cioè non possiedono l’apparato molecolare necessario per integrare il loro Dna nel nostro genoma, cosa può avvenire invece con i virus definiti integranti, come i lentivirus, o l’Hiv, che possiedono uno speciale enzima chiamato “integrasi” che gli permette di inserire il loro genoma nel nostro, modificandolo. Poche ore dopo l’inoculazione, il Dna dell’adenovirus viene digerito e disintegrato, e scompare per sempre dal nostro corpo.

Pfizer e Moderna

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Restano i vaccini a Rna. Quando vengono somministrati le goccioline lipidiche, ciascuna delle quali contiene migliaia di copie di Rna messaggero che codificano la proteina spike del coronavirus, si fondono con la membrana delle cellule muscolari e connettivali vicine al sito di inoculazione e trasferiscono l’Rna all’interno di esse.

A questo punto, quell’Rna messaggero si trova nel citoplasma, i nostri ribosomi la traducono nella proteina spike del coronavirus. Quest’ultima viene esposta sulla membrana delle nostre cellule, alla quale rimane ancorata grazie alla trans-membrana, e qui, come per il vaccino precedente stimolano la nostra risposta immunitaria contro il virus,.

In questo caso la domanda che viene poste è: ma l’Rna iniettato con il vaccino può modificare il nostro genoma? Ovviamente no. Anzi, in questo caso tale eventualità è ancora più remota.

Qualcuno ricorderà di aver studiato al liceo il cosiddetto dogma centrale della biologia: il Dna genera l’Rna che a sua volta genera le proteine. Questo dogma in natura non viene mai violato, fatta eccezione per alcuni organismi speciali chiamati retrovirus. Questi, ai quali appartiene anche l’Hiv, sono virus a Rna che, unici in natura, possiedono uno speciale enzima chiamato “trascrittasi inversa” capace di tradurre inversamente l’Rna in Dna.

Ovviamente, né i vaccini a Rna né le nostre cellule possiedono la trascrittasi inversa, perciò quello contenuto nel vaccino non può essere tradotto in Dna. E né il vaccino né le nostre cellule contengono l’altro enzima integrasi, necessario per integrare il Dna eventualmente ottenuto nel Dna del nostro genoma. Quindi, i vaccini come Pfizer e Moderna non possono alterare il nostro genoma.

Poche ore dopo l’inoculazione l’mRna contenuto nel vaccino viene completamente degradato e digerito da speciali enzimi che si trovano dentro al citoplasma delle nostre cellule, e di esso non rimane traccia. Non c’è quindi nessuna possibilità che i vaccini alterino il nostro genoma e non sono terapie geniche.

Scarse conoscenze

Possono sembrare spiegazioni eccessivamente tecniche ma, in realtà, quelle illustrate, sono nozioni basilari che ogni studente di medicina o di biologia ai primi anni di università dovrebbe sapere.

Sicuramente non sono conoscenze alla portata di tutti, e quindi quando sento una deputata come Sara Cunial, ex M5s, o filosofi come Massimo Cacciari o Giorgio Agamben, ripetere che i vaccini sono terapie geniche cerco di non arrabbiarmi, anche se con quelle frasi dimostrano quanto scarse siano le loro conoscenza specifiche di una scienza che, pur essendo legislatori o intellettuali, evidentemente ignorano.

Quando questa frase però viene pronunciata da qualcuno che si autodefinisce medico o scienziato, ecco che emergono molti dubbi. Perché un medico queste conoscenze elementari non può non averle, e se non le sa è colpevole. È ancora più colpevole se fa finta di non saperle perché in questo caso è in totale malafede.

Ecco perché stupiscono le parole della dottoressa e virologa Maria Rita Gismondo che sostiene che i vaccini sono sperimentali. Così come l’onorevole Leda Volpi, anche lei ex M5s e ora nel gruppo misto, medico e deputato, che durante il convegno del gruppo dubbio e precauzione a Torino ha detto che «i vaccini sono terapie geniche e sperimentali».

Quando allo stesso convegno la dottoressa Antonietta Gatti, nanopatologa, ha detto: «Non sono vaccini, sono terapie geniche che possono interagire col Dna e dare il cancro», sono saltato dalla sedia. Uno studente di medicina al primo anno è molto più preparato.

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