Il mito dell’underdog, della donna senza possibilità in un mondo chiuso ed elitario, ha bisogno di un baratro narrativo. Così è d’obbligo tornare nella casa di infanzia, data alle fiamme per errore da Giorgia e Arianna mentre giocavano con una candela. Questa è solo una parte della storia della famiglia di Meloni, ricostruita nei dettagli da Domani
Nel motto dei nuovi patrioti al potere, Dio, patria e famiglia, quest’ultima è tradizionale per definizione. Eppure la genealogia di Giorgia Meloni è l’esempio più distante dal modello propagandato dalla destra al governo.
È una storia più simile alla trama di un film, magari La famiglia, capolavoro di Ettore Scola: con le sue sovrapposizioni, gli errori umani, le fragilità, in un’epoca, gli anni Ottanta, in cui l’Italia affrontava cambiamenti radicali. Del resto le origini paterne della premier affondano nel fantastico mondo del cinema d’autore, con lo sceneggiatore Agenore Incrocci, scrittore di copioni per lo stesso Scola e per Mario Monicelli, fratello di Zoe, ossia la mamma di Francesco Meloni, padre di Giorgia.
Il capitolo Incrocci, dunque, il primo e più affascinante del romanzo neorealista della vita della presidente del Consiglio, omesso del tutto dalla sua autobiografia di successo Io sono Giorgia. Perché Incrocci è il cognome che forse ha fatto soffrire di più la premier nella sua infanzia e adolescenza. Freudianamente andava rimosso.
Papà Franco
Agenore Incrocci era il fratello di Zoe. Attrice di successo, ha recitato con Scola e ha vinto un David di Donatello nel 1991 per l’interpretazione del film Verso sera di Francesca Archibugi. Zoe aveva sposato Nino Meloni, altro gigante del mondo dello spettacolo romano. Dall’amore tra i due è nato Francesco, “Franco”, il papà di Giorgia e Arianna, avute con Anna Paratore alla fine degli anni Settanta.
Ancora prima, Franco aveva messo al mondo Barbara e Simona con un’altra donna, Maria Grazia Marchello, perciò sorelle consanguinee di Giorgia e Arianna, o “sorellastre”, come la presidente ha scritto in una lettera di risposta a Domani, rivelatrice di molti aspetti intimi mai raccontati. Di questa famiglia allargata (ribadiamo: svelata dalla premier nella lettera) non c’è traccia nel libro elogiativo Io sono Giorgia, nella parte dedicata al trauma dell’abbandono del padre e alle difficoltà economiche della madre Anna, descritta come una forza della natura capace di crescere due figlie da sola, senza mezzi e con poche risorse economiche.
La prima caduta da cui le figlie e la madre hanno tratto la forza per rialzarsi è quest’abbandono, sommato all’incendio che, secondo il racconto ufficiale della premier, avrebbe distrutto l’intera casa nell’elegante quartiere della Camilluccia a Roma. Il fuoco che divora ogni cosa, peluche e ricordi, la fuga verso un quartiere popolare e comunista (Garbatella), diventano metafora del successo futuro quando a 35 anni Meloni ha deciso di fondare una «nuova casa politica», Fratelli d’Italia. Peccato solo che in questa epica rinascita, in questo «costruir su macerie» (per dirla con i versi di Francesco Guccini), è assente una parte consistente della realtà. Per esempio la capacità di Paratore di gestire affari e operazioni immobiliari.
Mamma Anna
Partiamo dalla casa bruciata: venduta dopo la “distruzione” per quattro volte il valore di acquisto, così devastata non era, come hanno raccontato a Domani i nuovi proprietari che hanno versato nel 1983 a mamma Meloni la bellezza di 160 milioni di lire, nonostante un’ipoteca da 27 milioni estinta solo dopo il rogito. Poi ci sono gli intrecci azionari di Paratore, le aziende, i rapporti con gli immobiliaristi: non proprio faccende di chi è sul lastrico. Ma soprattutto sono i cocci sparsi di un romanzo familiare che messi in fila contraddicono la versione della premier e della madre sui rapporti con il padre “rinnegato”. Il frammento che più si nota: uno dei soci storici di Paratore si chiama Raffaele Matano, geometra attivo fin troppo nel settore immobiliare.
Negli stessi anni in cui condivideva con Paratore progetti societari, Matano deteneva a sua volta quote di un piccola impresa spagnola amministrata nel 2004 da Francesco Meloni, il papà Franco con il quale la figlia Giorgia ha sempre detto di aver tagliato ogni rapporto nel lontano 1988. Omettendo, anche in questo caso, un fatto: papà Franco era stato condannato nel 1996 per narcotraffico in Spagna. Scontata la pena, una seconda opportunità gli è stata offerta da Matano, che non era solo socio della mamma della premier, ma con lei aveva avuto una relazione sentimentale dopo la fine della storia con Franco.
“La sorellastra”
In questa filiera familiare va detto dell’ulteriore groviglio umano, sentimentale, politico, un vero colpo di scena: Matano a un certo punto della storia è diventato il compagno di Barbara Meloni. La figlia di Franco, dunque “sorellastra” della presidente del Consiglio. Sia Matano sia Barbara risultano tra i collaboratori dello studio dell’avvocato Romolo Reboa, candidato alle ultime regionali nella lista per Francesco Rocca presidente, eletto con Fratelli d’Italia presidente della regione Lazio. E ancora: il geometra Matano e Barbara li ritroviamo azionisti della società spagnola con il papà Meloni amministratore unico. Azionista in questa ditta di Madrid era pure Simona Meloni, l’altra sorellastra rimasta a vivere in Spagna.
Non è chiaro perché Giorgia abbia interrotto i rapporti con Barbare e Simona. Di certo ha continuato a frequentarle anche dopo la rottura con papà Franco. La presidente del Consiglio ha spiegato così a Domani la fine dei rapporti con le sorelle da parte di padre: «Quando la relazione di mia mamma con il sig. Matano era già terminata, i nostri rapporti con le nostre sorellastre si sono interrotti e non ho con loro alcun contatto da allora. Con loro ho sempre avuto pochissimi rapporti, con eccezione del periodo che vi ho indicato, e quei rapporti sono interrotti completamente da circa vent’anni, per ragioni personali che non ritengo di dover condividere».
Se alla prevedibile trama di Io sono Giorgia avesse aggiunto il capitolo sull’album completo di famiglia, certo poco tradizionale, avrebbe innalzato l’autobiografia a opera di realismo magico, dal sapore di Cent’anni di solitudine, il capolavoro del premio Nobel Gabriel García Márquez.
Un film
Il mito dell’underdog, della donna senza possibilità in un mondo chiuso ed elitario, ha bisogno di un baratro narrativo. Così è d’obbligo tornare nella casa di infanzia, data alle fiamme per errore da Giorgia e Arianna mentre giocavano con una candela. Questa è solo una parte della storia, ricostruita nei dettagli da Domani. L’abitazione ha subito pochi danni, hanno detto i testimoni contattati. La paura, questa sì, è stata tanta. Da adulti i ricordi dell’infanzia sono sfocati, a volte ingigantiti, è normalissimo, umano. I ricordi di quell’età (era il 1982, Giorgia aveva 5 anni, Arianna 7) si depositano nella memoria sulla base anche dei racconti dei genitori, in questo caso della madre Anna.
C’è però un aspetto che è utile raccontare e che ci riporta a quel mondo del cinema di successo cancellato senza possibilità di appello dall’autobiografia della premier. La casa nel 1983, poco dopo l’incendio, è stata venduta a Nadia Vitali, famosa costumista che aveva lavorato nell’ambiente degli Incrocci, in particolare con Agenore, zio del papà di Giorgia Meloni. Vitali è sposata con Pier Ludovico Pavoni, altro mostro sacro del settore, direttore della fotografia di successo. Loro comprano l’appartamento di 120 metri quadri a 160 milioni di lire.
«Non era distrutto», hanno detto a Domani, «c’era una finestra rovinata, le fiamme erano circoscritte alla stanza». In più comprano con l’ipoteca che gravava su Paratore. Di certo si fidavano ciecamente, chi comprerebbe un immobile con una condizione così sfavorevole, seppure Paratore estinguerà quel debito dopo aver incassato il denaro della vendita. Né Vitali né Pavoni però ammettono di conoscere gli Incrocci. Almeno questo dicono al telefono mentre si stavano preparando per partire da Miami direzione Italia.
Il portiere
Chi ricorda bene l’incendio è il portiere dello stabile. Fu lui a portare fuori da quelle mura le due piccole sorelle Meloni. C’era molto fumo, sostiene. Le ha salvate. Di una cosa è certo questo signore sull’ottantina: sebbene il fumo si fosse diffuso in tutta l’abitazione, le fiamme non avvolsero l’intero appartamento, si svilupparono solo nella stanza delle piccole Meloni. Una giornalista dell’epoca avrebbe voluto scrivere un articolo su di lui, «l’eroe della Camilluccia». L’uomo non acconsentì. Certo, confida oggi, si sarebbe aspettato maggiore riconoscenza per quel gesto. Dopo Paratore ha venduto e portato via le bimbe, nessuno di loro è più andato a trovarlo. Un altro personaggio da Cent’anni di solitudine cancellato dalla biografia di Io sono Giorgia.
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