A ogni tornata elettorale la domanda “Perché i giovani non votano?” ritorna. Ma per capire le ragioni del loro astensionismo, non basta tacciare i giovani di disinteresse verso la politica e il bene comune. Occorre invece addentrarsi nei loro percorsi, capire cosa viene offerto dalle istituzioni, cosa propongono i partiti e come le istanze di questa fascia di elettorato vengono recepite e ascoltare. La risposta più semplice e immediata, guardando i dati, è: poco.

Il voto dei giovani, in un paese sempre più vecchio come il nostro, non è quasi mai decisivo. Sono una parte del grande bacino degli “aventi diritto”, ma una netta minoranza. I cittadini europei chiamati alle urne tra il 6 e il 9 giugno sono 358 milioni. Con l’obiettivo di avvicinare ragazze e ragazzi alle istituzioni europee, cinque paesi hanno diminuito l’età per poter esercitare il diritto (18 anni): la Grecia a 17 anni, mentre Austria, Belgio e Germania a 16. In totale sono oltre 23 milioni coloro che voteranno alle europee per la prima volta: 2,7 milioni in Italia (su un totale di poco più di 47 milioni di elettori), il terzo valore più alto, dopo Germania (5,1) e Francia (4).

Chi sono i giovani?

La prima questione da dirimere è la definizione di “giovani”, che non è univoca in tutti i paesi dell’Unione europea. In Italia, l’Istituto nazionale di statistica (Istat) considera giovani le persone dai 15 ai 34 anni. Non accade lo stesso in Germania e Francia, dove i centri di ricerca nazionali considerano l’età compresa tra i 18 e i 29 anni. Mentre, in alcuni studi, l’istituto tedesco analizza la fascia tra i 15 e i 24 anni.

In un paese come il nostro, in cui l’età media è la più alta d’Europa – 47 anni, in base ai dati Eurostat del 2020 – le persone tra i 18 e i 34 anni sono 10,3 milioni, il 17,51 per cento della popolazione (Istat 2023), circa 3 milioni in meno rispetto al 2002.

Il numero di laureati in Italia è molto più basso rispetto alla media europea: nel 2022, solo il 29,2 per cento dei giovani tra i 25 e i 34 anni aveva un’istruzione universitaria, contro il 42 per cento nell’Unione. E il 42,3 per cento, tra i 18 e i 29 anni, ha un’occupazione.

A questi dati, si aggiunge la cifra preoccupante di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, né sono impegnati in un tirocinio: in Italia sono 3 milioni. In base ai dati di Eurostat, alcune regioni italiane spiccano nella classifica dei peggiori. Nel 2021, in Sicilia il 30,2 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni non studiava né lavorava. A seguire Campania (27,7) e Calabria (27,2). Al pari, solo una regione della Bulgaria, con il 27,3. Nei Paesi Bassi e in Svezia, i Neet sono invece il 5,1 per cento.

Perennemente giovani

Numeri difficili da rendere organici, ma che evidenziano alcune tendenze. I giovani italiani – che per numero costituiscono una fetta importante della popolazione giovanile europea, essendo l’Italia il terzo paese più popoloso – sono più esposti al tempo vuoto e hanno un livello di istruzione più basso. Complice, tra altri elementi, la spesa pubblica per l’istruzione, che nel nostro paese ammonta al 4,1 per cento del Pil, mentre in stati come Svezia, Francia e Germania, varia tra il 7,06 e il 4,7.

A questo si somma una transizione più lenta verso l’età adulta, per motivi principalmente socioeconomici. Mentre per la Germania la gioventù finisce tra i 25 e i 29 anni, in Italia dopo i trent’anni donne e uomini non hanno ancora raggiunto una stabilità, né lavorativa né personale, e per questo l’età adulta tarda ad arrivare.

L’Istat, nel rapporto Bes 2023, evidenziava come per i giovani fino ai 34 anni l’ingresso nel mondo del lavoro è più incerto e precario, con lunghi tempi di stabilizzazione del percorso professionale, orari ridotti, meno posizioni qualificate e redditi penalizzati. I salari italiani sono tra i più bassi d’Europa. Insomma, il passaggio alla vita adulta, sottolinea l’Istat, è «un processo più lungo e difficile», dove precarietà e carico di lavoro possono «incidere sul livello di partecipazione sociale, politica e culturale».

Parte della collettività

Non possiamo non prendere in considerazione tutti questi elementi per capire il minore coinvolgimento nella vita politica del paese.

Nel 2022, secondo l’Istat, tra i giovani di 18 e 19 anni lo 0 per cento ha prestato attività gratuita per un partito politico. E il tasso di partecipazione a un comizio non supera i tre punti percentuali. Ma le attività di partecipazione alla comunità democratica di ragazzi e ragazze, su cui ha avuto effetto anche la pandemia, hanno cambiato forma, e il volontariato nel 2022 è tornato a crescere tra i giovanissimi.

«Quello delle nuove generazioni è in tanti casi un contributo pratico e fattivo alla vita della propria comunità», evidenzia uno studio di Openpolis del 2023. Gli indicatori sono cambiati, e «gli under 25 sono la fascia di popolazione più coinvolta nell’associazionismo», legato a temi come l’ambiente, i diritti civili e la pace.

«I giovani tra i 18 e i 19 anni sono la classe anagrafica più attiva nell’associazionismo per i diritti e la cura dell’ambiente», scrive Openpolis. È il 2,9 per cento, mentre nessuna fascia di età oltre i 25 anni supera il 2 per cento. Anche un recente report di Save the Children mostra come un giovane su due (tra i 14 e i 19 anni) abbia svolto attività di partecipazione civica e politica. Mentre tra i 20 e i 24 anni «i valori salgono al 63,3 per cento».

C’è quindi un allontanamento dalla forme tradizionali di politica, ma questi dati mostrano tutt’altro che disinteresse nella collettività. Se la sfiducia nei partiti è molto alta, per tutte le fasce di età, sono altre le organizzazioni che nei fatti avvicinano i giovani alla politica.

Voto europeo

I partiti politici sembrano quindi non ascoltare i giovani, e questi ultimi sembrano avere sempre meno fiducia nelle istituzioni. Il dato emerge anche da un’indagine del Consiglio nazionale giovani e dell’Istituto Piepoli. Per gli under 35 i temi affrontati dai partiti nella campagna elettorale non rispecchiano le proprie preoccupazioni e priorità, e solo l’8 per cento dei giovani si dice soddisfatto del dibattito politico sulle europee. L’83 per cento degli under 35 – si legge in uno studio condotto da Scomodo e Campo ricerca – pensa che i leader italiani non rappresentino i giovani all’interno dell’Ue.

Di conseguenza, alle elezioni politiche del 2022 l’astensionismo giovanile è stato alto (42,7 per cento). Così, per le prossime europee solo il 47 per cento si è detto propenso a votare. Ma è una percentuale, sottolinea il Cng, che supera la prospettiva di voto degli over 54 e che conferma una tendenza del 2019, quando l’aumento dell’affluenza alle urne è stato determinato dalla partecipazione delle giovani generazioni in tutta l’Unione europea.

I giovani continuano ad avere forti aspettative nei confronti dell’Unione e chiedono che la politica si occupi di salute, pace e soprattutto di ambiente, che parli di lavoro e occupazione, di scuola, università e di diritti. In un sondaggio Ipsos del 2021, è emerso che i ragazzi italiani sono molto preoccupati per il cambiamento climatico, più dei coetanei europei, e «sono motivati a far partire il cambiamento».

Ma, dopo la riduzione del numero dei parlamentari e la modifica del corpo elettorale, dalle elezioni del 2022 è derivato un parlamento sempre più vecchio, invertendo la tendenza positiva degli ultimi anni: deputati e senatori hanno in media 51,4 anni, mentre la presenza di donne e giovani è diminuita rispetto alla legislatura precedente. 62 deputati hanno meno di 40 anni.

Il risultato è una politica vecchia, incapace di ascoltare le richieste dei ragazzi e delle ragazze e capace di rispondere alle contestazioni solo con la repressione.

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