Il derby di Milano fa 180. La prima sfida risale al 1909, il 10 gennaio. La storia del calcio italiano, in pratica. Ma questa sfida tra Inter e Milan sarà una stracittadina diversa dalle altre. Non solo perché appena cinque mesi fa i neroazzurri hanno vinto lo scudetto con annessa seconda stella nel derby di ritorno. E neppure perché il Milan non vince da due anni, con le sconfitte in Champions League che hanno aperto la porta della finale alla squadra allenata da Simone Inzaghi. Sarà un derby particolare perché gli occhi oltreché sui campioni milionari in campo sono puntati sulle curve, la Nord e la Sud.

Il clima è rovente nonostante l’assenza di dissidi tra i gruppi opposti: tra le due tifoserie c’è un patto di non belligeranza stretto nel 1981 dopo che negli scontri è morto un tifoso nerazzurro, Vittore Palmieri. La regola è niente violenze e niente cori troppo offensivi.

La saldatura impercettibile tra capi ultrà dell’Inter e del Milan

L’attenzione è riservata, piuttosto, a quel legame non visibile a occhio nudo che unisce i capi ultrà di alcuni dei gruppi più in vista del secondo anello blu e di quello verde, rispettivamente occupato dalle tifoserie più estreme di Milan e Inter. Una saldatura impercettibile fino a qualche tempo fa. Affiorato in superficie nel corso dei mesi per via di fatti che hanno conquistato la cronaca nazionale e le prime pagine dei principali quotidiani del paese. Messi assieme questi frammenti compongono un’unica storia di violenza, affari e malavita.

La prima sequenza è di aprile 2024. Le telecamere riprendono in presa diretta una spedizione punitiva contro il personal trainer Cristian Iovino: aggredito dopo una serata in discoteca da un commando di almeno otto ultrà rossoneri accompagnati dal celebre Fedez. Insieme al cantante, nel locale, c’era il suo bodyguard, intimo dei capi ultrà milanisti.

L’erede della famiglia ‘ndranghetista Bellocco ucciso da un capo ultrà dell’Inter

La seconda sequenza è ancora più brutale. Dal centro delle discoteche dei vip di Milano l’obiettivo punta verso l’hinterland desolato. Cernusco sul Naviglio, 4 settembre 2024: l’esecuzione di Antonio Bellocco è avvenuto alle 11 di mattina. Un rampollo della potente mafia calabrese, la ’ndrangheta, fatto fuori a coltellate dentro una Smart è un fatto senza precedenti.

Anche perché l’assassino non è un affiliato di famiglie antagoniste, ma uno dei vecchi capi ultrà dell’Inter che con Bellocco era di casa in Curva Nord. Ma andiamo con ordine, lasciando lì in sospeso queste due sequenze solo apparentemente slegate tra loro: ambedue raccontano di un mondo di sotto, fatto di cori e vita violenta, in simbiosi con il mondo di sopra delle celebrità, della politica e del business, che come sempre in queste storie viene prima di tutto il resto. Il collante, infatti, sono i tanti affari che ruotano dentro e fuori lo stadio di San Siro, secondo gli inquirenti gestiti a metà dai leader della Curva Nord e della Sud.

Ripartiamo, dunque, da Cernusco sul Naviglio. Qui il capo ultrà nerazzurro, Andrea Beretta, ha ucciso a coltellate Antonio Bellocco, erede di una potente famiglia di ‘ndrangheta di Rosarno, provincia di Reggio Calabria. Il giorno prima erano tutti a giocare a calcetto contro i “cugini rossoneri”, con cui il rampollo calabrese, legatissimo ai vertici della Nord, aveva solidi rapporti.

Secondo quanto riferito da Beretta ai pm Paolo Storari e Sara Ombra, tutto sarebbe partito da un piano del clan Bellocco di ucciderlo. Ma è difficile credere, è la tesi di chi indaga, che alla base del delitto ci possano essere solo i ricavi del negozio di abbigliamento da stadio che il capo ultrà interista gestiva.

Un po’ poco, in effetti, per uccidere un uomo di ‘ndrangheta con tutte ciò che ne consegue. Quale sarà la reazione della cosca è ancora presto per dirlo. Di certo la procura sta scandagliando tutti gli affari che ruotano attorno alla curva, dai biglietti al merchandising, dai paninari ai parcheggi fino allo spaccio.

L’omicidio dello storico leader nerazzurro Vittorio Boiocchi

Anche perché l’agguato a Bellocco non è il primo assassinio maturato all’ombra della Nord: nell’ottobre 2022 è stato ucciso lo storico leader Vittorio Boiocchi, tornato a guidare gli ultrà nerazzurri dopo 26 anni di carcere. Ed è questo un primo spartiacque nella storia recente del tifo estremo neroazzurro.

Morto Boiocchi, ha assunto il ruolo di portavoce della Curva Marco Ferdico. Ed è lui che ha introdotto l’amico del clan nell’ambiente neroazzurro, dove l’estrema destra neofascista è la componente politica predominante. Bellocco si era trasferito nel milanese a inizio 2023, dopo aver scontato nove anni per associazione mafiosa.

Al fianco di Boiocchi in quegli anni c’era già Beretta, che ha alle spalle diversi Daspo (divieti di avvicinarsi allo stadio) e che può vantare amicizie con i Manno, famiglia di ‘ndrangheta attiva a Pioltello. È almeno dal 2018, dalla morte di Dede Belardinelli durante scontri con i napoletani, che la Nord cambia ciclicamente direttivo ma le facce sono sempre le stesse.

Renato Bosetti, vicino a Casapound. I detective: «È un cavallo di Troia»

«Ripartire insieme, per il bene dell’Inter e della sua gente», è la nota con cui la Nord ha annunciato il cambio di direttivo dopo il delitto Bellocco, la guida è passata in mano a Renato Bosetti, già braccio destro di Boiocchi e candidato con Casapound alle regionali del 2018. Lui è l’uomo perfetto per gestire il «bagarinaggio», è scritto nell’informativa letta da Domani.

Per gli investigatori della Digos è il «perfetto cavallo di Troia» per parlare con la società nerazzurra perché presidente di un Inter club ufficiale. Lui stesso, in alcune intercettazioni, se ne vanta con Beretta: «Nessuno mi può dire niente». E infatti non sono mancati contatti con i vertici del club, anche relazioni «con toni confidenziali» con il vicepresidente Javier Zanetti. Gli affari prima di tutto. «Se lo faccio ci deve essere un rientro economico», dice Beretta a Bosetti in una conversazione intercettata di qualche tempo fa.


Nel nuovo direttivo c’è ancora Nino Ciccarelli, volto storico del panorama ultrà con diversi reati alle spalle. Attivissimo sui social, è lui che annuncia le riunioni settimanali al “Baretto” sotto la Nord. Gli sono stati dedicati due libri, uno dei quali pubblicato da Altaforte, casa editrice di Casapound di proprietà di Francesco Polacchi, che ha anche il marchio Pivert che gestisce le magliette che Ciccarelli vende sul proprio sito.

C’è il potere sugli spalti e ci sono i soldi. Fino a «80mila euro a partita», come ha svelato un’intercettazione Boiocchi. Dalle carte degli inquirenti emerge anche come l’associazione “We Are Milano”, costituita nel 2020, oltre che come mezzo per parlare con la società, è considerata «solo un’operazione di facciata utile a nascondere i reali scopi di lucro derivanti dal merchandising e da altre attività». Le intercettazioni esplicitano che, per darle più credibilità, c’è stata l’intenzione di inserire politici, poi non coinvolti, come Silvia Sardone della Lega e l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, «da sempre vicino agli ambienti ultrà milanesi», si legge nell’informativa.

Gli analoghi destini degli ultrà rossoneri

Cambiano gli slogan ma i precedenti giudiziari sono analoghi e i destini si intrecciano. Sugli spalti opposti a quelli degli ultrà interisti, fino a poco tempo fa spadroneggiava Luca Lucci, nato a Milano, classe 1981: un curriculum costellato di Daspo, da una misura di sorveglianza speciale e da una serie di condanne per droga.

Quest’anno l’ex capo storico della curva sud del Milan guarderà il derby dal divano di casa, ai domiciliari deve scontare sei anni per traffico di droga. Nessun secondo anello blu, dunque, per Lucci.

Creò molto imbarazzo al governo (anno 2018) la foto del “narcos-ultrà”, appena uscito di prigione, con l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Entrambi alla festa per i 50 anni della curva rossonera. Una stretta di mano, e poi la dichiarazione del leader della Lega al quale da capo del Viminale spettava la gestione dell’ordine pubblico negli stadi: «Qui ci sono tante persone pacifiche e perbene», disse. I magistrati la pensavano in altro modo: «Sin dal 2006 il tribunale riteneva che Lucci fosse implicato nel traffico droga gestito dalla criminalità organizzata e che partecipasse ad episodi violenti legati agli ultrà». Lucci, inoltre, ha «frequentazioni con soggetti» dei clan anche calabresi.

A questo si aggiunge una lunga scia di episodi violenti. Come quando tirò un pugno per «la contesa di una maglietta lanciata da un calciatore del Milan». Oggi a capo della curva c’è il fratello di Luca Lucci, Francesco. Tra i fedelissimi gli ultrà finiti in manette per un’aggressione dopo la partita con il Cagliari. Tra di loro anche un amico della guardia del corpo di Fedez. I tre hanno patteggiato. Intanto prosegue l’inchiesta sull’omicidio Bellocco, il rampollo della ‘ndrangheta accolto in Curva Nord come un principe di Milano. Storie parallele, che forse troveranno un punto di intersezione. Perché qui il calcio non c’entra più nulla. Sotto le luci di San Siro contano solo gli affari.

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