Mentre decine di comuni cercano ogni cavillo possibile per essere considerati inidonei, Trino ha fatto l’esatto contrario. Il sindaco: «Tra Trino e Saluggia deteniamo l’80 per cento della radioattività italiana. Se gli altri continuano a dire sempre di no è più conveniente per tutti avere una destinazione definitiva anziché mantenere uno status quo che ci danneggia, anche per evitare disastri ambientali»
L’Italia ha abbandonato il nucleare quasi quaranta anni fa, ma da allora non ha ancora trovato un sito dove destinare i rifiuti radioattivi, con l’effetto Nimby (“Not in my backyard”) che ha sempre avuto la meglio.
Per questo quando il comune di Trino Vercellese ha ventilato l’ipotesi di candidarsi a ospitarle è venuto automatico indagare i motivi di una posizione così insolita. Mentre decine di comuni cercano ogni cavillo possibile per essere considerati inidonei, Trino ha fatto l’esatto contrario: non è stato inserito nell’elenco ministeriale sulle possibili destinazioni del deposito delle scorie nucleari, ma ha deciso di autocandidarsi e ora attende il parere degli esperti, che dovranno valutare se il territorio del comune è idoneo a ospitare una simile struttura.
La scelta dei siti
Lo scorso 13 dicembre il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha pubblicato sul proprio sito l’elenco delle aree presenti nella proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), volta a individuare le zone dove realizzare in Italia il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e il parco tecnologico, al fine di permettere lo stoccaggio in via definitiva dei rifiuti radioattivi di bassa e media attività.
Tutto questo a venti anni esatti dalle “giornate di Scanzano”, quando nel novembre del 2003 il suolo di Scanzano Jonico, piccolo comune lucano in provincia di Matera, venne designato dal governo Berlusconi II come posto unico nazionale per la raccolta di scorie nucleari di “alta e media durata”.
Ne derivò una protesta popolare che si concluse soltanto con la formazione di un nuovo emendamento da parte del Cdm, il quale cancellò il nome di Scanzano Jonico dal decreto ufficiale delle scorie nucleari e rinviò la decisione a data da destinarsi, lasciando di fatto la questione insoluta fino a oggi, con la nuova Carta nazionale delle aree idonee (Cnai).
La Carta, elaborata dalla Sogin, segue la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), che individuava inizialmente 67 zone adatte a ospitare il deposito di rifiuti radioattivi.
Di queste, la Cnai ha effettuato un’ulteriore scrematura individuandone 51, i cui requisiti sono stati giudicati in linea con i parametri previsti dalla Guida tecnica Isin (Ispettorato nazionale per la Sicurezza nucleare e la radioprotezione), che recepisce le normative internazionali per questo tipo di strutture.
Di queste 51 zone, 15 sono tra Puglia e Basilicata (ma non compare più il comune di Scanzano Jonico, memori di quanto successo nel 2003), 21 in provincia di Viterbo, otto in Sardegna, due in Sicilia e cinque in Piemonte.
Trino, un piccolo comune di meno di settemila abitanti alle porte di Vercelli, e che ospita una delle quattro centrali nucleari una volta attive in questo paese (inaugurata nel 1965 e chiusa nel 1990 in seguito al referendum) non figurava nella lista.
Ma dopo aver avviato un dibattito, coinvolgendo anche la cittadinanza, ha deciso di presentare la propria autocandidatura a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, e chiedere al ministero dell’Ambiente e alla Sogin di avviare una rivalutazione del territorio comunale, allo scopo di verificarne l’eventuale idoneità.
Le ragioni dell’autocandidatura
Il principale sostenitore della candidatura di Trino è il sindaco Daniele Pane, iscritto a Fratelli d’Italia ma eletto alla guida di una lista civica, al suo secondo mandato come primo cittadino.
Secondo Pane, le ragioni dell’autocandidatura di Trino sono evidenti: «Siamo già sede di deposito temporaneo da decenni, avendo una centrale nucleare sul nostro territorio, con una superficie di 110 ettari destinata alle scorie. Tra Trino e Saluggia (altro comune della provincia di Vercelli, che ospita l’impianto Eurex per il riprocessamento dell’uranio, ndr) deteniamo l’80 per cento della radioattività italiana. Se gli altri continuano a dire sempre di no è più conveniente per tutti avere una destinazione definitiva anziché mantenere uno status quo che ci danneggia, anche per evitare disastri ambientali».
Il sindaco spiega poi che l’esclusione di Trino dalla Cnai non è dovuto alle condizioni di sicurezza, ma a questioni meramente amministrative: «I criteri per ottenere l’idoneità sono la condivisione del progetto con il territorio, la sicurezza geomorfologica è gli aspetti amministrativi, come la normativa per il divieto di consumo di suolo. Trino è stata esclusa perché parte del nostro comune è lungo il fiume Po, ma è solo una parte del territorio comunale, che ovviamente non sarebbe interessata a ospitare il deposito».
Pane rimarca anche l’eccezionalismo italiano nei confronti di questo tipo di opere: «All’estero si fa a gare per ospitare questi depositi, ci sono bandi affollatissimi, mentre qui in Italia si pagano 60 milioni di euro ogni anno tra multe e procedure d’infrazione per la mancata messa in sicurezza delle scorie, e un’autocandidatura come la nostra fa scalpore».
Prima di ufficializzare la candidatura, che è divenuta tale giovedì 11 gennaio con l’invio di una Pec al ministero dell’Ambiente e a Sogin, il consiglio comunale di Trino ha convocato un’adunanza pubblica (a cui hanno partecipato sei esperti per illustrare il progetto) volta a coinvolgere la cittadinanza sulla questione, che ha dato parere positivo.
«Io vorrei che si rimettesse in funzione la centrale nucleare, non solo che si faccia il deposito», ha commentato un cittadino interpellato sulla questione. Ma non tutti la pensano come lui, e si sono già formati i comitati ambientalisti per dire no al deposito nucleare, e preannunciano battaglia. Il sindaco però non sembra curarsene troppo: «Sono stato rieletto meno di un anno fa con oltre il 70 per cento dei consensi e gli elettori di Trino conoscevano benissimo la mia posizione». E smentisce categoricamente anche le accuse di ricavare un vantaggio personale dall’eventuale realizzazione: «Il mio mandato scade nel 2028, mentre il deposito non verrebbe realizzato prima del 2030. L’interesse a cui penso è l’impatto economico che una simile struttura avrebbe sul nostro territorio. Oltre ai vari incentivi statali, vale un miliardo di euro e offrirebbe 4 mila posti di lavoro per la realizzazione, a cui andrebbero ad aggiungersi altri 700 posti a struttura costruita per la sua gestione. Io ho tutto l’interesse a restare a Trino, per crescere qui i miei due figli che meritano un futuro migliore».
Cirio non si sbilancia
Pur perorando con convinzione la causa del deposito a Trino, le argomentazioni del sindaco Pane non hanno fatto particolare breccia nella scena politica piemontese. Anche il presidente della regione Alberto Cirio, in teoria politicamente affine al primo cittadino del comune vercellese, si è mostrato piuttosto tiepido sull’ipotesi, affermando che «il Piemonte ha già dato» sui rifiuti radioattivi.
Checchè ne dica il sindaco di Trino, Cirio sa benissimo che si tratta di un tema particolarmente spinoso, per cui tutto ciò che è collegato al nucleare incute sempre un certo grado di timore sulla popolazione; e con le elezioni regionali in programma tra pochi mesi non ha alcuna intenzione né interesse a sbilanciarsi, lasciando la patata bollente in mano ai decisori nazionali, tra i quali figura un altro piemontese di spicco, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che finora sulla questione non si è mai espresso.
L’eterogenesi degli ambientalisti
Sulla questione del deposito è intervenuta anche Legambiente, che però non ha espresso una posizione univoca nelle sue varie diramazioni locali: se infatti Legambiente Vercelli si oppone fermamente all’ipotesi Trino, evidenziando le ben note problematiche ambientali, le stesse non le ravvede il presidente di Legambiente Lazio Roberto Scacchi, che di fronte all’ipotesi tutt’altro che remota che il deposito venga realizzato in provincia di Viterbo commenta così: «Anche se questo fosse nel Lazio, individuare il sito più idoneo per realizzare il deposito vorrebbe dire chiudere definitivamente la triste storia del nucleare italiano, mettendo in sicurezza le scorie depositate provvisoriamente».
Un ragionamento non molto diverso da quello del sindaco di Trino, che ha trovato così un insolito alleato. Ora la palla passa agli esperti, che diranno se effettivamente il territorio di Trino è idoneo oppure no.
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