Sfide tra adolescenti che prevedono sesso senza preservativo: una notizia che ritorna ciclicamente sui media. Ma non ci sono dati, né fonti. La disinformazione crea allarmismo e alimenta stigma e pregiudizi oltre a rappresentare il sesso come qualcosa di spaventoso. Per non diffondere fake news e garantire un approccio positivo alla sessualità è necessario dare informazioni corrette. Un punto di partenza è l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. In Italia, però, queste attività non sono obbligatorie, quindi ogni scuola si organizza in modo diverso in base alle risorse disponibili.

Autogestione

Ci sono studentesse e studenti che sul tema della sessualità si autorganizzano per avere dei momenti di confronto con persone esperte. È il caso dell’associazione Selene, un gruppo di ostetriche, che tiene dei corsi di sessuo-affettività in alcune scuole di Roma. Molto spesso, però, si scontrano sia con il poco interesse verso il tema, ma anche con la mancanza di fondi da investire in questo tipo di progetti.

I corsi di associazione Selene partono dall’anatomia perché «trattare determinati argomenti senza conoscere il corpo diventa difficile», spiegano le ostetriche a Domani. Si affrontano anche le infezioni sessualmente trasmesse e si parla di contraccezione. Una parte è dedicata al consenso ed è tenuta da un’antropologa. Inoltre, Giulia Ariani, ostetrica dell’associazione Selene, precisa che «si guarda alla sessualità mettendo al centro il piacere e non solo focalizzandosi sulle malattie che ti puoi prendere o sul rischio di una gravidanza». I percorsi organizzati dall’associazione sono interattivi e si focalizzano sulle persone, sul benessere e sulla salute creando dei momenti di dialogo.

Formazione dei docenti

Il tabù e il silenzio su ciò che riguarda il sesso spingono le persone giovani a cercare da sè le informazioni che riguardano la sessualità. «Non se ne parla o se ne parla poco e male. Se se ne parla a scuola ai ragazzi o a delle persone più piccole il pensiero dominante è che cresceranno deviati», afferma con amarezza Federica Cocuzzoli, un’altra delle ostetriche dell’associazione Selene.

Fare educazione sessuo-affettiva non può limitarsi a nozioni base sulla sessualità, «non può essere esclusivamente una chiacchierata con un’infermiera, una psicologa, un’ostetrica che vengono e ci insegnano a mettere il preservativo. È una cosa molto più grossa che riguarda le relazioni, la crescita delle persone e che riguarda l’idea di costruire una scuola dove tutte le persone possano sentirsi a proprio agio e dove ci si può esprimere liberamente», sostiene Elena Fierli, formatrice che fa parte dell’associazione SCOSSE che propone percorsi formativi per docenti che vogliono lavorare sull’educazione al genere e alle differenze. In questo quadro diventa fondamentale coinvolgere anche le docenti e i docenti. «C’è una nicchia di persone che lavorano dentro alla scuola e che sono consapevoli di quanto sia importante parlare di tutta una serie di temi; molte altre invece non li considerano importanti e si chiedono qual è il legame che possono trovare tra la loro materia e una prospettiva di genere», afferma Fierli.

Proposte di legge

L’argomento dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole italiane è da tempo oggetto di dibattito. Risale al 1975 il primo disegno di legge sull’educazione sessuale in classe che venne proposto dal Partito Comunista, primo firmatario della proposta di legge il deputato Giorgio Bini. Quarantanove anni dopo la situazione non è molto cambiata, infatti in Italia non esiste ancora una legge che introduce l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole nonostante a livello internazionale varie linee guida – come quelle dell’organizzazione mondiale della Sanità (Oms) – sottolineano l’importanza dell’educazione sessuale nel contesto scolastico.

Spesso si torna a parlare della necessità di migliorare le attività di educazione sessuale e affettiva, soprattutto dopo casi di violenza e femminicidi. Ma sono interventi sporadici e che mostrano lacune. È in questo contesto che si inserisce il piano “Educare alle relazioni” del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

Uno sguardo all’Europa

In Italia è inevitabile scontrarsi con l’opposizione della chiesa cattolica, di determinati gruppi politici e di alcune famiglie che fanno da ostacolo all’implementazione dell’educazione sessuale. Parlare di educazione sessuo-affettiva nelle scuole, di salute sessuale e di diritti riproduttivi è ancora un tabù.

L’Italia è uno dei pochi paesi europei dove l’educazione sessuale nelle scuole non è obbligatoria per legge. Oltre che in Italia, l’educazione sessuale a scuola non è obbligatoria in altri sei Paesi dell’Unione europea: in Ungheria, Bulgaria, a Cipro, in Romania, in Lituania e Polonia. Alcuni di questi Paesi (Ungheria, Bulgaria e Lituania) sono gli stessi che hanno ostacolato l’adesione dell’Ue alla Convenzione di Istanbul, ossia il trattato internazionale che pone come obiettivi fondamentali la prevenzione e il contrasto della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica. Ciò fa emergere come la lotta per la prevenzione della violenza di genere e le campagne per l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva siano intrinsecamente connesse.

Materia obbligatoria?

Fare educazione sessuo-affettiva a scuola non significa, però, rendere questi percorsi tutti uguali. «Nelle scuole i progetti e i laboratori di educazione alla sessualità e all’affettività non devono diventare delle materie di insegnamento perché una materia genera un giudizio, deve esserci un professore che te la insegna e cosa ti insegno? Ti insegno la scientificità del sesso? In realtà è più utile dare delle informazioni rispetto alla sessualità non stereotipate e improntate al rispetto», afferma Fabrizio Quattrini, sessuologo clinico e presidente dell’istituto italiano di sessuologia scientifica di Roma.

Rendere obbligatoria l’educazione sessuo-affettiva permetterebbe da un lato di creare dei programmi uniformi sul territorio, dall’altro però «introdurla come una vera e propria materia può far venir meno il reale interesse e può cambiare il modo in cui ci si approccia alla sessualità», sostiene Ariani.

Al di là di educazione sessuale obbligatoria sì o no, una cosa è certa: «Si devono cominciare a educare le persone molto piccole all’attenzione e al rispetto verso le altre persone; quindi lavorare sul consenso e sulla conoscenza del proprio corpo», afferma Fierli. Nonostante una maggiore consapevolezza, però, continua a esserci un forte conservatorismo etero patriarcale.

Percorsi frammentati

Oggi le attività di educazione sessuo-affettiva faticano ad affermarsi e sono lasciate alla buona volontà dei singoli e delle singole dirigenti scolastiche.

Uno studio fa un quadro della situazione italiana tra il 2016 e il 2020: su un totale di 232 attività di educazione sessuale, 19 sono quelle svolte nelle scuole secondarie e 13 nelle scuole primarie. La maggior parte di questi percorsi (65%) è stata condotta da organizzazioni della società civile.

In merito alla localizzazione di questa attività, l’analisi ha mostrato una distribuzione geografica che vede al primo posto l’Italia centrale con 94 attività (42,9%), 87 (39,7%) si sono svolte al nord e 38 (17,4%) nel sud.

Come spiega Quattrini: «Negli anni ‘90 c’è stato il boom di informazioni soprattutto legate alle infezioni trasmesse sessualmente. Molti dei progetti che venivano fatti nelle scuole superiori, erano mirati alla prevenzione. Dal 2010 in poi c’è stato un crollo dell’interesse e purtroppo l’educazione sessuo-affettiva si fa a macchia di leopardo». Quello che emerge è un Paese che viaggia a due velocità con una netta contrapposizione fra nord e sud.

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