Il premier dell’Albania, Edi Rama, ha processato Domani durante la conferenza stampa insieme alla premier Giorgia Meloni, volata a Shengjin per visitare i luoghi dove sorgeranno i centri per migranti voluti dal governo italiano frutto dell’accordo con l’esecutivo di Tirana. 

Ma il primo pensiero di Rama, durante il suo intervento, è dedicato al nostro giornale, colpevole di aver pubblicato due reportage dall’Albania. Il primo sui cantieri pubblici italiani in territorio albanese, il secondo sui clan albanesi che gestiscono i traffici, incluso quello di esseri umani, nell’area dove si stanno realizzando le due strutture.

Rama ha usato parole molto dure contro Domani, accusandoci di aver scritto fandonie in particolare sulla presenza della criminalità organizzata nel suo paese. Ha persino detto di essersi confrontato con la procura speciale di Tirana che indaga sui grandi casi di corruzione e criminalità organizzata e che da quegli uffici hanno sminuito il problema, spiegando che il comune di Lezhe (municipio in cui ricadono i due paesi dove sono in corso i lavori per realizzare i centri) non è una roccaforte dei gruppi criminali albanesi, che, sostiene Rama, «non sono paragonabili alle mafie come Cosa nostra o ‘ndrangheta». 

Rama, purtroppo, mente spudoratamente. Primo perché fonti interne alla medesima super procura hanno confermato a Domani che quella zona è fortemente inquinata da organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani e che in tutta l’Albania questo business è molto diffuso, tanto che è recente un’inchiesta che ha svelato peraltro la complicità di poliziotti nella gestione del traffico di esseri umani: tra gli indagati, ancora in carcere, c’è anche un imprenditore italiano. 

Il premier albanese, poi, omette di dire una cosa importante durante la conferenza stampa. Nel comune di Lezhe la super procura di Tirana ha condotto un’inchiesta, due settimane fa, che ha portato all’arresto di un ex deputato vicino a Rama con accuse pesantissime.

Un comunicato pubblico della Spak è denso di dettagli: delinea un quadro di malaffare e corruzione, traffico di droga e omicidi. Sono stati sequestrati oltre 2 milioni di euro cash e tra gli indagati troviamo anche il direttore della polizia locale di Lezhe, il capo della narcotici dello stesso ufficio e un ex deputato, Arben Ndoke, accusato anche di aver fornito informazione per commettere un omicidio.

Ndoke è legato al presidente dell’Albania, tanto che l’opposizione dopo il suo arresto ha accusato il premier con parole durissime: «Non dice una parola, non si scusa con i cittadini che al posto dei loro rappresentanti offrono al governo rappresentanti della criminalità organizzata, addirittura “leader di gruppi criminali strutturati”», ha detto il deputato Gazment Bardhi del partito democratico.

Infine Rama dimostra poca conoscenza dei fenomeni mafiosi transnazionali che riguardano anche il paese che governa. I clan albanesi sono considerati insieme alla ‘ndrangheta una multinazionale del crimine. Non a caso sono queste le due mafie oggi più strutturate nel traffico di cocaina al livello mondiale. 

Secondo Rama in Albania non c’è mafia perché i gruppi «non hanno una struttura di vertice ma sono organizzati in maniera orizzontale». Basterebbe studiare un po’ di storia giudiziaria per capire che tale caratteristica non è ciò che distingue la mafia dalla semplice criminalità. Anche la mafia calabrese è strutturata su nuclei familiari e non esiste una cupola in stile mafia siciliana, allo stesso modo la camorra. Ma sempre di mafia si tratta.

Ciò che distingue la mafia dalla delinquenza comune è la capacità di infiltrarsi nel potere, nelle istituzioni, nell’economia. Sono le complicità esterne a trasformare la criminalità in organizzazione mafiosa. E di questo può star certo Rama, in Italia ne sappiamo qualcosa. E conosciamo moltissimi segreti anche dei gruppi mafiosi albanesi, di trafficanti che qui in Italia hanno gestito affari milionari insieme ai boss della camorra e della ‘ndrangheta. Ma che allo stesso tempo hanno la loro roccaforte lì dove Rama sostiene non esista alcun tipo di forma mafiosa. Questo non lo dice Domani. Ma migliaia di pagine di atti giudiziari confluiti in processi che vanno da Milano a Reggio Calabria. 

L’intervento di Rama in effetti ricorda quelle dichiarazioni degli anni Ottanta dei politici democristiani siciliani. La mafia? Macché, «sono quattro poveracci», era il mantra usato per nascondere l’esistenza di un potere che si stava divorando il paese. Altri tempi. Forse non per l’Albania. 

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