L’astensionismo è una malattia del sistema democratico. La politica però non vuole curarla. Ventenni e trentenni credono nell’importanza del voto ma si sentono esclusi
«Il voto è un dovere civico ma prima di tutto un diritto, servono le condizioni per poterlo esercitare». La testimonianza di Sofia, 22 anni, fa parte dei 37.048 voti raccolti da 20e30, associazione per la partecipazione civica dei giovani, e Factanza Media. Il progetto “Vota per il partito del non-voto” vuole mandare un messaggio alla politica, alle porte di un’elezione in cui si stima l’astensionismo oltre il 50 per cento. «Abbiamo voluto dare un nome e un volto agli astensionisti», spiega Mattia Angeleri, avvocato e segretario di 20e30, «e provare a riattivare le persone che non votano. Oggi c’è uno scollamento significativo tra giovani e istituzioni, dato dall’assenza di credibilità della classe politica». Molti pensano che il loro voto non conti nulla.
Sulle oltre 37mila persone, il 58 per cento ha dai 18 ai 25 anni, il 34 tra i 25 e i 35 anni. In base ai dati del progetto, l’astensionismo giovanile è più alto al sud, dove ha votato il 42 per cento. «È come quando ci si abitua a una malattia: l’astensionismo è una malattia presente, la più grave, di un sistema democratico. Ci stiamo abituando e manca, da parte della politica, la volontà di curarla», dice Angeleri. Per il segretario di 20e30 il problema non può essere risolto un mese prima delle elezioni, ma «occorre studiarlo anni prima dell’appuntamento elettorale».
Le testimonianze
Molti dei giovani che hanno inviato la propria testimonianza a 20e30 sono consapevoli dell’importanza del voto, spesso votano ma senza esserne convinti. «Nella mia vita ho avuto tre volte il diritto di voto, e per tre volte ho pensato seriamente di non esercitarlo», scrive Adriano, 22 anni, «perché dovrei, quando nessun partito esprime anche solo una singola istanza vicina alla mia realtà?». Per la politica i giovani non sono attori del presente, spiega Alessandro, 22 anni: «Non votiamo perché in questo paese si pensa che siamo sempre il futuro, che le nostre idee non contano abbastanza per essere prese in considerazione». I giovani, continua, non sono mai considerati «come motore di rinascita e sviluppo».
L’astensionismo non è sinonimo di disinteresse, precisa poi una ragazza di 23 anni, Gaia Lucrezia, significa essere «disorientati». «Io in primis, travolta da una moltitudine di slogan vuoti e proposte poco chiare», racconta, «non mi sento rappresentata». Una ragazza di 19 anni, Giulia, spiega che voterà ma parte di lei preferirebbe non farlo, perché la politica di oggi è molto lontana dalle istanze dei giovani, «e questo causa disinteresse». Bisogna inoltre considerare che l’età media dei candidati a questa tornata elettorale è di oltre 50 anni. L’astensionismo non può essere un tema da campagna elettorale, scrive invece Claudio, un ragazzo di 27 anni, ma è un fenomeno sociale complesso. «Non è un caso», spiega, che, «con il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica e con la crisi dei partiti, l’affluenza sia costantemente calata nel tempo».
Breve storia dell’affluenza
Nel 1994, momento di passaggio alla seconda Repubblica, ha votato l’86,31 per cento degli aventi diritto alle politiche, e il 73,6 alle europee. Da allora c’è stato un calo importante dell’affluenza, fino ad arrivare al 63,9 per cento alle politiche del 2022 – il dato più basso della storia repubblicana – e al 54,5 per cento alle europee del 2019. L’astensionismo giovanile non è quindi un’anomalia nel panorama generale. Anzi.
Come è emerso nell’elaborazione di Dataroom, del Corriere della Sera, nelle elezioni politiche dal 1994 al 2018 la fascia di età che si è recata meno alle urne è quella degli over 55. Nel 1994 il 20 per cento delle persone con più di 55 anni non è andato a votare, mentre nel 2018 la percentuale era del 25. Mentre, se si considerano i giovani tra i 18 e i 34 anni, l’astensionismo è cresciuto molto: dal 14 per cento nel 1994, al 38 nel 2018. Il dato ancor più interessante però, evidenziato da Dataroom, riguarda la differenza tra generazioni: i Millennials (quelli nati dall’1982 al 1996) hanno esordito al voto con un’astensione del 23 per cento; mentre per la generazione precedente, dal 1965 al 1979, gli Xers, la percentuale era del 14.
I fuori sede
Va detto però che esiste una quota di elettori la cui astensione è involontaria: i fuori sede. «Le modalità di voto dovrebbero essere semplificate, renderebbe ovviamente più facile esercitare il diritto», sottolinea Angeleri. In Italia, 4,9 milioni di “aventi diritto” lavorano o studiano lontano dalla propria residenza e, si legge nel rapporto “Per la partecipazione dei cittadini” del 2022, sono «potenzialmente ascrivibili all’universo degli astensionisti involontari».
Inoltre, tra i quasi 5 milioni di fuori sede, oltre 4,2 milioni sono lavoratori e oltre 591mila sono studenti. La recente introduzione della possibilità di votare per gli studenti fuori sede è quindi un primo passo ma una minima parte. Esclude infatti i lavoratori e chi vive all’estero in paesi non appartenenti all’Unione europea. L’Italia è tra i pochi paesi europei a non garantire alternative al voto fisico nel luogo di residenza, insieme a Malta, Cipro e Portogallo.
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