- Prima il tesseramento, poi le primarie del Pd, hanno evidenziato ancora una volta irregolarità, dati gonfiati e brogli con il commissariamento di intere province.
- In provincia di Salerno, feudo dell’intramontabile Vincenzo De Luca, sostenitore di Stefano Bonaccini, il numero delle tessere è stato pari a quello di una regione del nord Italia.
- Alla fine ha vinto Elly Schlein, ma che fine faranno i cacicchi, i politici democratici coinvolti in questo ennesimo scandalo? La nuova segretaria, oltre le parole e gli slogan, sarà in grado di metterli alla porta?
Prima il tesseramento, poi le primarie del Pd hanno evidenziato, ancora una volta, irregolarità, dati gonfiati e brogli.
In provincia di Salerno, feudo dell’intramontabile Vincenzo De Luca, sostenitore di Stefano Bonaccini, il numero delle tessere è stato pari a quello di una regione del nord Italia.
L’obiettivo era chiaro: gonfiare i tesserati per orientare l’esito delle primarie e consegnare percentuali bulgare al vincitore per avere più peso e condizionare le politiche.
Alla fine ha vinto Elly Schlein, ma che fine faranno i "cacicchi” (come li ha chiamati lei citando Massimo D’Alema), i politici democratici coinvolti in questo ennesimo scandalo? La nuova segretaria, oltre le parole e gli slogan, sarà in grado di metterli alla porta?
Le fritture di pesce
Non bisogna dimenticare chi da sempre ha teorizzato la clientela come paradigma politico. «Prendiamo Franco Alfieri, notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini, 4mila persone su 8mila. Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare il Sì. Franco, vedi tu come Madonna devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso», diceva Vincenzo De Luca prima del referendum costituzionale del 2016.
Il figlio, Piero De Luca, siede nella nuova direzione, in quota minoranza, ed è ancora impegnato in un processo infinito che lo vede imputato per bancarotta fraudolenta.
Torniamo alle primarie e partiamo dai consiglieri regionali Gennaro Oliviero e Mario Casillo, vicini al presidente De Luca.
Oliviero, presidente del consiglio regionale, si è difeso per le anomalie nel tesseramento di Caserta, ma anche del suo feudo elettorale, Sessa Aurunca, garantendo che «questa vicenda andrà a finire come tutte le altre, quindi spero bene», diceva lo scorso febbraio.
Invece, è finita malissimo. In provincia di Caserta sono state cancellate circa 2 mila iscrizioni, risultate irregolari.
Di queste 485 iscrizione fatte con PayPal, carta di credito e prepagate superiori a 3 pagamenti, 1.236 tessere fatte con bonifico da stesso conto, 110 tessere ripetute a stesso soggetto.
È molto probabile che la federazione provinciale di Caserta possa essere commissariata così come l’intero Pd della Campania, già commissariato e dove Francesco Boccia si è dimesso da commissario durante le primarie per protesta contro le irregolarità registrate a Caserta.
«Oliviero? È noto per non aver fatto campagna elettorale alle scorse elezioni politiche, ma mi occuperò di lui in direzione nazionale. Oggi dico che quello che è accaduto a Caserta molto grave», ha detto Boccia nei giorni caldi del tesseramento.
Un fallimento che è stato sancito anche dall’ex procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, prima assessore con De Luca e poi parlamentare europeo del Pd, che aveva lanciato l’allarme: «A Caserta c’è anche il rischio di infiltrazioni camorristiche. Quando parlo di rischio, voglio dire che c’è qualcosa di molto più grave che sta avvenendo a Caserta, senza neanche mettere in mezzo la camorra. E che cioé c’è un partito, quello casertano, che non riesce a certificare la correttezza del tesseramento. Una situazione opaca, preoccupante. Che determina una paralisi».
Gennaro Oliviero mostra tranquillità anche per una questione più personale, l’imputazione per traffico d’influenze in un’inchiesta condotta dalla procura di Napoli Nord sull’azienda sanitaria locale.
Mario Casillo, invece, è l’uomo dei voti, ne ha presi 42 mila nelle ultime regionali. Nei comuni, guidati dai sindaci amici, Bonaccini ha fatto il pieno di preferenze.
Bruna Fiola, consigliera regionale, e Salvatore Lo Sapio, sindaco di Pompei e legatissimo a De Luca, sono risultati attivissimi nei territori di appartenenza in provincia di Napoli come documentato dalle telecamere di Fanpage. Il voto per le primarie, in quelle sezioni, ha visto trionfare Bonaccini.
Quello che è successo nella fase congressuale e durante le primarie serviva a rafforzare la posizione di Vincenzo De Luca per garantirsi il terzo mandato, ora il patto è saltato e si avvicina lo scontro, ma i signori delle tessere sono tutti al loro posto.
È al suo posto Nello Mastursi, abile tessitore di accordi politici, l’uomo ombra, il braccio destro del presidente. Mastursi, nel 2015, è diventato capo della segreteria politica di De Luca ed era anche responsabile organizzativo del Partito democratico campano.
Si è dimesso quando, nel novembre 2015, veniva indagato in una inchiesta della Procura di Napoli, poi trasferita a Roma per competenza.
Nel 2017 Mastursi è stato condannato, in primo grado, ad un anno e sei mesi per induzione indebita e ha fatto appello. La vicenda è quella relativa alle presunte pressioni maturate prima della decisione dei giudici civili in merito alla sospensione, in base alla legge Severino, di De Luca. Il colonnello è irrinunciabile, è sempre al suo posto dopo una breve pausa. I fedelissimi non si toccano.
A Salerno, c’è un altro uomo forte del presidente, si tratta di Franco Picarone, citato nell’inchiesta sul sistema delle cooperative, ma il consigliere non ha avuto alcuna conseguenza penale.
Di lui parla, per averlo appoggiato, Fiorenzo, detto Libero, Zoccola, il ras delle coop, aggiudicatarie di proroghe e commesse in cambio di voti e consensi.
Nel 2001, un’assessora perbene, come Rosa Masullo, dopo aver cacciato un boss da una casa popolare e aver subito intimidazioni, è stata messa da parte per far avanzare Nino Savastano, che ha restituito la casa alla famiglia del camorrista, e poi, dopo la condanna per abuso d’ufficio, ha fatto carriera, da fedelissimo del presidente, fino all’incidente giudiziario e all’indagine che lo ha coinvolto per corruzione.
Il caso Lazio
«Nel Pd a livello nazionale ho visto piccole e mediocri filiere di potere. A livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio», diceva Marianna Madia, nel 2013, intercettata a una serata su un barcone sul Tevere da chi scrive.
Dopo un decennio si parla ancora di questione morale, di scelte radicali, di cambi di passo, di rinnovamento. Due anni dopo quelle parole, nel 2015, il municipio di Ostia, a guida democratica, viene sciolto per infiltrazioni mafiose.
Oggi ci sono gli stessi consiglieri di allora così come sono tornati, usciti indenni dalle inchieste giudiziarie, i politici che tenevano i rapporti con Salvatore Buzzi, ras delle coop condannato per corruzione.
Non è un caso che Schlein abbia stravinto, soprattutto a Roma, dove il sindaco della capitale, Roberto Gualtieri, appoggiava Bonaccini.
Uno degli uomini forti del Pd laziale è sicuramente Albino Ruberti, prima in regione e poi in comune, la sua carriera si è momentaneamente interrotta quando, al seguito di una cena, ha intimato all’interlocutore parole del tipo: «Me te compro!? A me? Si deve inginocchiare e chiedermi scusa, altrimenti dico a tutti quello che mi ha detto. Li ammazzo! Lo ammazzo! Deve venire qui a chiedere in ginocchio scusa, altrimenti io stasera scrivo quello che mi avete chiesto a tavola. Cinque minuti je do. Cinque! Vi sparo! T'ammazzo. Cinque minuti, qui in ginocchio, tutti e due», diceva.
La guerra per le liste, il conflitto tra le correnti per dividersi i posti in regione, era appena all’inizio, alla fine Sara Battisti, compagna di Ruberti, è stata nuovamente candidata ed eletta.
Un partito che in regione è commissariato in molti territori tranne che a Roma, attraversato dalle medesime guerre fratricide.
Sicilia amara
Dalla Sicilia arrivano dieci componenti della nuova direzione, a guida Schlein. Resta sull’isola un formidabile raccoglitore di voti e consensi, Vladimiro Crisafulli, per gli amici Mirello, che ha sostenuto Paola De Micheli, conducendola a quota 23 per cento nelle assemblee dei tesserati nella provincia di Enna.
Crisafulli è ancora lì, destinatario degli strali del regista Pif che, dal palco della Leopolda di Renzi, ricordava il colloquio di Mirello con il boss di Enna, Raffaele Bevilacqua, parlando di affari e appalti.
Incontro risalente al 2001 all’hotel Garden di Enna. Quella Leopolda si è celebrata nel 2013 quando Renzi prospettava un Pd libero e rottamato dai vecchi cacicchi prima di diventare segretario, poi minoranza, di creare una corrente e uscire dal Pd.
Sono passati dieci anni, ma Crisafulli, che ha sempre detto di aver allontanato quel mafioso in quell’incontro, è ancora lì. Frase famosa: «A Enna io vinco con il maggioritario, con il proporzionale e con il sorteggio».
Toscana keu
Anche in Toscana il Pd ha visto il trionfo di Schlein, la vecchia guardia è stata travolta. Recentemente il partito ha dovuto fare i conti con lo scandalo nel settore conciario con imprenditori che utilizzavano un’impresa vicina alla ‘ndrangheta per seppellire scarti tossici sotto strade ed edifici in costruzione.
Imprenditori troppo vicini ad alcuni esponenti del partito con una pericolosa commistione tra interessi privati e pubblici. Nell’inchiesta giudiziaria è stato coinvolto anche un consigliere regionale del Pd, Andrea Pieroni, lettiano doc, che ha sostenuto alle ultime primarie proprio Schlein.
Nell’avviso di conclusione delle indagini il reato contestato è corruzione elettorale, voti in cambio della disponibilità. «Offriva o comunque prometteva utilità a vantaggio di tali elettori, quali vertici del comparto imprenditoriale conciario riconducibile al Consorzio Aquarno, avendo tali elettori accettato le promesse del candidato in dettaglio di seguito specificate», si legge negli atti.
L’aspetto giudiziario conta poco, la politica può arrivare prima delle sentenze valutando i fatti.
Le utilità assicurate al consorzio vengono elencate dagli inquirenti: «Nel fornire nel maggio/ giugno 2020, la disponibilità a presentare nell'esercizio dei suoi poteri di ufficio quale membro del consiglio regionale cli prossima scadenza, un emendamento quale primo firmatario alla legge regionale n. 20/2006 (...) di cui non conosceva e comprendeva neanche il contenuto tecnico, perché redatto e ideato in realtà dal consulente ciel consorzio Aquarno, avvocato Benedetti Alberto, per sottrarre Aquarno clall' obbligo di sottoporsi alla procedura di autorizzazione integrata ambientale», si legge nell’avviso. Pieroni si dice sicuro che dimostrerà la sua estraneità alle accuse e che ha agito nell’interesse del territorio.
In Toscana non si è dimesso nessuno, né il consigliere indagato, Andrea Pieroni, che brigava per l’approvazione di un emendamento caro ai conciatori e neanche l’allora presidente del Consiglio regionale, Eugenio Giani, mai indagato, che è stato accusato dal suo predecessore, sempre Pd, di aver agito in modo surrettizio. Pieroni non è l’unico sostenitore di Schlein.
I fan di Schlein
Nella nuova direzione voluta dalla segretaria del Pd c’è anche Michele Mazzarano, ex assessore regionale in Puglia nella giunta guidata da Michele Emiliano, che ha sostenuto Schlein alle primarie.
La corte d'Appello di Lecce, lo scorso anno, lo ha condannato a 9 mesi di reclusione (pena sospesa), accusato di corruzione elettorale per una vicenda portata alla luce qualche anno fa da Striscia la notizia, insieme con Emilio Pastore, l’uomo che ha denunciato la vicenda alla trasmissione televisiva.
I fatti risalgono alla campagna elettorale del 2015, nella quale Mazzarano aveva promesso all’imprenditore l'assunzione di due figli in una ditta privata in cambio di voti. Alla fine Mazzarano, che ha appoggiato Schlein, ha rinunciato.
Una nuova direzione dove, comunque, al netto di qualche volto nuovo, ci sono «troppe persone che non fanno pensare a una svolta», ha detto Rosy Bindi, già presidente del partito e a capo della commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie. Parole che, guardando ai territori, potrebbero risultare profetiche.
© Riproduzione riservata