Più calciatori bianchi nella nazionale in maglia bianca. I risultati del sondaggio condotto dalla tv tedesca ARD sono stati scioccanti, a loro modo premonitori rispetto al risultato che sarebbe giunto dalle urne europee.

Tanto che adesso, dopo lo scossone dell’avanzata dell’estrema destra di AfD, cui il governo in carica non ha saputo opporre che tremule reazioni, quei risultati sono già stati dimenticati, come stratificati sotto la valanga nera del voto espresso durante lo scorso weekend.

E invece, a poche ore dall’inaugurazione degli Europei che vedranno la nazionale tedesca (Mannschaft) aprire i giochi contro la Scozia, sarebbe il caso di non tralasciare quel messaggio.

Perché nel gioco impazzito dei corsi e dei ricorsi storici esso si fa portatore di un senso da decodificare.

E parla di un mutamento etno-culturale della società tedesca di cui il calcio ha saputo farsi portatore, senza che però ciò bastasse per scongiurare le crisi di rigetto.

Un tedesco su cinque

Le cifre del sondaggio hanno dato la sveglia al calcio tedesco: a dieci giorni dall’inaugurazione degli Europei il 21 per cento degli interpellati per conto di ARD ha dichiarato che vorrebbe vedere in nazionale più calciatori di pelle bianca. Una percentuale preoccupante, dato che si parla di oltre un tedesco su cinque.

Le reazioni dall’interno della Mannschaft sono state indignate. Il commissario tecnico Julian Nagelsmann si è scagliato contro il razzismo. E il centrocampista del Bayern Monaco e della nazionale, Joshua Kimmich, ha stigmatizzato come assurda la pretesa di continuare a guardare al colore della pelle nella composizione della rappresentativa di Germania. Che fra l’altro, nel passato recente, si è fatta portabandiera dei diritti civili e del dissenso verso i paesi organizzatori in cui quei diritti vengono calpestati. Così è successo in occasione degli scorsi Campionati europei, che nella loro organizzazione policentrica hanno messo in calendario gare disputate nella Budapest orbanizzata, ma anche in occasione dei mondiale 2022 in Qatar.

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La nazionale tedesca è dunque un simbolo di tolleranza e integrazione che d’improvviso viene colpito dagli schizzi di fango di un’opinione pubblica razzista. E quel fango tocca anche ciò che il calcio ha significato per la costruzione di una nuova Germania, dopo la riforma della legge sulla cittadinanza avvenuta a cavallo fra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila. Allora la nazionale di Germania aveva imboccato una fase buia, culminata con un’eliminazione umiliante dagli Europei di Belgio-Olanda 2000. Ma grazie alle forze fresche dei neotedeschi, finalmente selezionabili, era cominciato il lento cammino di ricostruzione culminato con la vittoria del quarto mondiale a Brasile 2014. A dieci anni di distanza da allora siamo punto e a capo. La Mannschaft è tornata a stentare e ciò ha ridato fiato ai settori della destra nazionale, che guardavano con insofferenza alla nazionale plurale anche quando questa vinceva. Fino a replicare umori che erano stati proprio della Francia del primo lepenismo, metà anni Novanta.

Una pessima replica

Allora il Le Pen in auge era il padre, Jean Marie. Il suo Front National viveva la sua prima stagione di ascesa. E in quelle condizioni il calcio diventava bersaglio facile per alzare la temperatura nell’arena dell’opinione pubblica. Scagliarsi contro una nazionale francese “non rappresentativa della Francia”, perché piena di calciatori di origine coloniale, fu un modo per solleticare i settori più a destra della società nazionale. Fu anche un viatico per veder vincere ai Bleus il primo mondiale della loro storia, nel 1998; ma questo è un altro discorso.

Ciò che conta è assistere a una pessima replica di quell’argomentazione, spostata da Parigi a Berlino. Giusto i due epicentri dello sconvolgimento elettorale che ha aperto i recinti dell’estrema destra continentale e battezza sotto un clima cupo la diciassettesima edizione degli Europei. Da stasera i ragazzi di Nagelsmann giocheranno per molto più che i traguardi sportivi.

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